12 novembre 2006. È Orhan Pamuk a vincere l’ambito riconoscimento. L’accademia di Svezia, nella motivazione del premio ha scritto: “Pamuk nella sua Opera ha sperimentato il cambio dalla tradizionale famiglia ottomana a quella che adotta uno stile di vita più occidentale”.
Orhan Pamuk
Premio Nobel per la Letteratura 2006
di Luigia Sorrentino
Giovedì 12 ottobre 2006
Avevo “intercettato” Orhan Pamuk a settembre scorso fra i finalisti del Premio Napoli 2006 con il suo romanzo “Istanbul”.
Fra i finalisti del Premio Napoli che non ha vinto Pamuk, io ho scelto lui.
Ho realizzato l’intervista televisiva per RaiNews24 prima che Pamuk vincesse il Nobel perché sono interessata alla sua produzione letteraria e al suo impegno civile. Mai avrei immaginato che solo pochi giorni dopo la nostra intervista Pamuk avrebbe vinto il Nobel per la Letteratura.
Quando l’Accademia di Svezia ha pronunciato il nome del vincitore e il nome era Orhan Pamuk, Ia Rai-Radiotelevisione Italiana, l’emittente del Servizio Pubblico, è stata l’unica testata televisiva nazionale a trasmettere spezzoni della mia intervista televisiva fatta a Pamuk in tutti i telegiornali della Rai fin dalle prime edizioni. Senza volerlo ho realizzato quello che in gergo giornalistico si definisce uno “scoop“.
Pamuk nella motivazione del Premio è stato definito un autore “in cerca della malinconica anima della sua città natale (Istanbul) che ha scoperto nuovi simboli dello scontro e dell’intreccio tra le culture”.
L’intervista a Orhan Pamuk
di Luigia Sorrentino
Napoli, 17 settembre 2006
Il successo internazionale per lo scrittore è arrivato con il suo terzo romanzo, Il castello bianco. Ambientato nell’Istanbul del XVII secolo, secondo l’Accademia “mostra come la personalità sia una costruzione variabile“.
ORHAN PAMUK: “Vent’anni fa quando ho scritto Il castello bianco, Roccalba, nessuno si occupava di identità, soprattutto a livello accademico. L’identità non era una questione, diciamo così, in voga. In realtà ho voluto realizzare un libro metafisico sulla mia situazione, che era quella di avere, per così dire, un piede nella cultura tradizionale turca – quindi nell’Islam – e un altro piede, nella cultura europea moderna, che mi veniva dalla lettura di alcuni libri. Ne Il Castello bianco volevo mettere in luce questa contraddizione che è, in sostanza, la contraddizione della Turchia moderna.”
Così racconta la sua vocazione letteraria, ma anche umana e etica, Orhan Pamuk, il primo scrittore turco ad essere insignito del Premio Nobel per la Letteratura.
“Vi dirò chi sono”, scrive Pamuk in Istanbul . Pamuk, intervistato a Napoli in occasione della 52esima edizione del Premio Napoli, autore di 7 libri, tra i quali Il Castello Bianco’, ‘Neve‘, ‘Il mio nome e’ rosso’ , tutti pubblicati da Einaudi, costantemente impegnato nel riconoscimento dell’Altro sé, del suo Doppio, offre al lettore “la chiave” per superare il conflitto tra islamismo e occidentalismo.
Il narratore-poeta, che ha posto al centro della sua opera il tema dell’identità, sembra rivolgere a noi una sola domanda: che cosa cambierebbe in Europa e nel mondo, se tutti ci impegnassimo nell’esplorazione di questa “zona grigia”, le due identità, in cui le persone si trovano, o si possono trovare?
ORHAN PAMUK: “Il romanzo Neve non parla del conflitto tra l’Islam e il Cristianesimo, ma parla piuttosto dell’Islam politico. In realtà politicamente l’Islam non si occupa tanto di religione, ma di nazionalismo e di sentimenti anti-occidentali. Non so in che cosa sfoceranno questi sentimenti anti-occidentali espressi attraverso l’islamismo politico o il fondamentalismo. Per quanto mi riguarda non credo che ci sia un conflitto tra l’Islam e il Cristianesimo da un punto di vista religioso e culturale, come molti vogliono farci credere. Credo che c’è, invece, un conflitto tra la politica dell’Islam e la politica di coloro che io chiamo i fondamentalisti, gli estremisti, anche nel Cristianesimo. Si tratta di un’esagerazione di qualcuno che vuole, in realtà, costruire un contrasto tra queste culture negli Stati Uniti e in Europa, ma non c’è un vero contrasto tra le religioni. Non credo, quindi, che ci sia un grande scontro tra l’Islam e il Cristianesimo: lo scontro vero è tra l’Islam politico e il Cristianesimo politico.”
LUIGIA SORRENTINO: Lei ha trascorso la sua vita a Nisantasi, sulla riva europea, in una casa che affacciava sulla riva asiatica. Che cosa le ricordava guardare la riva di fronte a lei, l’altro continente? Qual era il suo posto nel mondo?
ORHAN PAMUK: “Sono nato a Istanbul, nella parte asiatica, per ragioni di familiari, ma sono cresciuto sulla riva europea guardando sempre verso quella asiatica. Questa è una situazione normale in Turchia, a Istanbul in modo particolare. Un filosofo di strada diceva che la Turchia è come una barca che va verso est, con tutti i passeggeri che guardano, invece, verso ovest. Questo è stato anche il concetto che ha ispirato tutta la mia vita, che è diventata anche, l’identità della Turchia. Tutti continuano a chiedersi da che parte stanno guardando: troppo a ovest o troppo a est? Siamo sempre in bilico tra queste due sponde. Questa è l’identità turca.”
LUIGIA SORRENTINO: Un giorno lei ha assistito alla costruzione di un ponte che ha messo in comunicazione le due rive del Bosforo. Quali erano i suoi sentimenti mentre veniva costruito il ponte che collegava le due rive?
ORHAN PAMUK: “Quando è stato costruito il ponte andavo alle scuole superiori e passavo sempre di là. In realtà non riuscivo a credere che davvero avrebbero costruito un ponte. Anche mia nonna, che è morta a 94 anni, non poteva credere che qualcuno davvero avrebbe collegato le due rive. Questi sono sentimenti pessimistici, io però in realtà credo che ci siano dei forti collegamenti tra l’est e l’ovest, e che appunto, il ponte possa essere un’eccellente metafora di questo sentimento.”
LUIGIA SORRENTINO: In Istanbul lei a un certo punto parla di “huzun”, la tristezza che invade la città. E dice, anche, che questa tristezza non corrisponde a ciò che per l’occidente è la malinconia….
ORHAN PAMUK: “Quando descrivevo i bellissimi paesaggi di Istanbul mi sono reso conto che in realtà i paesaggi sono belli solo se trasmettono delle emozioni, dei sentimenti. Questa è una cosa che é nata già con Baudelaire a metà del XIX secolo. Quindi mi sono reso conto che la sensazione che emanavano i paesaggi di Istanbul era appunto, la malinconia. Però l’huzun, questa parola turca, appunto, tristezza, è molto diversa dalla malinconia in senso occidentale. Questo sentimento turco che è comune, e che accomuna tutte le persone, non è relativo agli individui che soffrono in silenzio nella loro stanza. L’huzun è un anche un collante che unisce la comunità. L’huzun si può descrivere anche come una filosofia di vita, un’etica, una morale, che insegna, appunto, a comportarsi bene, ad essere modesti, a non essere troppo ambiziosi di denaro, di ricchezze… accettando la tristezza e la povertà in maniera dignitosa.”
LUIGIA SORRENTINO: Lei, qualche anno fa, rifiutò il titolo di “Artista di Stato” che le offrì il governo turco. Perchè?
ORHAN PAMUK: “Questo è successo circa sette anni fa, quando ho pubblicato in Turchia “Il mio nome è rosso”. La cosa è molto semplice: non volevo accettare un premio dal governo turco che aveva messo e metteva ancora molti giornalisti e molti scrittori in prigione. Quindi non volevo avere nulla a che fare con loro, non volevo stringere la mia mano alla loro.”
LUIGIA SORRENTINO: Nel 2005 lei è stato incriminato a seguito di alcune dichiarazioni fatte alla Radio Svizzera sul massacro da parte dei turchi di un milione di armeni e 30mila curdi in Anatolia durante la Prima Guerra Mondiale. Come si è conclusa questa vicenda?
ORHAN PAMUK: “Questa storia è stata più che altro una sofferenza per me… Mi sono trovato in una situazione scomoda, in bilico, tra l’amore per il mio paese, la comunità internazionale, e, soprattutto, tra coloro che sostenevano i diritti umani. Il mio problema non era tanto la paura, il rischio di andare in prigione, ma piuttosto essere combattuto tra quello che era considerato il mondo civilizzato e l’amore per il mio Paese. Adesso tutto è passato: le accuse sono cadute, credo per le pressioni internazionali che ci sono state, e quello che mi è rimasto è un po’ di tristezza riguardo a questa storia. Naturalmente questa vicenda mi ha anche stimolato a combattere ancora di più per la difesa dei diritti umani, soprattutto per sostenere altri autori che oggi sono nei guai.”
LUIGIA SORRENTINO: Come ha vissuto Orhan Pamuk nella scrittura e nella vita l’11 settembre? Quali sono state le sue emozioni? I suoi sentimenti dopo quella tragedia in diretta che entrava nel cuore del mondo?
ORHAN PAMUK: “Devo dire, prima di tutto, che l’11 settembre, purtroppo, continua ancora. Quello che ho sempre temuto, e che temo ancora, è che ci sia poi, una lotta, uno scontro vero tra il Cristianesimo e l’Islam, tra il mondo moderno e il mondo tradizionale islamico. Anche perché io appartengo a entrambe le parti e quindi è come se una parte del mio corpo fosse sempre in lotta con l’altra parte. E temevo anche che dopo l’11 settembre gli Stati Uniti, e quindi Bush, avrebbero messo benzina sul fuoco su questo conflitto di civiltà, e purtroppo, l’hanno fatto. Ed ora questo scontro di civiltà, che prima era solo una fantasia accademica, purtroppo sta diventando sempre più reale.”
LUIGIA SORRENTINO: Infatti… il grido della guerra si fa sentire ancora. Abbiamo visto quello che è successo recentemente in Libano: negli attacchi mirati contro l’Hezbollah molti civili hanno perso la vita. Cosa pensa della risoluzione 1701 delle Nazioni Unite? Si riuscirà a pacificare la regione?
ORHAN PAMUK: “Sono molto arrabbiato per ciò che hanno fatto gli Stati Uniti e Israele. Sono rimasto sconvolto da questa guerra. Mi ha fatto stare molto male. Credo che la conseguenza sia stata il fatto che il mondo islamico abbia odiato ancora di più l’occidente di quanto avvenisse in passato. Quindi c’è una recrudescenza di questi sentimenti. In ogni caso non mi sento di criticare nessuna delle parti, conosco i miei limiti di scrittore, però è stata veramente una pessima guerra. Credo, anche, che il conflitto israelo-pelestinese deve essere risolto, una volta per tutte, se davvero il mondo vuole la pace.”
LUIGIA SORRENTINO: Secondo lei davvero le Nazioni Unite torneranno a svolgere un ruolo centrale nella risoluzione dei conflitti?
ORHAN PAMUK: “Se non vogliamo obbedire soltanto agli Stati Uniti dobbiamo ovviamente credere nelle Nazioni Unite, anche se adesso sono in un momento di difficoltà e debolezza. Però le Nazioni Unite sono sempre l’unica cosa che ci resta.”