DIARIO FAMILIARE
di Valentino Zeichen
Dopo la fine della seconda guerra mondiale, sono stato parcheggiato a Kantride (Fiume), in una colonia marina che protraeva la chiusura oltre l’estate, per albergare orfani autunnali. Mia madre era tisica, ormai all’ultimo stadio, e così l’avevano ricoverata in un sanatorio vicino a Laurana, sulla costa. Dopo mesi di sparizione senza che avessi sue notizie, mi avevano confidato la verità. Una vigilatrice mi aveva preavvisato: mia madre sarebbe venuta a trovarmi, compatibilmente con le sue condizioni di salute. L’incertezza sulla data angosciava le mie aspettative giornaliere. L’edificio della colonia doveva risalire agli anni Trenta; ricordo una costruzione a due piani con tanti oblò; un lungo porticato di colonne cilindriche, e la facciata esposta a ponente, verso il mare. Dopo giorni pieni di aspettative e vuoti di notizie, le mie cieche congetture sul futuro, svanirono.
Per qualche motivo che mi sfuggiva, la visita tanto attesa, era stata anticipata, quasi affrettata per l’indomani, domenica. L’orario previsto per i visitatori era dalle due del pomeriggio alle cinque. Era da cinque mesi che cercavo di rivederla. Il mare antistante pareva gonfio d’ira come un’idra; le onde avanzavano ingigantite dalla bora, mi avrebbero travolto, e sarei annegato prima di rivedere mia madre? Era un mare dalle tinte livide, infuriato, inadatto per una cartolina illustrata del Quarnaro, anche se era solo Carnarius: divoratore di carne.
Mi trovavo a un lato del porticato, distante da altri visitatori, sorvegliato da una vigilatrice che doveva consegnarmi a mia madre. Quando mi intravide da lontano, accelerò il passo; mi sorrise appena scoprendo i suoi magnifici denti. La guardavo; volevo muovermi, ma ero come paralizzato da un’ignota paura. La lunga separazione da lei mi aveva disaffezionato dalla consuetudine di correrle incontro e saltarle al collo. Era rimasta alta e slanciata come la ricordavo. Venne verso di me e mi accolse tra le sue braccia, al rallentatore, come se avesse esaurito le sue forze, alquanto a disagio, dovuto alla mia rigidità. Mentre mordicchiavo un dolcetto, lei parlava con la mia guardiana, informandosi dello stato della mia salute; ero stato a lungo malato e non ho mai saputo il genere di malattia.
Per tutta la durata della visita ci dicemmo poco o niente: solo consueti diversivi: “Guarda, c’è una nave al largo”. Mi sentivo assalito da cupi presentimenti, e tra questi quello più ovvio che mi suggeriva il suo pallore cadaverico; in me moriva la speranza di rivederla. Fra noi altalenava uno struggente disagio; ogni nuova parola pronunciata poteva essere l’inizio di una nuova frase che precedeva il commiato. Alternavo lo sguardo tra il viso di mia madre e le ombre sghembe del colonnato, che si allungavano e impallidivano fino alla sparizione del sole. Indisponente, oppresso da tanti presagi, non facevo che informarmi su quanto tempo mancava ancora alla fine della visita, come se volessi troncarla e mandare via mia madre prima del sibilo della sirena che poneva termine alla visita. Sullo sfondo sbiadiva un raggelante rosseggiante, adombrato dagli altri pini marittimi. Le cose intorno si decoloravano perdendo luminosità.
Ci guardavamo timidamente, senza parlare, nel timore di sbagliare parola. Intanto l’altoparlante preannunciava che a minuti sarebbero terminate le visite; di lì a poco seguì la minacciosa sirena dal sibillino avvertimento. “Non piangere tesoro mio, la mamma tornerà molto presto per riportarti a casa.” Io non piangevo mentre mi abbracciava e mi sussurrava sulla guancia le ultime parole insensate; mi strinse a sé ancora un’ultima volta, poi mi riconsegnò alla vigilatrice già presente. Si avviò senza voltarsi, e io rimasi sul posto, immobile, col sacchetto di carta in mano, con dentro due o tre dolcetti. Alla fine del porticato si voltò, già lontana, indistinguibile, e io salutai con la mano la sua figura che spariva. Le colonne del porticato semicircolare me le ricordo ancora, sembravano le tacche delle ore d’un singolare orologio, forse una meridiana.
Durante tutto l’incontro, entrambi avevamo finto di non sapere che non ci saremmo più visti. Solo pochi giorni dopo, la solita vigilatrice mi avvicinò, e con molto tatto mi informò che mia madre era molto grave, e io capii al volo che era morta.
Nelle foto, da sinistra a destra: Valentino Zeichen con sua madre, sfollati a Verona, nel 1943; Valentino Zeichen a Marina di Massa, nel 1960; la madre di Valentino Zeichen, nel 1926; il padre di Valentino Zeichen, nel 1922.
SCENARIO
Rosoni di chiese esposte al tramonto
arrossiscono per miracolosi pudori
colpiti da un sole annuvolato di piombo.
L’acquasantiera cattura mani che
s’arrampicano con segni di croce,
le ciminere vomitano incenso nero
che incupisce gli specchi delle anime.
Dalle mani scola velluto liquido,
le ombre come macchie proiettate
rientrano nei corpi assorbenti.
Le colonne ballano minate dai demoni,
gli stucchi amorfi si sgretolano.
I ritratti ondeggiano nelle tele,
animati si scostano dai muri;
ora bollenti scalano altari,
voci liquefatte spandono la parola d’acqua.
Tante Marie mai viste tante
nuotano nella polvere alta.
Lapidi cerchiate di baci
navigano nel sottosuolo.
L’organo tuono martella le tempie,
i superstiti s’aggrappano alle pareti del cielo
fuggono angeli dalla doratura incendiata,
catturati e spenti nella cocciniglia,
trasformati in cariatidi, murati
a edifici pubblici per malvagità decorativa.
Le schiene gotiche ridono in note mimiche.
(1958)
In Poesie giovanili 1958-1967, Edizioni della Cometa, 2011
Valentino Zeichen è nato a Fiume, in Croazia, nel 1938. Figlio di un giardiniere, alla fine della seconda guerra mondiale, quando la città di Fiume fu annessa alla Jugoslavia e ci fu l’esodo di gran parte del popolo istriano, si trasferì con la famiglia prima a Parma, poi a Roma dove tutt’ora vive, sulla Via Flaminia.
Ha pubblicato le seguenti raccolte di poesie:
Area di rigore – Cooperativa Scrittori, 1974
Ricreazione – Guanda, 1979
Pagine di gloria – Guanda, 1983
Tana per tutti – Romanzo, Lucarini, 1983
Museo interiore – Guanda, 1987
Gibilterra – Mondadori, 1991
Metafisica tascabile – Mondadori, 1997
Ogni cosa a ogni cosa ha detto addio – 2000
Carla Accardi. Pietrose distanze – con Achille Bonito Oliva, Essegi, 2000
Matrigna – Romanzo, Il Notes Magico, 2002
Passeggiate romane – Fazi, 2004
Poesie. 1963-2003 – Mondadori, 2004
Neomarziale – Mondadori, 2006
Aforismi d’autunno – Fazi, 2010
Poesie giovanili 1958-1967 – Edizioni della Cometa, 2011
(Ringrazio per la gentile collaborazione Francesca Sandrini)
…posso fare una domanda all’amministratrice?
Luigia, leggendo la poesia cosa ti arriva? C’è un’aria cupa,
non c’è, permea lo scrittore, non lo contamina…?
Anzi due domande?… Sai a cosa si riferisce, se c’è una situazione reale dietro?E’ il funerale della madre?
Non so tutte queste cose.
E’ il mistero della poesia.
Potrebbe essere. La poesia di Zeichen è del 1958. Zeichen aveva quindi venti anni, essendo nato, nel 1938.
Potrebbe essere, dunque, un ricordo della madre, o di una donna amata e perduta.
Nel racconto di Zeichen bambino, alla fine, lui saluta la madre che sparisce in lontananza. La lascia andare.
Ricordi Orfeo e Euredice?
Ecco, la madre, è anche l’amata perduta..
Tuttavia, è necessario leggere tutto Zeichen per comprendere la sua poesia, per avvicinare la sua poesia.
Io sono Luigia, non l’amministratrice, solo una precisazione, infine.
… sembra scrivere di qualcosa di non positivo. Almeno al sottoscritto.
Non so se lo addolori.Forse la situazione è oppressiva.
Ma non lo ”infetta”
, se c’è un dolore,se c’è un lutto, almeno in questa poesia sembra non lo trascini in basso.
La domanda che m’è venuta subito è: che rapporto ha con la religione?Perchè, di qualsiasi cosa stia parlando, alla fine mette in una luce tutt’altro che positiva parecchi simboli della religione cristiana.
Luca, mi poni delle domande a cui non so dare risposta.
Speriamo che intervenga Zeichen in persona in questo blog.
Lui però non ha un computer, non naviga in rete. Quindi, dobbiamo sperare che qualcuno gli faccia leggere il tuo commento e che lui risponda….
La poesia, tuttavia, non ha sempre legami specifici con la religione cristiana, o con la religione in generale.
Con la religiosità, sotto vari aspetti, mi sembra invece, che una qualche relazione l’abbia…
Tutto un altro Zeichen. Quasi ne sono sorpreso.
Ho letto diverse poesie di Zeichen e sembrano tutte – alcune troppo – diverse da questa scritta in gioventù.
Della sua effervescenza, di quella vena ironica che lo contraddistingue non vedo i segni.
Ma forse è già presente il suo poetare dissacrante, la potenza dei particolari.
Nella sua “Odissea” mancava l’inizio. Questa è una gran bella traccia da seguire.
Sono d’accordo con Bruno. La voce di Zeichen, nel tempo, si è distaccata dalla voce degli esordi. Lui stesso stenta a riconoscersi – mi sento di dire – nelle sue Poesie Giovanili, ciò nonostante, queste poesie sono importanti per la ricostruzione dell’intera sua opera. C’è sempre un punto di partenza, e quando arriva quel momento, bisogna coglierlo con decisione, senza pensarci troppo su.