Cronache di poesia del Novecento

In occasione della presentazione a Roma, a cura di Gaffi Editore, del libro di Maurizio Cucchi Cronache di poesia del Novecento, (presso il Centro Culturale Bibli, mercoledi 16 febbraio alle 18.30) vi proponiamo la prefazione di Valeria Poggi che ha curato l’edizione del libro.

Maurizio Cucchi scrive su quotidiani e riviste da circa quarant’anni. Mettere mano a un materiale vasto e complesso che include articoli, recensioni, saggi che toccano la poesia italiana e la poesia straniera, la narrativa italiana e la narrativa straniera, ma anche articoli che coinvolgono il rapporto tra società reale e cultura, e, per concludere, testi che affrontano la pittura e la scultura, la musica e la canzonetta non era certo impresa da poco. Ma la priorità di una scelta, quella della poesia, era inevitabile. Maurizio Cucchi è poeta, ma è anche, per professione promotore di poesia attraverso il suo lavoro di consulente editoriale, di direttore di collane, di presidente e membro di giuria di premi letterari. L’idea di raccogliere in un libro gli scritti della sua militanza di critico di poesia Maurizio Cucchi l’ha maturata nel tempo anche in ragione di un progressivo “distrarsi” delle pagine culturali dei quotidiani che, costantemente , diminuivano l’attenzione per la poesia a vantaggio di una narrativa sempre più di consumo e/o di surrogati della poesia.
Si trattava a questo punto di selezionare e di organizzare il materiale. Ecco allora la scelta di dare al libro una impostazione di cronaca, di testimonianza reale del percorso della poesia italiana a partire dagli anni Settanta. Maurizio Cucchi si è laureato nel 1971 con una tesi dal titolo  ‘La poetica di Risi e Zanzotto in prospettiva post-ermetica’: si trattò di un evento, allora, per una facoltà universitaria, assegnare una tesi di Laurea su due autori viventi appena cinquantenni (infatti il correlatore, noto italianista, pur elogiando il lavoro, confessò di non avere elementi per giudicarlo perché non conosceva i due poeti in questione). Da qui traggono spunto i testi che vanno a costituire il primo capitolo del volume: i Saggi. Da Risi e Zanzotto il percorso è poi articolato dando spazio a quegli autori che negli anni Sessanta, in alternativa al Gruppo’63, lavoravano ad una ricerca poetica che rinnovasse il verso e la forma e che al tempo stesso coinvolgesse il lettore per contenuti che gli potevano appartenere: basti ad esempio ricordare Giovanni Giudici e la sua Vita in versi.

La ‘cronaca’ prosegue con le Introduzioni : qui si seleziona semplicemente, nell’arco di un ventennio, un campionario di autori che vanno da vere e proprie scoperte (Giuseppe Piccoli) a ‘riscoperte’ di autori dimenticati o che volutamente e seriamente si erano appartati ( Umberto Bellintani di cui proprio Maurizio Cucchi ha fortemente voluto il recupero con l’edizione di ‘Nella grande pianura ‘per la collana dello Specchio Mondadori nel 1998) fino a consolidare la presenza di giovani autori (Antonio Riccardi, Nicola Vitale).
Ma l’attenzione di Cucchi per le sorti della poesia non poteva prescindere da quello che è stato definito alla fine degli anni Settanta proprio ‘il boom’ della poesia ( le letture al Beat’72, Castelporziano, Milano poesia) iniziative che facevano parlare di poeti e di poesia, ma che certo non creavano un rapporto più autentico tra lettori e autori. Fiorivano le riviste di poesia ( come del resto continuano a proliferare) ma cominciava a diffondersi un’idea: che la ‘poesia’ fosse anche nelle parole delle canzoni dei cantautori, ovvero ‘i cantautori sono i poeti d’oggi?’ (si domandava Cucchi nel 1984). Ebbene, dopo la consacrazione di alcuni cantautori a ‘importanti poeti del Novecento,’ con tanto di convegni annuali, la domanda di Cucchi è ancora d’attualità e la risposta è che la poesia dei poeti resiste. Lo dimostra l’ormai più che decennale rubrica tenuta da Cucchi dapprima su  ‘Specchio della Stampa’ e attualmente su ”Tuttolibri’.
Passiamo, quindi, alla vera e propria ‘cronaca’ della poesia con il capitolo delle Recensioni. Si prende in considerazione un arco di tempo trentennale (1975-2005) e qui la selezione è stata davvero un’impresa. Il criterio adottato alla fine è stato quello di seguire il percorso di alcuni autori indiscutibili ( tra gli altri: Giudici, Luzi, Pasolini, Porta, Raboni, Sereni, Zanzotto), di non trascurare l’attenzione di Cucchi per i poeti suoi coetanei ( Bellezza, De Angelis, Viviani, Conte, Magrelli), di sottolineare la capacità di Cucchi di essere sempre pronto a segnalare autori nuovi e stimolanti per il lettore dal punto di vista delle scelte stilistiche (Neri, e poi Reta, Quadrelli, ancora Piccoli, Valduga), fino ad una sua cura ossessiva per costruire un vero percorso della poesia italiana del secondo Novecento seguendo, con sistematicità, l’itinerario poetico di autori che si sono consolidati nel tempo (Loi, Lamarque, Santagostini, Zeichen), il tutto senza escludere autori non di primo piano per la critica ‘accademica”‘(Cesarano) o autori della Neoavanguardia (Sanguineti, Balestrini, Pagliarani) che non rientravano del tutto nella formazione poetica di Cucchi.
L’ultimo capitolo di queste  ‘cronache’ ruba il titolo a una rubrica tenuta da Maurizio Cucchi su QN. Sono veri e propri Identikit di autori amati, poi diventati amici, alcuni scomparsi ( Raboni, Baldini, Krumm) e rimpianti come compagni di viaggio. Altri come De Angelis ancora vivaci interlocutori, o stimolanti artefici di ‘ossessioni’. Altri ancora, come Giovanni Giudici, vivi, ma ormai lontani dalla scena poetica per motivi di salute.
Risulta, dunque, evidente che questo libro non è una semplice raccolta di testi, ma vuole essere, per come è stato costruito, un percorso all’interno della poesia italiana degli ultimi decenni. Una sorta di guida per il lettore che può anche seguire un suo personale itinerario. L’ordine cronologico, infatti, consente di scegliere un anno, un decennio e di seguire i ‘fatti’ poetici attraverso i vari capitoli. Certo, nel libro ci possono essere lacune, omissioni: di alcuni libri o di alcuni autori non si parla, di altri si fa un accenno ma, come si è detto, si tratta di una scelta all’interno di un vasto materiale. Da ultimo va detto che trattandosi di testi vari (dal saggio, alla recensione, al ritratto breve) il tono, l’ampiezza e la profondità dell’argomentazione variano, anche se credo si possa dire che a prevalere sia la chiarezza di un linguaggio critico di testi, appunto, di ‘cronaca poetica’.
                                           di Valeria Poggi

Presentazione
Mercoledi 16 febbraio alle 18.30 
Gaffi Editore presenta:
Cronache di Poesia del Novecento di Maurizio Cucchi
Intervengono: Maurizio Cucchi e Valeria Poggi
*
Conversazione a cura di:
Fabrizio  Fantoni e Luigia Sorrentino
Letture di Annarita Chierici
Centro Culturale Bibli – Via dei Fienaroli 28  – Roma

Per informazioni:

www.bibli.it

18 pensieri su “Cronache di poesia del Novecento

  1. cari amici,
    sarebbe interessante prendere spunto dal post su Maurizio Cucchi, per affrontare il dibattito sulla poesia e sulla critica della poesia. Anche per comprendere la relazione, l’apporto fondamentale che oggi il poeta dà – può dare – alla poesia, nella quasi totale assenza di critici di poesia.

  2. Provo a scrivere alcuni cattivi pensieri. Io credo che critici di poesia non ce ne siano quasi più (e i pochi sono piccini ma ingombranti). Così, fanno critica di poesia i poeti stessi, i quali però mi pare che non trovino tempo per leggere altri poeti, se non sono amici o sodali. La critica diventa dunque un affare quasi privato. Solo di rado le critiche sono appropriate, oneste, concrete, vere. Nei peggiori dei casi somigliano ai commenti che si leggono ai post di poesia in blog e riviste on line: in genere sono tutti encomiastici e i poeti più mediocri diventano grandi poeti. Ecco un esercizio critico (ma è un azzardo anche solo chiamarlo così) perfettamente inutile.Ciò detto, vorrò leggere il libro di Cucchi sperando di trovare una convincente smentita. Peccato solo non poter venire alla presentazione.

  3. Cara Luigia,

    come sai non sono nè esperto nè conoscitore della poesia moderna. Sono un semplice aficionado….direi meglio uno sprovveduto. Un dibattito sulla poesia, arte in genere riservata a un élite, mi troverebbe a dire astrusità o peggio banalità.
    Credo però che oggi più che mai sia ardua impresa scindere la poesia.dalla narrativa: molta narrativa a tratti è poetica e viceversa. Ciò che disntigue l’una dall’altra direi che è la libertà assoluta della poesia rispetto alla narrativa; nel senso che è più difficile pensare a una narrativa priva di comprensibilità, mentre la poesia può meglio avvalersi dello strumento linguistico,per giocare su assonanze, rime, ritmo.musicalità o esattamente il contrario.dissonanze, aritmia, etc.
    La narrativa ètraducibile in altra lingue , la poesia quasi mai .a rischio di mutilarla.
    Trovo, sempre da profano che come per l’arte cosidetta figurativa, altrettanto libera, o la musica contemporanea ci sia una tendenza a uno scollamento tra l’artista-poeta e il pubblico.
    Con il rischio più che di incomprensione o di disorientamento, di disaffezione e noia.
    Non so se si possa azzardare un parallelo con l’arte figurativa in cui ormai il concettualismo prescinde da un messaggio trasmissibile, chiaro per rifugiarsi in un compiacimento del mezzo, dello strumento: questo fa sì che l’arte figurativa e certa poesia non possano essere capite se non con una didascalia che le accompagni..il che capisci bene…uccide appunto l’emozione che l’opera deve generare nel lettore o nel fruitore. giacchè se la poesia non fosse anche comunicazione, tanto varrebbe tacere.perchè in un certo senso non v’è poesia migliore del silenzio!
    Allora mi permetto di chiudere dicendoti che ho molto apprezzato le poesie di Zeichen ( cito lui ma ovvio ce ne sono altri), perchè in lui c’è un desiderio di comunicare, di dire, di giocare con ironie sottili ma compensibili….Mi rimane difficile una poesia, meglio un componimento a-narrativo, che non abbia questa capacità di comunicare; così come, da artista figurativo, mi rimane molto difficile capire molto del concettuale. Carmina non dant panem ma se nemmeno …commovent..? quindi ben venga la tua lodevolissima iniziativa,
    Perdona il fiume di ecolalie… sicuramente a.poetico!
    Un caro saluto

    Andrea Ruffolo

  4. Caro Francesco,
    sono convinta che i poeti stessi possano essere dei buoni critici di poesia. Ciascuno di noi, in quanto poeta, sa di poter dare il proprio contributo, anche e secondo i propri gusti. Mi piacerebbe approfondire questo aspetto, in senso positivo, del ‘fare’ critica, da poeta.

    La critica che diventa un affare privato – come tu dici – lascia il tempo che trova. Non ha futuro. E pertanto, non esiste.

    Un commento in blog – bello o brutto che sia – non può trasformare l’autorità di un poeta in ‘un buon poeta’ o in ‘un cattivo poeta’.

  5. Andrea, mi piace molto la curiosità che metti nella tua vita anche quando ti affacci in ambiti che apparentemente sembrano a te distanti.

    L’osservazione che fai sulla difficoltà di scindere la prosa dalla poesia oggi è molto interessante,e necessita di un approfondimento a parte. Torneremo a parlare anche di questo. Grazie per lo spunto che hai offerto al blog.

  6. La mia generazione ha vissuto un momento di passaggio drammatico per la poesia. Proporsi negli anni ottanta era difficilissimo. Lo sperimentalismo degli anni sessanta settanta aveva allontanato la poesia dal pubblico e il pubblico dalla poesia, le collane delle grandi case editrici chiudevano o si riducevano estremamente. I poeti che si erano comunque affermati in quegli anni sentendosi il vuoto sotto i piedi si sono chiusi a riccio e hanno abbandonato le nuove generazioni che crescevano, per sfiducia o per paura che il pubblico preferisse loro, già lontani dai linguaggi difficili di quegli anni. L’unico poeta-critico che non ha mai smesso di cercare, vagliare, incoraggiare, facendo un lavoro serio, senza curarsi d’altro che trovare e promuovere la qualità al di là delle generazioni, correnti e ideologie, è stato Maurizio Cucchi, e questo libro credo che ne sia la testimonianza. Se oggi bene o male la poesia in Italia si può dire che resiste all’onda di indifferenza, credo che lo dobbiamo a lui. Farei solo un’eccezione per il lavoro di Franco Buffoni con i suoi quaderni di Poesia Contemporanea.

  7. Chiudersi non giova. Ci vuole una disposizione all’ascolto della poesia degli altri. Ho parlato del libro di Maurizio, un libro scritto con passione. Se c’è ascolto va bene, come è normale segnare un percorso, una tendenza. L’importante è stabilire le proprie priorità dentro un percorso. Forse oggi torniamo a un dialogo, c’è necessità di questo. Dico a Nicola Vitale che sono importanti i riferimenti. Per cercare un terreno o semplicemente per un confronto. Con Maurizio è possibile un confronto fondante, specialmente adesso, in maturità. Per l’esattezza del dettato, la necessità del dire. Ma vedo che c’è un bisogno anche di altri, per tracciare le linee di questi anni. Linee, esperienze plurali, ma tutte, mi sembra, nel segno di una poesia di precisione, non puramente formale, ma di essenza ontologica. Linee anche comuni, che ritrovo in tanti libri letti di recente. Eliminare il superfluo, per ridurci davvero a un essenziale. Quasi come una poesia che si ritrova a raggiera nelle diverse esperienze. C’è un sentire comune? Lancio la domanda al blog. Cari saluti a tutti,

    Alberto Toni

  8. cari amici,
    il libro di Maurizio Cucchi che ho letto a fondo è un libro importante e va letto, indifferentemente si sia poea o critico o lettore. Al di là dei singoli articoli di cui si compone, le cose che mi hanno colpito sono: l’umiltà nella lettura, non solo dei maestri da lui riconosciuti, com’è più intuitivo che sia, ma anche dei coevi; la passione per un orizzonte espressivo, la poesia, traguardato senza alcun preconcetto e in buona misura in grado di dargli anche coordinate di riferimento per il suo fare di poeta. Cucchi a queste due qualità ha poi saputo aggiungere nitore e sagacia. Sagacia nell’interpretare un così complesso mondo quale è la poesia contemporanea con un’acutezza rara per chi come lui, avendo dalla sua un autonomo e ben delineato respiro poetico, deve ricombinare il diverso passo della scrittura critica; nitore per una esposizione affatto nervosa, densa com’è di accortezze stilistiche.
    Speriamo che si riesca sempre di più ad avere una visione sulla contemporaneità della poesia in grado di ordinare una materia magmatica, certo, ma che abbisogna proprio di sguardi profondi e acuti, come quello di Cucchi.

  9. Sì, Luigia, non dubito che sia così; che, cioè, anche i poeti possano essere dei buoni critici (e, a quanto intendo da chi ha già letto il libro, Cucchi lo è). Io stesso provo ogni tanto a scrivere di altri poeti e cerco di farlo con onestà (che è il minimo). Ma – detto per inciso – non sono certo che una critica da affare privato non abbia futuro. A volte ha una tale forza nel presente che diventa futuro… Del resto, non nego che anche scrivendo di amici si possa fare una critica onesta, anche se un po’ d’affare privato c’è e il sospetto resta. Tuttavia, dove sono più i critici come – che so? – Debenedetti, dei quali si sono giovati poeti come Saba ecc.?

  10. Caro Francesco,
    rispondo dicendoti che il presente non sempre è il futuro per un poeta. Non è detto, cioè, che un poeta ‘si giovi’ nel futuro – nel tempo futuro – di una buona critica ricevuta da un amico.
    La vera poesia restiste al tempo e alle buone o cattive critiche. Ciò non significa che nel presente non possa giovare a un poeta che compia un lavoro rigoroso sulla lingua e sui contenuti della propria poesia, di essere diciamo così ‘gratificato’ da una buona critica, fatta da un poeta o da un non poeta.

  11. Rispondo ora a Francesco agganciandomi al discorso che faceva Alberto Toni, che parla -giustamente – della necessità di tracciare le linee della poesia di questi ultimi anni.

    Alberto, che pure legge molta poesia-presente, parla di “Linee, esperienze plurali, ma tutte, nel segno di una poesia di precisione, non puramente formale, ma di essenza ontologica. Linee anche comuni, che ritrovo in tanti libri letti di recente. Eliminare il superfluo, per ridurci davvero a un essenziale. Quasi come una poesia che si ritrova a raggiera nelle diverse esperienze.”

    Alla domanda che pone Alberto Toni: “C’è un sentire comune?”

    Io mi sento di rispondere che c’è un sentire comune e che questo sentire comune dovrebbe espandersi nella costruzione di una linea che tracci anche l’esperienza della poesia di questi ultimi anni.

    Il discorso, in questi termini, mi sembra costruttivo.

    Io sono a disposizione della poesia e dei poesti, con il mio blog, a lavorare insieme su questo ‘sentire comune’.

  12. Per quanto riguarda Francesco Napoli, gli dico che sono d’accordo con il suo pensiero. Anch’io, avendo oltretutto presentato il libro di Maurizio Cucchi con Fabrizio Fantoni, mi sento di dire che è un libro importante e che va letto. Cucchi traccia, appunto, una linea di poesia che parte da Zanzotto e arriva fino ad alcuni importanti poeti del Secondo Novecento; ne cito solo alcuni: Zeichen, De Angelis, Magrelli. Ma anche Bellintani, Piccoli, Erba, ma anche Bellezza, Baldini, Krumm e Giudici. Il lavoro che fa Cucchi è importante. Perchè è un lavoro meticoloso, di selezione e di organizzazione di un materiale vastissimo. La scelta – la linea – che dà Cucchi al libro – insieme a Valeria Poggi che ne ha curato l’edizione – è stata quella di dare al testo una impostazione di cronaca, di testimonianza reale del percorso della poesia italiana a partire dagli anni Settanta.

    Quello che dobbiamo augurarci, dunque, che si riesca sempre di più ad avere una visione della “Poesia presente”, come dice bene Francesco Napoli nel suo libro, appena pubblicato

  13. Bellissima serata quella di ieri, e velocissima-attentissima Luigia che in tempi record aggiorna questo blog.
    Ieri questo “sentire comune” c’è stato. E non solo perché erano presenti gli esponenti più importanti della poesia contemporanea.
    C’è stato perché si sentiva un atto di comunione, quasi di comunità nello stare insieme nel condividere quel momento – almeno io l’ho vissuta così. Un momento pago di sé stesso.
    Questo sentimento nasce da un bisogno forte di confrontarsi sulla poesia contemporanea che moltissimi (addetti ai lavori e non) cominciano a sentire. A questo ci richiamava ieri M.Cucchi, mettendoci in guardia dalla feroce indifferenza nella quale rischia di cadere la poesia oggi.
    M.Cucchi ha ragione: non si parla più delle Forme, dei contenuti, delle intenzioni… non si parla più, non si discute più, e basta. Ma il bisogno c’è, forte e latente.

    Dal mio canto sarei voluto intervenire con una riflessione e, visto che non c’è stato tempo e modo, lo faccio qui.
    Una riflessioni dunque vorrei farla ma “contro i poeti” e contro me stesso ovviamente.
    La situazione critica che la poesia vive oggi a cosa potremmo ricondurla? Non può essere – credo fermamente – la sola conseguenza di una degenerazione culturale. I poeti e i critici devono prendersi le loro responsabilità a riguardo.

    Ricordo un saggio incredibile, di quelli che mi accompagnano ancora e risolvono tutti i miei dubbi: Poesia contemporanea, di Salvatore Quasimodo (1946):
    ___________________
    […] l’impegno del poeta è ancora più grave, perché deve rifare l’uomo, quest’uomo disperso sulla terra, del quale conosce i più oscuri pensieri, quest’uomo che giustifica il male come una necessità, un bisogno al quale non ci si può sottrarre, che irride anche al pianto perché il pianto è “teatrale”, quest’uomo che aspetta il perdono evangelico tenendo in tasca la mani sporche di sangue.
    Rifare l’uomo: questo il problema capitale. Per quelli che credono alla poesia come a un gioco letterario, che considerano ancora il poeta un estraneo alla vita, uno che sale di notte le scalette della sua torre per speculare il cosmo, diciamo che il tempo delle “speculazioni” è finito. Rifare l’uomo, questo è l’impegno
    ____________________

    Io credo che critici e poeti – per mille e più ragioni – abbiano (abbiamo) peccato di questo: rintanarsi sulla torre, con la sola speranza/vanità di speculare il cosmo.

    Ieri si è parlato molto dell’eterno io irrisolto nella poesia contemporanea, di sogno, ferita, trauma (in tedesco Traum>sogno).
    Non si può che pensare alla ferita nell’essere di Luzi, o prestamente all’io frammentario di Zanzotto (il più grande dopo Montale secondo Contini), e quindi Montale, la sua poetica del Non chiederci la parola.
    Il conflitto è quello di sempre: quello della Metafisica che deve fare i conti con la vita, col transeute, col fenomeno governato da leggi autonome e impalpabili.
    Ora questo è il logos intorno al quale secondo me dovrebbe interrogarsi una poetica contemporanea: si può ancora ricostruire? Si può ancora vivere una vita che non sia “pulviscolare” (per usare un espressione del Maestro). Si può ancora “Chiederci la Parola” ?

    Io credo, fermamente, di sì.
    Credo che il potere della Parola sia infinito e che lì dove non riusciamo “ad aprire mondi”, a mettere ordine nell’ “animo nostro informe”, è perché non sono state ancora inventate le Parole esatte, opportune, per parlare delle Cose del mondo.
    Rifare l’uomo e, aggiungerei, rifare il mondo, le parole.
    Questo è l’impegno.

    grazie mille

  14. Caro Riccardo, grazie.
    I poeti ci parlano, e , per fortuna, continuano a parlarci, come ben sai.
    Impegnamoci, dunque, nel ‘fare’ poesia, nel ‘fare’ proprio secondo la parola.
    Grazie del tuo intervento.

  15. Aggiungo solo una piccola nota, per Annarita Chierici, straordinaria interprete, in particolare, della poesia di Andrea Zanzotto “FUISSE”, (come molti di voi sapranno non è proprio facilissimo leggere Zanzotto), che qui ricordo:

    Pace per voi per me
    buona gente senza più dialetto
    senza pallide grandini
    di ieri, senza luce di vendemmie,
    pace propone e supremo torpore
    l’alone dei prati la cinta
    originaria dei colli la rosa
    dispersa il sole
    che morde tra le tombe.
    Ah la cicuta e il poco
    formicolio, non più, colà sepolto.
    Ah l’acqua troppo tenue che mi cola
    oltre la gola e gli occhi e di là di là s’invischia
    in tiepidi miseri specchi
    su cui l’ortica insuperbisce.
    Ed ah, ah soltanto, nei modi
    obsoleti di umili
    virgili, di pastori castamente
    avvizziti nei libri, nella conscia
    terrena polvere, ah ripeto io versato nel duemila.
    -Ah- risuona il colloquio
    in eterno sventato,
    dovunque io passi, ovunque
    l’aria mai sfebbrata mi sospinga,
    la selva mi accompagni
    e impari la vicenda non umana
    del mio fuisse umano.
    Futura età, urto di pietra,
    sulfureo sangue che escludi
    che inintelleggibili fai questi
    fiori e gridi ed amori,
    non-uomo mi depongo
    ad attenderti senza nulla attendere,
    già domani con me nel mio fuisse,
    pieghe tra pieghe della terra
    cieca ad ogni tentazione d’alba.

  16. Sono pienamente d’accordo con Riccardo. Quella di ieri è stata una serata permeata di magica atmosfera, resa ancora più intensa dalla notevole lettura delle poesie fatta da Annarita Chierici. Maurizio Cucchi è sicuramente una persona che ha sempre creduto, e continua a credere fermamente, nella poesia e nella forza del messaggio poetico.

  17. ciao a tutti!
    che Cucchi sia tra i più acuti osservatori, critici e mediatori di poesia in Italia è assodato (senza dimenticare che probabilmente sia anche il più grande poeta esistente). Credo, comunque, che lo stesso segua la scia di Bonnefoy per rispolverare, rivitalizzare l’intervento e lo spirito critico che ogni poeta debba possedere nei confronti di un altro. Una critica che non abbia un carattere amministrativo-pubblicitario ma che riesca a guidare il lettore ( e il giovane poeta ) nel panorama contemporaneo. Niente di nuovo a dirsi ma sappiamo,credo,che,nonostante la splendida fioritura di blog, forum oppure della rinnovata crescita di riviste letterarie,la poesia contemporanea o meno recente fa fatica a trovare giovani critici che riescono a proporre, sintetizzare e magari confrontare le opere dei nuovi, o ripeto, “vecchi” autori.

    Mi muovo su questo versante : la ricerca di nuovo si è sfiacchita. E non è questione di interessi editoriali, anzi.
    L’editoria si è sempre mossa dove la densità di interesse è più elevata. Ma se il lettore-critico non conosce o se conosce resta lì, percorrendo la linea benevola atta a complimentarsi del lavoro senza giudicarlo a pieno, allora la strada resterà scoscesa, inadatta per il confronto.
    Savinio diceva : ” un buon critico si vede dalla capacità di come riesce a graffiare” . Condivido appieno. Bisogna proporre, leggere con ostinata umiltà,cercare la parola altrui a costo di girare e rigirare librerie e magari, poi, criticare lo stesso Cucchi per aver omesso determinati autori dalla sua “cronaca”.

    Spero di non essere stato troppo prolisso,
    un saluto..
    Bruno.

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