In un’atmosfera di erotismo conturbante, sospesa tra le note dissonanti dei “Joy Division” e la metafisica silenziosa dei quadri di Hopper, “La divisione della gioia” si sviluppa come un poema d’amore di lacerante intensità e bellezza, in cui voci maschili e femminili si richiamano, si scontrano, si cancellano, si confondono. Un dialogo incessante, in cui si alternano tenerezza e abbandono, rapimento e paura della perdita, e che si dirama come il delta del fiume su cui i personaggi si muovono, si lasciano, si ritrovano, tra sfondi naturali e paesaggi post-industriali che ricordano il “Deserto rosso” di Antonioni. Dialogo teatrale o racconto in versi? A qualunque luogo appartenga, questo libro batte e ribatte senza sosta, con un ritmo fermo e implacabile, la materia dei giorni, la storia di uno e l’ansia di tutti, il canto che silenziosamente accompagna la divisione del dolore e della gioia.
“La divisione della gioia” di Italo Testa, Transeuropa Edizioni 2010 (euro 9,50)
Qui ho appreso la luce sciolta sugli scafi al mattino
il buio incandescente e l’anima buia dei rami,
qui ho imparato a dissipare gli occhi, la bocca, il fiato,
a calarmi all’alba dentro un vestito di brina
qui ho svegliato sui fossi le canne inanimate nel bianco
la frontalità ignara dei pioppi eretti come ceri,
qui ho imparato a distinguere nel manto uniforme del giorno
l’intonaco di case insaponate nella nebbia,
qui ho perduto nell’acqua il tuo pegno raschiato dal cuore
e in un pomeriggio ignaro ho confuso i corpi e i volti,
qui ho consumato gli occhi sul volto lucente del mondo,
qui sull’argine alto mi sono inumato nel freddo.