Marcella Corsi ci propone tre poesie di Katherine Mansfield incluse nel volume a sua cura intitolato Il vento, il riso, il volo che verrà presentato a Roma il 9 marzo alle 17,45 presso la libreria Odradek in via dei Banchi vecchi 57.
“Voglio scrivere poesia. Tremo sempre sull’orlo della poesia. I mandorli, gli uccelli, il boschetto dove tu sei, i fiori che non puoi vedere, la finestra aperta alla quale m’affaccio e sogno che tu sia appoggiato alla mia spalla” (dal Diario, 22 gennaio 1916. Katherine Mansfield si rivolge al fratello, morto tre mesi prima sul fronte belga).
“I want to write poetry. I feel always trembling on the brink of poetry. The almonds, the birds, the little wood where you are, the flowers you do not see, the open window out of witch I lean and dream that you are against my shoulder” (Journal of Katherine Mansfield, definitive Edition by J. M. Murry, Constable, London 1954, p. 94).
di Marcella Corsi
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‹‹Conosciuta, allora e oggi, come squisita autrice di racconti, Katherine Mansfield considerò certo il suo scrivere in versi come un’attività secondaria rispetto all’impegno di narratrice. Ma dal 1909, e soprattutto nel periodo immediatamente successivo alla morte del fratello, scrisse diverse poesie, in un modo che era insieme senza pretese formali eppure esigente, semplice e tuttavia acuto, talora ironico, sensibile, attento ai particolari. Senza avere forse alcun desiderio di essere considerata un poeta. Avvertendo tuttavia lo scrivere in versi come una genuina esigenza interiore legata alla rielaborazione delle emozioni più profonde. Nei testi poetici la Mansfield espone il nucleo più indifeso del suo porsi in relazione con il mondo. E il suo fare poesia sarà sì semplice, quasi sempre non rifinito ma personale, consapevole della propria diversità, diretto e in comunicazione col vissuto.
La poesia sembra offrirle uno strumento in più anche per rispondere a quell’esigenza di autenticità, di onestà intellettuale ed emotiva che Katherine sente fortemente sia nella vita che nella scrittura, inscindibili per sua esplicita reiterata affermazione.
Scrive nell’ottobre del ’21: “Non credo di essere una buona scrittrice […] So esattamente quali sono le mie deficienze. Eppure, quando ho finito una novella, prima di cominciarne un’altra, mi sorprendo a far la ruota […] È una specie di eccitamento interno che non dovrebbe esistere […] qualunque cosa io scriva con questa disposizione d’animo non può avere alcun valore […]. Forse la poesia mi potrà aiutare” (Katherine Mansfield, Diari, a cura di Sonia Ciampoli, Roma, Robin 2002, p. 177-178).
Coerenti con le intenzioni di limpidezza, di verità si mostrano le scelte della scrittura poetica della Mansfield: percezione empatica della realtà, lirismo asciutto, ironia, concretezza del gesto descrittivo, nitidezza nella resa dei particolari, semplicità delle scelte verbali. Nonostante la loro semplicità o forse anche in ragione di essa, i suoi versi hanno un fascino particolare, disincantato e naturale, perentorio. Parte del quale deriva dall’uso in parecchi casi assai parco della punteggiatura.
I testi che qui si propongono presentano la punteggiatura originale recuperata dell’edizione dei Poems curata da Vincent O’Sullivan nel 1988, poi ristampata nel 1990, presso la Oxford University Press. Tradizionalmente invece le poesie della Mansfield erano conosciute nelle edizioni curate nel 1923 e nel 1930 da John Middleton Murry, che fu per diversi anni compagno di vita e di avventure letterarie di Katherine.
La poesia di Katherine era assai poco corrispondente ai canoni correnti (così come la sua prosa era assai più moderna di quella generalmente pubblicata nel periodo). Quando John Murry le chiese nel ’12 di collaborare più assiduamente alla rivista «Rhythm», Katherine gli mandò delle poesie ma le definì “esercitazioni in versi liberi” (Poems of Katherine Mansfield edited by Vincent O’Sullivan, citato, pp. 87-89). I suoi testi poetici, anche i più riusciti, erano spesso delle minute, comunque delle prime stesure: la sua attenzione di scrittrice era rivolta altrove. E per John, costretto ad ammettere che “forse la sua poesia non era proprio poesia”, era evidente la necessità di rintuzzare le eventuali critiche con limature ai testi, anticipazioni di date, aggiustamenti di vario genere, tra cui frequenti aggiunte di segni d’interpunzione. L’eliminazione degli interventi correttivi operati da Murry sui testi poetici della moglie ci consente di immaginare con vivezza la velocità di composizione dei testi poetici e ne fa risaltare la modernità.
Molto nella poesia di Katherine va infatti nella direzione di una innovativa sveltezza, dell’immediatezza e dell’autenticità espressive. Il che le impone di rompere con le regole canoniche del versificare, se mai qualche volta le sembri di comporre poesie.
Innovazione e modernità. E un’accentuazione della ‘narratività’ del verso che giustifica l’introduzione, in traduzione, dell’enjambement.
“Bisogna morire un po’ a se stessi e alla propria scrittura (e al di là di questa, alla propria lingua) per dire che si è tentato di tradurre” (Bernard Simeone, Tradurre poesia, «Testo a fronte», n° 26 (giugno 2002), p. 168).
La traduzione di poesia è un’esperienza globale, un corpo a corpo di grande intensità, che dall’attrazione iniziale all’ascolto via via più articolato e particolare delle condizioni dell’altrui scrittura (e vita) passa per non poche rinunce a sé e al proprio modo di versificare. Per terminare solo quando i dati acquisiti attraverso lettura e ascolto riescono ad indossare sulla pagina l’abito più adatto tra quelli di cui la parola del traduttore dispone.
Comporta cioè il rischio di perdersi nell’universo poetico di cui il testo è particolare seppure minima espressione. E più si avanza sulla strada della conoscenza di tale universo più aumenta il pericolo che la ‘corrispondenza d’amorosi sensi’ all’origine della selezione di autore e testi da tradurre si trasformi in identificazione e perdita di sé.
Costituisce un buon antidoto la consapevolezza che si traduce per qualcuno, e che al lettore si vorrebbe lasciare lo spazio di ulteriori interpretazioni del testo o almeno di qualche aggiunta o aggiustamento. Fatta salva naturalmente l’intenzione di fedeltà all’originale, da cui si parte.
E si fa strada il piacere della resa dei versi nella lingua di chi traduce. Qui il testo iniziale raccoglie anche il contributo specifico del traduttore, che, intenzionato a rendere fedelmente l’originale, non può comunque esimersi dal lasciare un po’ di sé sulla pagina che ospita la poesia nella lingua di arrivo››.
di Marcella Corsi
SANARY
Oltre la palizzata fitta di palme luccicanti
la piccola stanza rovente guardava sulla baia.
Lì avrebbe voluto riposare nell’ardore del giorno
la testa bruna abbandonata sulle braccia
tanto quieta e silenziosa che non sembrava
pensasse sentisse nemmeno che sognasse.
La tela scintillante del mare pendeva
dal cielo abbagliante ed il sole ragno
con diligente spaventevole crudeltà
strisciava sul cielo e filava, filava
perfino ad occhi chiusi lo vedeva e le barche
piccole prese nella rete come mosche.
A quell’ora pigra nessuno passava sulla strada
polverosa, un odore di mimosa morente
s’allungava nell’aria ma dolce – troppo dolce.
SANARY
Her little hot room looked over the bay
Through a stiff palisade of glinting palms
And there she would lie in the heat of the day
Her dark head resting upon her arms
So quiet so still she did not seem
To think to feel or even to dream.
The shimmering blinding web of sea
hung from the sky and the spider sun
With busy frightening cruelty
Crawled over the sky and spun and spun
She could see it still when she shut her eyes
And the little boats caught in the web like flies.
Down below at this idle hour
Nobody walked in the dusty street
A scent of dying mimosa flower
Lay on the air but sweet – too sweet.
L’ABISSO
Ci separa un abisso di silenzio
io da una parte – tu dall’altra
non posso vederti né sentirti – pure so che ci sei –
spesso ti chiamo col tuo nome di bimbo
e fingo sia la tua voce a far eco al mio richiamo.
Come superare l’abisso – mai parlarti o toccarti.
Un tempo pensavo potessimo colmarlo di lacrime
ora voglio con te squassarlo di risate.
THE GULF
A gulf of silence separates us from each other
I stand at one side of the gulf – you at the other
I cannot see you or hear you – yet know that you are there –
Often I call you by your childish name
And pretend that the echo to my crying is your voice.
How can we bridge the gulf – never by speech or touch
Once I thought we might fill it quite up with our tears
Now I want to shatter it with our laughter.
L’UOMO CON LA GAMBA DI LEGNO
C’era un uomo abitava proprio vicino a noi
aveva un gamba di legno e un cardellino in una gabbia
verde, si chiamava Farkey Anderson
ed era stato in una guerra per conquistarsi quella gamba.
Eravamo molto tristi per lui
perché aveva un sorriso così bello ed era un uomo
così grande per vivere in una casa tanto piccola.
Quando camminava per strada la gamba
non si notava troppo ma nella sua piccola casa
faceva un terribile rumore.
Diceva il fratellino ch’era per non fargli sentire
il rumore di quella povera gamba, perché
non se ne dispiacesse troppo, che il suo cardellino
cantava più forte di tutti gli altri uccelli.
THE MAN WITH THE WOODEN LEG
There was a man lived quite near us
He had a wooden leg and a goldfinch in a green cage
His name was Farkey Anderson
And he’d been in a war to get his leg.
We were very sad about him
Because he had such a beautiful smile
And was such a big man to live in a very little house.
When we walked on the road his leg did not matter so much
But when he walked in his little house
It made an ugly noise.
Little Brother said his goldfinch sang the loudest of all other birds
So that he should not hear his poor leg
And feel too sorry about it.
Katherine Mansfield (pseudonimo di Kathleen Beauchamp) nacque nel 1888 a Wellington. A vent’anni lasciò la Nuova Zelanda per l’Europa. Il primo volume di racconti, In a German Pension, fu pubblicato a Londra nel 1911. Nel 1918 uscì il racconto lungo Prelude. Delle raccolte di racconti che la resero famosa solo due furono pubblicate prima della sua morte, avvenuta a Fontanbleu nel gennaio del 1923: Bliss and Other Stories (nel 1920) e, nel 1922, The Garden Party and Other Stories. A cura di John Middleton Murry uscirono l’anno successivo i racconti di Dove’s Nest and Other Stories e i Poems, nel 1924 la raccolta Something Childish and Other Stories, nel 1927 The Journal, nel 1928 The Letters, nel 1930 Novels and Novelists.
In italiano sono disponibili non solo in biblioteca: Racconti (a cura di M. Guiducci), BUR Rizzoli 2001; Il nido delle colombe, Marsilio 2002; Diari (a cura di S. Ciampoli), Robin 2002; Felicità e altri racconti (a cura di M. Ascari), Marsilio 2004; Tutti i racconti (a cura di F. Cavagnoli), Mondadori 2006; Tutti i racconti, Newton Compton 2008.
I Poems furono riediti in edizione ampliata nel 1930. Sanary, The Gulf e The man with the wooden leg furono scritte tra il novembre 1915 e il febbraio 1916 durante un soggiorno di John e Katherine a Bandol, nel sud della Francia. Sanary è un paesino vicino a Bandol.
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Marcella Corsi è antropologo museale e poeta. Ha pubblicato saggi, poesie e traduzioni di poesia, racconti. Tra le pubblicazioni di poesia: Cinque poeti del premio “Laura Nobile” (Scheiwiller 1992); Hanno un difetto i fiori (Amadeus 1994), Distanze (Archivi del ‘900, premio Antonia Pozzi, 2006); Il vento, il riso, il volo. Versioni dai Poems di Katherine Mansfield (Galaad 2010). È redattrice del semestrale di ricerca e cultura critica ‹‹Poliscritture››.
Trovo perfettamente riuscita la scelta dei tre testi sopra riportati che rendono in pieno la bellezza della poesia della Mansfield, così poco conosciuta e solo quantitativamente inferiore alla sua produzione in prosa. La grande vena narrativa che circola tra i versi carica di una tensione ulteriore il valore poetico che le sapienti traduzioni di Marcella Corsi fa risaltare con un’evidenza che è gioia pura per gli occhi e per il cuore di chi legge.
Grazie, Fabio, del commento lusinghiero. La scelta dei testi voleva dar conto in modo sintetico dei diversi registri della ‘narrazione poetica’ di Katherine, pressocché sconosciuta a paragone della considerazione di cui godono le narrazioni in prosa ma anche secondo me degna di attenzione.
Un caro saluto.
Marcella