Opere Inedite, Maria Pia Quintavalla

Il rapporto che Maria Pia Quintavalla ha con la scrittura è di “passione necessaria, nervosa, dai visceri alla testa, ma di fondamenta, ormai, del mio pensare e del mio vivere. Quindi di funzionamento del mio essere.”

Poi Maria Pia tenta un’analogia e scrive: “il rapporto che ho con la poesia è quello che si intrattiene con una buona madre, un doppio di sé per vivere, un pedale, uno strumento, un arto non fantasma; una fiera sorgente (Lettere giovani), da cui apprendere, oppure, una fiaccola concreta, (Le moradas), luce che rende capace di dare forma.”

Per Maria Pia “il dettato interiore crea, da sé, mute forme desideranti, e crea con il fare della e con la lingua non usuali forme, come le musicali, chiavi di violino ad es. per una esatta dizione del mondo ( Le moradas), utopia della mia visione del mondo, e al mondo; modalità affettiva e linguistica pregnante, contrapposto a certo pensiero debole, e tale da diventare un alfabeto vivente, in azione, e perenne. Come la vita, in metamorfosi.”

“Per me la poesia è parte dell’umano destino, sua sintesi significante. Dopo che musa o Beatrice, senso del viaggio. Strada e cammino, anche: voce e voci, loro strumentazioni, verità-passione e sue tecniche, ovvero orchestrazione di verità possibili, sue approssimazioni almeno: ‘verità e passaggio’, anch’io..”

di Maria Pia Quintavalla

…..

E’ sorella!

Compianto in terracotta, III

Ed è sorella rinata dalle ceneri,
bisogna che io parli di Adriana

rinata là mi aspetta
nella casa dove ha vissuto il padre,
ha taciuto di lui mi ha accolta
accucciata a terra poi, Sono qui
vengo a prenderti ristorati,
la tua casa e la mia sono nate qui:
stesso spazio, sogno lo stesso
sosteneva i suoi occhi prima di morire.
Le sue stanze combaciano là sopra
alle altre native
ma hanno sagome aperte più spaziate
agli esterni, trapezi e cerchi verso
i gradi della vita poi, quadri rombi di luce
che veleggiano
n e l l ‘ a l t o.

La notte stanno a schiera (all’erta)
sul Convento i lampioni
la punteggiano nel parco
sostengono la sera.
C’è un tepore dove la donna ha procreato
amato e perso i suoi bambini,
una soltanto è viva, i ritratti piccoli
fulgidi la salutano ogni giorno.
Lei si alza pigra, ci prepara il caffè
parliamo – poi stiamo ore
a rimirare la beltà
e la luce in dolce sfondo esplodono
piccole nicchie ombrose
dai cespugli del San Paolo.

II)
Il portafoglio in pannolenci a stelle
era la nicchia dove tenevo le sue chiavi:
entravo e uscivo dalla casa
come una regina –
quando salivo da Adriana
sapevo di possedere le altre chiavi
del regno per salire,

la discesa resa agile dai p i e d i.
A notte garrule,
chiacchieravamo del San Paolo come sue
guardiane né gli occhi si stancavano
vagando nella musica i bicchieri,
sapevo che là sotto
al suo secondo piano un bel varco
attendeva propiziando notte
il sonno dei felici,

negli occhi la sopita infanzia
si mostrava.

III)

Il mondo era moderno al quarto piano
come un’era adulta ma
più sotto era l’antro dei sogni, era l’infanzia.
Non era addio ma a rivederci a più tardi;
l’amica era la vita la libertà di affetti
amicizia adolescente che ti porta
piano va lontano in fiaba eterna
di una piccola me contenta come
l’entrare e uscire da una porta
q u e l l a soltanto una,

perché un padre aspetta.
Al piano che non s’apre più,
aspettava stava.

Ora il salto dei piani si è smarrito
l’ascensore scende direttamente
al pian terreno in un’uscita sola,
nessuno abita né solitario attende
alcuna voce dice,
E’ tardi va’ a dormire oppure,
Cosa vuoi per pranzo l’indomani.

Alcuno a notte lascia letterine scritte
in stampatello chiaro di grafia leggera
messaggi d’amore delicati
dove sentirsi al centro della vita
non già più in salita,
ma una mano che entra nella tua, soave
e certa, piano.

IV)

La popolazione che abita lassù
l’età moderna oggi è in ospedale.
Lei non popola tutta la mia notte
ma una parte,
quella dell’oggi di chi scrive e conta
qui dalla mano, tenta in un soffio
rinverdisce la cupola
ode sentieri giù dalle sue scale
e stelle, una cartografia leggera
suggerisce non più parole umane
ma sole, le minute
di un diario che si annuncia ponte o epistola,
abbandono a cerchi
della luce dove vivere vicini
all’ impronta di noi due,
in amore.

Maria Pia Quintavalla, nata a Parma, vive a Milano. Collabora all’Università statale di Milano con laboratori sull’italiano scritto.
I suoi libri: Cantare semplice, Tam-Tam 1984, Lettere giovani, Campanotto 1990, Il Cantare, Campanotto 1991, Le Moradas, Empiria 1996, Estranea (canzone) Manni 2000, nota A.Zanzotto, Corpus solum, Archivi‘900, 2002, Album feriale Archinto 2005, Selected Poems, Gradiva 2008, NY, China, Effige 2010. E’ presente nell’antologia Trent’anni di Novecento, a cura di Alberto Bertoni, Book, editore.

3 pensieri su “Opere Inedite, Maria Pia Quintavalla

  1. Molto singolare rivedersi a specchio: un autoritratto è sempre una parte dell’opera, un di più. .
    Ringrazio qui Luigia Sorrentino, e cadendo nell’anniversario dell’inizio della storia italiana, spero si inserisca in un concerto gioioso,anche fuori da noi poeti!
    Maria Pia Quintavalla

  2. che bel regalo questo, Maria Pia!

    sono versi “abili” e belli dove non si può che non rimanere “intrappolati”.
    l’ultima in particolare poi…
    complimenti.
    roberto

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