Ida Travi, Tà

Ida Travi in “Tà, Poesia dello spiraglio e della neve” Moretti e Vitali, 2011 ci mette di fronte a un mondo poetico abitato da esseri umani.  Questi esseri umani, scrive la Travi: <<Sono esseri comuni, sono post. Post-studenti, ex-lavoratori, viandanti. Uomini e donne trasfigurati dalla poesia vivono in un luogo austero. Forse una casa, forse una ex-fabbrica… una futura scuola o lo scantinato d’un teatro. Forse un vecchio monastero. È un luogo limitato da assi, chiuso da lenzuola… A cavallo del tempo c’è una fastidiosa nebbia, c’è molta umidità.

“Tà, come la lancetta che si sposta. , come un taglio nella tenda.
C’è una fessura nel legno. Se guardi bene vedi un pugno di terra. Se ascolti bene senti un colpo di bastone. C’è qualcosa che cade e non rotola. C’è una goccia che non disseta. C’è un sasso proprio in mezzo alla stanza. C’è una spoliazione in atto. C’è un albero, uno sfrondamento.”

C’è qualcuno che batte alla porta… La porta si schiude come una porta, oltre c’è un altro vano. Si intravedono esseri dai nomi mondiali: Olin, Attè, Inna, Antòn, Katrìn, Usov. Puoi vederli solo ogni tanto, per un attimo, inquadrati a strisce dietro lo spiraglio. Vanno e vengono. Ripetono sempre le stesse cose. Appare per un attimo anche una certa Sunta.
Sono esseri di questo mondo, l’esatto contrario degli dei. Non hanno un paese, non hanno l’età. Li riconosci dalle tute, dai grembiuli collettivi.
Parlano una lingua ridotta all’osso. Sono in conflitto tra sé e sé, e sono in conflitto tra loro. Si vergognano d’una parola in più. Si muovono in una specie di bagliore cementato in grigio. La loro voce arriva grave. La loro voce è bassa. Aspettano, ma cosa?
Nell’attesa di qualcosa c’è un piano di vita superiore, c’è un ramo superiore, un raggio semplice. Ognuno metà santo, ognuno metà imperdonabile. Qui il buio d’una colpa non commessa e la luce d’un vivere spirituale vanno insieme, arrivano alla stessa cella.

C’è un minimo movimento, come una corsa frenata all’interno di una miniatura. Ci sono dei vuoti poggiati sul battito d’una vecchia pendola, su un cuore che si riavvia.
Questi esseri umani si sdraiano, si rialzano. Si rivestono sommariamente. S’affacciano allo spioncino. Ci mostrano l’occhio. Aspettano la parola che risveglia, lo scatto. Ma intanto… che fare con questa poesia?
Questo luogo si chiama Tà. È crudele come un orologio al muro.
Tà, come tavolo, talamo, tasca. Tà come fine d’eternità… realtà, libertà… volontà… verità, vanità, carità, carità, carità!… Voci spente gettate sul nostro sonno… Eppure, nel bel mezzo del sogno, il corpo si sveglierà, sarà nuovo.
Dunque c’è un passaggio là fuori. C’è una breccia in casa… Olin, Attè, Inna, Antòn, Katrìn, Usov… Da un lato ci sono loro e dall’altro ci siamo noi… Loro chi? Noi chi?
Gli antichi greci con Tà annunciavano la natura plurale delle cose e degli esseri del mondo…
Ma ora a guardar bene, qui c’è solo neve… c’è solo tanta neve.
Per amore della verità abbiamo rinunciato a ogni abbellimento.
“… mi senti ancora, Olin?” Tutto è così familiare, tutto è così silenzioso…”>>
di Ida Travi

 

LA TERRA
( non ti serve una pala )

  

Non ti serve una pala per scavare un’anima

Vuoi vedere
che mi tolgo il cappotto?

Vuoi vedere
che mi tolgo il secondo cappotto?

E adesso, lo vedi, il mio spirito, lo vedi?
( sento la musica della tua parlata )

Sento la musica della tua parlata
innalzarsi e ricadere sulla testa
come un gesso, come un gesso
Sento che tiri ganci, pianti chiodi

Che ne è degli usignoli?

Sento i pini sollevarsi nella neve
alta come un muro
Sento la terra tutta immacolata
presa a badilate nel suo letto

Usov… Usov…

Ma che vuol dire?

È andata in pezzi la porcellana, e ora…

Usov, com’è triste la vita, qui
lassù, nel cielo, invece, invece…

 


( una piccola porta )

 

Una piccola porta e l’insegna che sbatte
– umanità –

Entra, allora TÀ

Una piccola porta e l’insegna che sbatte
Svègliati, dunque, hai mille anni, ora!

Come un albero svettante nella sera
uno scheletro orgoglioso TÀ
entra! TÀ. Come un mandorlo secco TÀ
tutto solo, TÀ
Come un albero orgoglioso e secco TÀ
tutto solo TÀ , tutto solo e svettante
nella sera
sera.
*

( al muro la vanga, il rastrello )

 

Al muro la vanga, il rastrello
e tu con quel collo da tortora
entri nella luce del tramonto

La ruota del carro, la paglia del fieno

La morte del coniglio selvatico
salva la vita altrui, il suo sguardo
è la fine del tramonto

Lei canta e sogna il verde altopiano
guarda lontano, lontano
nella grandissima casa antica.
*

( sulla riva )

 

Sulla riva c’è un salice piangente
io mi sveglio e ci penso. Cosa fanno
nel buio le foglie verdi, perché tacciono?
perché tremano così?

Teneva una mano appoggiata al muro
con gli occhi ridenti. NO! quegli occhi
non erano ridenti. E parlava parlava
NO! non parlava

Come poteva il sole brillare così
sulla nuca nera, sulla schiena nera?

– Sbrigati, sveglia il bambino! –

Le campane chiamavano a distesa
chiamavano a distesa nel tramonto
Noi restavamo dove già eravamo
noi, oramai, eravamo lì per sempre.
 *
( cos’è questo gettarsi )

 

 

Cos’è questo gettarsi sempre avanti
come un sassolino…
Siamo forse nati per questo abbandono?

Avanti, lascia il ramo

Sentirai centomila consigli risuonare tra le fronde

per di là, dove è entrata la luce

per di là, dove è entrata la luce

Il mondo dopotutto è tuo fratello, e resta vivo.
( non lasciare il fiore )

 

 *

 

Non lasciare il fiore al sole, vedi bene
come tiene giù la testa, povera testa

Il cucchiaio va sotto il tovagliolo, il bicchiere
va messo lì davanti. A terra c’è la croce in controluce

Indicava col braccio
La vedi la tavola di legno scuro?

Era alto l’altare quella volta, e tu versavi lacrime
guardando giù per terra
Versavi lacrime guardando giù per terra
le mani in tasca, guardavi giù per terra.
Perché tremavi tanto? perché piangevi così?

*

( succede in alto )

 

Succede in alto, e in terra
saltella tristemente la bambina
sulla punta dei piedi
saltella come una pazza

Portami il fiore reciso

Vedremo la sua testa risalire
su, su, come quando alla finestra
batte il pettirosso
e alza la gola in alto
su, su, fino in cielo.

Ida Travi, poetessa, scrive per la musica e il teatro. E’ nata a Cologne in provincia di Brescia nel 1948, vive a Verona. Cura personalmente la regia e la messa in scena delle sue opere.
Giuliano Manacorda scrive di lei: «Poesia come verso, poesia come prosa: talvolta trascrivibile, talvolta no… Ida Travi si avvale di tutti gli strumenti classici e moderni da Omero a Platone, a Havelock alla Kristeva… in un discorso insieme arduo e rigoroso che prende l’avvio -dall’inizio della vita (da un lato il nutrimento, dall’altro il suono, la parola) il linguaggio come enigma sinché campeggia la parola dove narrazione e poesia si fondono…».

1 pensiero su “Ida Travi, Tà

  1. In ogni cosa c’è la presenza di tutto, se sappiamo ascoltare, a furia di ascoltare romperemo i ‘vetri’ della cristallizzazione e della ragione per vedere una foresta nascondersi in un sasso.

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