Giovanni Parrini, riunisce in Nell’oltre delle cose Interlinea Edizioni 2011 (euro 12) una nuova silloge in cui ripropone una conoscenza disposta a cantare l’oggettiva consistenza del visibile, ripercorrendo a ritroso la sua parcellizzazione nell’infinitamente piccolo, per poi cogliere nel silenzio del «suo fitto gerundio» l’imprevisto irrompere di una diversa meccanica, che sfugge alle misurazioni scientifiche. Proprio dal ciclo universale della vita, nel modo di comportarsi di atomi lucreziani, scaturisce così un’altra forma di visione dell’invisibile, che sussulta per la bellezza del creato, non rispetta le coordinate spazio-temporali e non cessa di interrogarsi sul mistero del vivere e del morire. Circoscritto nel cerchio di questa identità speculare, il libro si annuncia già nel titolo come il frutto di questo continuo scarto tra l’esatta e dimostrabile consistenza scientifica delle «cose» e il suo sconfinare di là dalla siepe che dell’ultimo orizzonte il guardo esclude: «proprio qui, / nell’oltre, / l’infinito».
(dalla presentazione di Giovanna Ioli)
Giovanni Parrini è nato a Firenze, dove vive e lavora. Ha una laurea in ingegneria meccanica. I suoi lavori poetici, già presenti e premiati in vari concorsi letterari, sono stati poi composti e organizzati in due libri: il primo, dal titolo Nel viaggio (LietoColle, Faloppio 2006) con prefazione di Neuro Bonifazi; il secondo, Tra segni e sogni, è uscito sempre nel 2006 per i tipi di Manni, con prefazione di Maurizio Cucchi.
Non c’è nulla da fare,
sai, non posso
trovare le parole per dire di te, scrivere
la tua assenza,
la lontananza smisurata,
che un miracolo d’amore,
talmente grande da travalicarla,
ha trasformato in me,
ne ha fatto vicinanza,
meraviglioso sentirti affiorare,
pelle alla mia pelle,
sorriso al mio sorriso,
occhi, che in me si chiusero, ai miei occhi
Al colmo di un ricordo,
tutto diventa uguale,
non ha senso,
o ce l’ha e non lo sai:
basta un sospiro, che ti si confondono
la rinuncia e il motivo,
tratti diversi a una stessa sembianza:
erano giochi sfrenati sul prato,
flanella appiccicata alla pelle sudata,
corsa, pallone, un due tre stella, alberi,
che dalla scorza assorbivano l’odore
del fiato e delle lappole,
sono fantasie di scarabocchi
e una macchia, il cielo,
caldo, tra foglio e gota.
Questo viaggio precario,
per liquor amnios scelte gioie mali,
è amor senza luogo,
idea disseminata
nella fornace primordiale,
sempre rigerminante
in sofismi e affanni. Tale viaggio
che trasogna equilibri
attorno a qualche fulcro inabissato,
se ne va trascinato da un punto
immaginato, o vero,
che ruota attorno ad altri spersi cardini,
concatenati: è un passaggio geloso
della vivissitudine,
un perpetuo sentire che siamo
anelli l’uno all’altro,
d’una catena con gli estremi ignoti,
fluttuanti nella tenebra.