Mark Strand, in assoluto una delle voci più rilevanti della poesia contemporanea, ha appena pubblicato in Italia per gli Oscar Mondadori una raccolta di tutte le poesie: L’uomo che cammina un passo avanti al buio, Oscar Mondadori, 2011 (euro 15,00).
In questa video-intervista realizzata da Luigia Sorrentino il poeta di origine canadese, Mark Strand, premio Pulitzer per la poesia nel 1999, rivela un’inedita lettura di tutta la sua opera poetica.
Intervista di Luigia Sorrentino
Accademia Americana di Roma
18 marzo 2011
Siamo qui per parlare della sua opera di poeta, l’opera di un poeta definito della ‘montagna e del mare’, con tratti peculiari che lo differenziano da altri poeti suoi contemporanei statunitensi.
Innanzitutto ci dica una cosa…
Lei come altri scrittori, si era avviato alla pittura, scoprendo poi, a un certo punto, di dedicarsi totalmente alla scrittura… è successo a Orhan Pamuk, premio Nobel per la Letteratura del 2006, ed è accaduto a lei che nel 1957, a 24 anni, ha deciso di vivere da poeta. Ci racconta com’è andata? Che ricordi ha dei suoi esordi letterari?
“Ho sempre letto poesie, sebbene fossi un pittore, ero uno studente d’arte, non ero un pittore vero e proprio ma bensì uno studente pittore, ma in un certo modo l’essere uno studente d’arte mi aveva preparato per la scrittura, perché avevo il senso della formalità dell’impresa, prima davo forma alle immagini e in un secondo momento davo forma alla poesia. Deve esserci molta armonia tra la prima linea, quella centrale e quella alla fine, proprio come in un quadro, tutti gli elementi si uniscono. Ho rinunciato alla pittura perché ho capito che non ero un buon pittore, dopo mi sono dedicato alla poesia, ma non ero un bravo poeta. Ma ho sentito che avevo la possibilità di migliorare come poeta. Ci sono stati anche altri motivi. Nella mia famiglia i libri erano molto importanti, mi sono spesso sentito inadempiente come lettore e inadeguato come scrittore. E improvvisamente ho sentito il bisogno di compensare questa inadempienze e questa inedeguatezza scrivendo. E’ iniziato come un modo per rispondere ai desideri e alle speranze dei miei genitori.”
La sua prima poesia, quella scritta negli anni Sessanta, sembra dominata dalla pittura di Edward Hopper su cui lei ha anche scritto una monografia negli anni Novanta. Ci spiega come entra l’opera di un grande artista visivo, quale fu Hopper, nella sua opera?
“In realtà non era propriamente la pittura ad avermi influenzato così tanto all’inizio, ma piuttosto scrittori come Kafka, Borges, Calvino, questi erano gli scrittori che ritenevo interessanti, nessuno di loro era un poeta, eccetto Borges, ma comunque avevano scritto una prosa molto intensa, densa, ed erano in contatto con ciò che noi tutti oggi definiamo “misterioso”, lo strano, l’inaspettato. Ero affascinato da tutto questo nei loro lavori, ma al contempo ero anche affascinato dal lavoro dei surrealisti, perché si erano specializzati nell’inaspettato e nell’irrazionale. Sicuramente non si può scrivere qualcosa di sensato ed essere irrazionale, devi essere capace di trasformare l’irrazionalità in qualcosa che abbia una forma. In altre parole devi permettere al lettore di sperimentare l’irrazionale, non in un modo programmato, ma in maniera formale. Perché in generale non viviamo le nostre vite in modo razionale, le nostre vite sono dominate dagli incidenti, e molto spesso siamo motivati da forze irrazionali che non comprendiamo. Siamo spinti a questo, spinti a fare quello, a volte contro il nostro interesse migliore. E queste contraddizioni interne erano qualcosa che io volevo esplorare nel mio lavoro, e che analizzavo nel lavoro degli altri.”
Via via, negli anni, la sua identità poetica sembra che si sia dedicata a un esercizio di purificazione interiore… “L’uomo che cammina un passo avanti al buio” è il titolo della raccolta in cui, per la prima volta, viene proposta un’ampia scelta in Italia della sua produzione poetica tra 1964 e il 2006.
Chi è “L’uomo che cammina a un passo davanti al buio”?
“Rappresenta ognuno di noi. Non è una persona in particolare, non sono nemmeno io, sebbene pensi di camminare un passo avanti al buio, specialmente ora che sto invecchiando, il buio diventa sempre più vicino, ma è il destino di ognuno di noi quello di essere un passo avanti al buio. Lo si può pensare in questo modo, ogni giorno che si vive, che si sopravvive, si sfugge al buio… è questo il senso che volevo trasmettere con il titolo del mio libro in italiano. Ninet’altro. Ha un senso? … ok”
Tutta la sua opera – è stato detto – sembra dominata dal tema dell’attesa, c’è qualcosa che non avviene, una poesia che rievoca, in qualche modo, che celebra qualcosa che non accade ma che prima o poi accadrà…
Come definirebbe la sua poesia?
“Non posso definire la mia poesia. Non credo spetti a me. Di certo ci sono certi temi che si ripetono nella mia poesia, aspettative, attesa, delusione, il buio che avanza, tuttavia quando scrivo non ho in mente niente di tutto questo. Non considero il mio lavoro nella sua totalità, mai, ma considero le singole poesie mentre ci sto lavorando. Poi una volta che ho scritto la poesia, non ci penso più. Me ne sbarazzo. E inizio un’altra poesia. Se avessi pensato di avere dei temi sui quali dovevo ritornare ancora e ancora, mi sarei sentito paralizzato. Sarei stato prigioniero di una nozione astratta di ciò che stavo facendo. Sarebbe stata la mia morte.”
Lei potrebbe essere definito anche “il poeta della disillusione”. Forse questa è una delle principali caratteristiche della sua opera. Lei dice che immaginazione collettiva si è affievolita… L’uomo contemporaneo ha perso l’immaginazione, la creatività. Perché è accaduto questo?
“Io mi considero un comico. Credo che le mie poesie siano divertenti. Credo che “L’uomo e il cammello” sia una poesia piuttosto divertente, in cui l’uomo e il cammello della poesia si rivoltano contro il poeta, poiché ha interpretato il loro significato. Ed è questo il motivo per cui alla fine ritornano e dicono: “l’hai rovinata, rovinata per sempre” riferendosi alla poesia. E la poesia stessa che si vendica con il poeta. Ma, voglio dire, un uomo e un cammello che cantano, è ridicolo… un uomo e un cammello che appaiono all’improvviso. A dire la verità ho avuto l’immagine di un uomo e di un cammello e mi sono detto… come posso metterli insieme in una poesia? Cosa posso fare con un uomo e un cammello in una poesia? E così ho inventato questa piccola storia, che ho pensato fosse divertente. Ma il termine disillusione è troppo forte, non mi sento disilluso. A volte provo disillusione, ma chi no lo fa?! Credo che se si leggono le mie poesie con più attenzione diventano sempre più divertenti.”
Possiamo dunque dire che “L’uomo che cammina un passo avanti al buio” è l’uomo contemporaneo che cammina in uno spazio oscuro, che precede il buio in cui si concluderà la sua esistenza?
“L’uomo che cammina un passo avanti al buio non sta camminando attraverso il buio, cammina nella luce. Il fatto che il buio sia dietro di lui e forse lo sta raggiungendo, Ma se fosse stato nel buio e questo lo stesse perseguendo, non sarebbe stato possibile fare la distinzione che ho fatto. Noi viviamo in una condizione benedetta di illuminazione. L’illuminazione, la luce non significherebbero niente se non avessimo un senso del buio. E’ semplice, proprio così come appare. Tutto è nel buio. Chiaramente. Guardate oggi, è una bella giornata, sarebbe ridicolo se dicessi viviamo nel buio. Ideologicamente forse, noi viviamo tempi bui, ma poi l’oscurità diventa materia di discussione.”
E’ stato detto, di lei, il “il poeta dell’assenza”…il suo è un io che si sottrae al paesaggio, la sua è una poesia semplice, ma anche misteriosa…il suo dire “io” non è un’autoaffermazione, ma una negazione, è un cancellare il sé…
Perché ci sono “tanti vuoti”, tante “sospensioni” all’interno della sua poesia?
“Non lo so. Semplicemente non lo so. Ho la sensazione che quando una persona si siede in una stanza, da sola, e scrive, perde la sua connessione con il mondo e diventa il segretario dei pensieri di qualcun altro. In un certo senso si esce dal corpo, si perde il senso del tempo, lo spazio è alterato e si diventa la creatura della propria immaginazione. Quello che voglio dire è che l’assenza dal mondo reale è palpabile quando si è soli in una stanza. Il mistero è qualcosa di inspiegabile, altrimenti non sarebbe misterioso. E’… da dove vengono queste idee e cosa ti dice la poesia su dove desidera andare. Tutto questo è mistero, in un certo senso non sono io a dire alla poesia dove andare, è la poesia che mi spinge verso una direzione, la poesia ha una propria voce, e io divento il segretario della mia voce. E la mia voce è il prodotto dell’immaginazione. Oltre a questo non saprei cos’altro dire a parte il fatto che preferisco vivere nel mistero, e l’assenza è proprio questo.”
E’ stato detto di lei… anche “poeta pastorale” del genere pastorale, idilliaco… ma non nel senso proprio del termine… nel senso che la sua poesia si colloca in uno spazio idealizzato e artificiale … che rende, per questa ragione, più intensa però la sofferenza, tanto che la critica parla di “idillio negativo di Strand”…
Lei è d’accordo con questa interpretazione? Quali sono, dunque i suoi paesaggi?
“Vorrei concordare con questa caratterizzazione della mia poesia, tuttavia non ne ho mai sentito parlare, perchè non leggo le critiche dei miei lavori, non leggo recensioni. La gente mi dice “è buona, va bene, non lo è “… io non dico bene, ma chi se ne importa. Ma credo che sia possibile che abbia creato questa negatività idealizzata. Il paesaggio, l’ambiente delle mie poesie, è in realtà puro arredamento, le montagne appaiono sullo sfondo, il mare che appare è sullo sfondo, così come lo è la luna, quello che mi interessa è l’azione che avviene all’interno della poesia. Per me l’immagine di una poesia è l’azione all’interno della poesia. E’ l’evoluzione della consapevolezza, all’interno dei limiti formali della poesia. Se questo suggerisca dolore o piacere, non lo so. Posso soltanto dire che nello scrivere queste poesie io provo piacere. Poi se trasmetto dolore, e sono sicuro che può succedere… è una domanda difficile. Guardate alle migliaia di crocefissioni che sono state dipinte… la crocefissione è l’esempio del dolore estremo, secondo me. Noi guadiamo questi quadri che possono essere di Velazques, Tintoretto o persino di Salvador Dalì, noi proviamo piacere, il dolore non viene trasmesso. Dobbiamo rimmaginare il dolore, attraverso il piacere che viene trasmesso. In realtà ho scritto una poesia che parla di questo processo. La maggior parte delle poesie parlano di perdita e sono tristi. Ma questa tristezza e questa perdita si identificano nella bellezza, ed è la bellezza che ci commuove.”
Nella raccolta “Uomo e cammello” lei paragona l’essere umano a “una città che è sul punto di avverarsi, una città però mai compiuta” (in Conversazione).
L’uomo contemporaneo appare sempre in balia di forze contrastanti, fra ciò che è e ciò che sarebbe potuto essere. Scrive in: “Poesia sulle ultime sette parole”: “ sentiamo che potremmo vivere per sempre/ e nel contempo sappiamo che non si può.”
E’ davvero questa la nostra condizione?
“Si è vero (in italiano). Ci svegliamo ogni giorno senza pensare che questo possa essere il nostro ultimo giorno, a meno che non siamo molto malati. C’ è qualcosa che ci porta a pensare che ci sarà sempre un dopo, un dopo, un altro giorno. Allo stesso tempo sappiamo che tutto questo finirà. Intellettualmente sappiamo che finirà, ma il corpo si sveglia, e il corpo non sa che può esserci una fine. Il corpo si sveglia, ci si alza dal letto, si fa una doccia, il giorno inizia… e non si pensa che questo possa essere l’ultimo giorno. Quindi abbiamo la consapevolezza che non si può vivere per sempre, ma viviamo come se potessimo vivere per sempre. Immaginate come potrebbe essere svegliarsi ogni giorno pensando oggi è il giorno in cui morirò, psicologicamente e fisicamente non permettiamo a noi stessi di farlo.”
L’uomo contemporaneo appare sempre in balia di forze contrastanti, fra ciò che è e ciò che sarebbe potuto essere. Scrivi in “Poesia sulle ultime sette parole”: “ sentiamo che potremmo vivere per sempre/ e nel contempo sappiamo che non si può. Questa è la nostra condizione.”
Nella raccolta “Uomo e cammello” lei ci dice che l’armonia fra l’uomo e il cammello – che sono l’immagine dell’armonia in un deserto – è compromessa da forze contrastanti, tra ciò che è e ciò che dovrebbe essere …
Chi ha interrotto l’armonia tra gli esseri umani?
“L’armonia dell’uomo e del cammello nel deserto era un’invenzione, non realtà. Nella poesia è una proposta, un’immagine, interrotta dal poeta che sceglie di interpretare la felicità o l’armonia dell’uomo e del cammello nel deserto. Il poeta dice che questo esempio riguarda tutte le coppie ideali, qualcosa del genere. Questo interporre significati, questo interpretare ciò che ha creato, è un modo per negare una certa supremazia dell’uomo e del cammello nel deserto. Quindi il poeta ha creato l’armonia e allo stesso tempo la distrugge. L’ha rovinata, l’ha rovinata per sempre. La poesia lo sa. E’ una poesia metafisica.
La sua poesia inoltre, opera quasi un paradosso perchè supera il confine – i confini – tra vita e morte e incarna l’essenza stessa della poesia… D’altra parte la poesia, la grande poesia, trascende la morte stessa…
Condivide questa interpretazione?
“Credo che la poesia trascenda la morte per un pò. Le grandi poesia per molto tempo, ma la maggior parte delle poesie muoiono quando muore il poeta, o cinque anni dopo la morte del poeta. O forse se il poeta è fortunato, sebbene non possa saperlo in quanto morto, vent’anni dopo la sua morte. L’idea che le poesie siano immortali, che possano vivere per sempre, è sbagliata. Non c’è spazio per così tante poesie, le persone continuano a scrivere nuove poesie… Mettiamola in questo modo, il mondo può contenere soltanto 100 poesie, solo le 100 migliori, queste sono le poesie dei grandi poeti. Arriva Mark Strand bussa alla porta e dice: “ho una poesia, voglio che venga messa in questa stanza con le 100 migliori poesie… mi fate entrare?” Una voce dall’alto dice: “non questa poesia!” Alcuni anni dopo Mark Strand bussa ancora alla porta e dice: “ho un’altra poesia… mi fate entrare?”. La voce dice: “ti facciamo entrare per 10 minuti, ma dobbiamo far uscire un’altra poesia”. E così la poesia di Mark Strand viene fatta entrare nella stanza e una delle 100 poesie esce. Ma poi la voce, sia essa Dio o il pubblico o un critico letterario, dice: “Ho fatto un errore, la poesia di Mark Strand non può stare in questa stanza, riportate dentro l’altra poesia”. E’ un pò così… la trascendenza della poesia è un business molto incerto. Devi essere un grande poeta se vuoi che le tue poesie vadano avanti nel tempo. Devi essere Derek Walcott, Brodsky alla fine di questo 21esimo secolo. O Adam Zagajewsky, ma è andora giovane, non lo sappiamo. Forse non ha ancora bussato alla porta, forse lo farà tra qualche anno. Non lo so”.
La grandezza della sua poesia sta anche nel fatto che la sua lingua è fortemente ritmica.
Qual è il rapporto tra il canto della poesia e la musica?
“Non voglio dire che ci sia una vera e propria relazione tra la musica in quanto tale e la poesia in quanto tale. Affinche’ la poesia possa essere riconosciuta come poesia, affinche’ possa essere poetica, deve avere una cadenza che aiuta a ricordare cio’ che si ascolta. Le canzoni sono una cosa diversa perche’ il testo delle canzoni dipende dalla musica, la poesia deve fare tutto da sola, deve creare la sua musica interna. Credo che la poesia abbia bisogno della metrica, della cadenza, del ritmo, affinche’ i versi restino nella mente del lettore anche dopo aver finito di leggere la poesia. E’ piu’ facile ricordare quando c’e’ ritmo. E’ semplice”.
Uno dei motivi per cui siamo qui, è per ricordare un altro, poeta, Brodsky. Perché, secondo lei, c’è bisogno di ricordare i poeti, i grandi poeti? Qual è il lascito dei poeti all’umanità e perché oggi si sente tanto la mancanza dei grandi poeti?
“I grandi poeti come Brodsky ci ricordano cosa significa essere vivi, perche’ ce lo dimentichiamo. Diamo tutto per scontato: la vita, le esperienze.
Leggendo Brodsky le esperienze si caricano immediatamente di significato e ci ricordiamo cosa significa vivere, provare dei sentimenti, pensare, dar forma ad un determinato comportamento, onorare il prossimo.
Non so se oggi ci siano dei grandi poeti o no.
Credo che ci siano, ci sono sempre dei grandi poeti. Non penso che siamo alla fine della grande poesia. E’ sorprendente che la poesia, una forma di arte così antica, riesca a sopravvivere.
Ci sono sempre più studenti interessati alla poesia e desiderosi di studiare come fare poesia. Sono molto più numerosi rispetto al passato, sebbene oggi ci siano più opportunità di ottenere una gratificazione immediata: cinema, televisione, musica assordante.
In un certo senso sembra che gli esseri umani abbiano bisogno di ricordare cosa significa essere un essere umano e i film, la televisione, evitano questo argomento: cosa significa essere un essere umano; mostrano degli esseri umani che vagano e commettono azioni terribili gli uni contro gli altri, ma non mostrano cosa significa essere un essere umano dentro la propria anima”.
Come definirebbe il momento storico che stiamo attraversando, in Italia, ma volgendo anche lo sguardo più in là, e penso alla rivolta del Magreb, con la caduta dei regimi dittatoriali, ma penso anche alla tragedia del Giappone, e al problema del nucleare…
“Potrei dire che è la fine del mondo, ma non credo sia cosi’. Penso piuttosto che la civilta’ in un certo senso abbia fatto il passo piu’ lungo della gamba, soprattutto nel caso del nucleare. Non ci sono standard di sicurezza adeguati per le tecnologie che abbiamo inventato per noi stessi. I reattori nucleari si distruggeranno e la radioattivita’ saturera’ l’area circostante e la gente morira’. E’ un tragedia, ma la gente e’ stata spinta a cercare un modo piu’ semplice ed economico per riscaldare le proprie abitazioni o far camminare le proprie auto. Per quanto riguarda le rivoluzioni sociali, ovunque, sono un segno del fatto che ci sono miliardi di persone profondamente infelici e poche persone veramente felici. Non si puo’ vivere tutta la vita pensando che ci sono persone che vivono nel lusso, mentre tu non hai nulla. Tutto questo deve finire, ad un certo punto. Viviamo in un epoca in cui le disuguaglianze sono cosi’ grandi ed evidenti che le dimostrazioni di rabbia sono inevitabili. Credo che stiamo assistendo al collasso di forme di governo oligarchiche e forse alla creazione di nuove forme democratiche. Potremmo anche assistere alla fine del capitalismo, lo sappiamo e potremmo entrare in un’epoca di compromesso tra capitalismo e socialismo, con delle democrazie sociali. Io non sono uno scienziato politico, ma forse potremmo assistere alla fine di uno stile di vita per molti e all’inizio di un nuovo modo di vivere.”
Lei si sente un uomo libero come poeta?
“Assolutamente si . Mi ritengo molto fortunato a fare il poeta ad aver trascorso tutta la mia vita a scrivere poesie (che non è molto)… Poche persone arrivano a 70 anni e possono dire di aver fatto quello che davvero volevano fare. Molti a 70 anni si chiedono che cosa hanno fatto della loro vita e perché 50 anni prima non hanno fatto quello che volevano, seguendo la strada che volevano intraprendere. Mi ritengo fortunato.”
La Letteratura è un ‘collante’ tra le diverse culture, secondo lei è ancora possibile oggi? E soprattutto, c’è una Società delle Nazioni che riguarda la Letteratura?
“In un certo senso si’, grazie alla traduzione, ma l’internazionalizzazione della poesia e la creazione di una nazione di poeti dipende esclusivamente dalla traduzione. Ci sono lingue piu’ dominanti rispetto ad altre, se scrivi in serbo hai bisogno di qualcuno che possa tradurre cio’ che hai scritto in inglese o in cinese per poterti sentire all’interno del mondo della poesia, il grande mondo della poesia. I poeti sono legati tra loro, nonostante i confini nazionali e le lingue perche’ sono impegnati nei confronti della vite interiore dell’uomo. I poeti dicono che c’e’ qualcosa che va oltre la colazione, il pranzo e la cena, c’e’ un’altra vita, una vita soggettiva, la vita dei sentimenti e la vita dei pensieri. Per un poeta, le nostre sensazioni in merito alla colazione, al pranzo e alla cena sono importanti quanto la stessa colazione, il pranzo o la cena. Siamo in grado di capire i poeti di 200 anni fa perche’ i temi della poesia non sono realmente cambiati. Un uomo esce nella notte 2000 anni fa e teme l’oscurita’. un uomo o una donna oggi escono nella notte e vivono la paura dell’oscurita’. E’ la stessa paura, e’ una paura umana e dobbiamo ricordare che appartiene all’essere umano e non dobbiamo negarla come se fossimo nati ieri o come se fossimo il prodotto di un modno tecnologico.”
Nella poesia “ Le variazioni Webern” lei scrive: “ E tutto trasmuta e trasmuta/ e l’ignoto trasmuta nel canto/ che è ciò che è noto, ma cosa a sua volta/ne sia del canto, non sta a noi dirlo”.
Dove inizia la poesia, e dove finisce, per lei?
“Finisce con il mistero. tutto trasmuta e trasmuta e l’ignoto…. Questa e’ la poesia, prende l’ignoto e lo rende visibile, fa conoscere improvvisamente la parte ignota di noi stessi.
Ma cosa a sua volta ne sia del canto non sta a noi dirlo, tocca alla storia e al futuro, possiamo solo fare qualcosa dal nulla e sperare che quello che facciamo non si trasformi nel nulla. Ma non lo sappiamo. Alla fine naturalmente si trasformerà nel nulla, come ho detto c’e’ spazio solo per un centinaio di grandi poeti.
La fine di questa poesia sembra molto triste, ma è un dato di fatto. E’ un modo per dire non sappiamo cosa porterà il futuro, cosa dirà il futuro e come ci giudicherà.”
Grazie a Mark Strand
My Name
Once when the lawn was a golden green
and the marbled moonlit trees rose like fresh memorials
in the scented air, and the whole countryside pulsed
with the chirr and murmur of insects, I lay in the grass,
feeling the great distances open above me, and wondered
what I would become and where I would find myself,
and though I barely existed, I felt for an instant
that the vast star-clustered sky was mine, and I heard
my name as if for the first time, heard it the way
one hears the wind or the rain, but faint and far off
as though it belonged not to me but to the silence
from which it had come and to which it would go.
Mark Strand
***
Il mio nome
Una sera che il prato era verde oro e gli alberi,
marmo venato alla luna, si ergevano come nuovi mausolei
di strida e brusii di insetti, io stavo sdraiato sull’erba,
ad ascoltare le immense distanze aprirsi su di me, e mi chiedevo
cvosa sarei diventato e dove mi sarei trovato,
e quanto a malapena esistessi, per un attimo sentii
che il cielo vasto e affollato di stelle era mio, e udii
il mio nome come per la prima volta, lo udii
come si sente il vento o la pioggia, ma flebile e distante
come se appartenesse non a me ma al silenzio
dal quale era venuto e al quale sarebbe tornato.
Da: L’uomo che cammina a un passo avanti al buio Poesie 1964-2006 di Mark Strand, Oscar Mondadori, traduzione di Damiano Abeni
Mark Strand (1934) è nato a Summerside, nella Prince Edward Island (Canada). Vive a New York e insegna alla Columbia University. Uomo e cammello (Mondadori 2007) è la sua undicesima raccolta di poesie. Ha pubblicato anche un libro di racconti Mr and Mrs Baby, tre volumi di traduzioni, diverse antologie.
Ha ricevuto numerosi premi tra cui il Pulitzer per la raccolta di poesie Blizzard of One.
In Italia, oltre a tre plaquette per le Edizioni L’Obliquo sono disponibili due antologie delle sue poesie (L’inizio di una sedia Donzelli, 1999; Il futuro non è più quello di una volta, Minimum fax, 2006), un volume di scritti d’arte (Edward Hopper – Un poeta legge un pittore, Donzelli 2003) e la favola Il pianeta delle cose perdute (Beisler 2002).
Io non credo che questo sia un tempo senza immaginazione, si fa fatica certo a inventare, ma credo che sia un tempo dell’ ‘ascolto’ e dall’ascolto si ricavano molte cose; ciò che dobbiamo dire lo abbiamo già dentro di noi, anche perché è l’Universo che ci accompagna e noi ne facciamo parte, non siamo parte distinta, Mark è molto bravo in questo, dalla poesia letta ho capito che ha il dono di saper ascoltare e ‘vedere’, in un certo senso, tutto ciò che si trasforma in racconto, diciamo; l’uomo che si fa partecipe di un Universo proprio e lo regala in forma ‘rinnovata’. Ciao.
Certo che quando definisce la sua poesia comica, qualche dubbio lo solleva. Un motivo in più per rileggerla.
Caro Bruno,
Credo che Strand desideri fortemente perfezionare la teoria di Aristotele secondo la quale il ridicolo è “ciò che è fuori tempo e fuori luogo, senza pericolo”.
Strand lo dice nell’intervista, sperimenta ‘lo strano’, ‘l’inaspettato’, che nella sua poesia si traduce in un efficace mezzo di comunicazione essendo ‘lo strano’, ‘l’inaspettato’, qualcosa che ti proietta immediatamente in un mondo ‘altro’, straniante, appunto, ma anche mistico.
E’ vero… qualche volta – mi è capitato – ascoltando Strand leggere le sue poesie il pubblico ride, ma non come si ride a teatro quando si assiste a uno spettacolo comico!
Si ride perchè ciò che pone in essere Strand direi che è ‘tragicomico’- spesso la nostra vita è tragicomica… Ascoltando Strand si ride – qualche volta – per ciò che di così fortemente umano la sua poesia trasmette. Si, credo che si rida anche per questa ragione.
Strand poi, è uno straordinario interprete della sua poesia.
La particolare intonazione della voce, le pause prolungate, i silenzi improvvisi… Il suo ‘modo’, genera, di certo, anche ‘il riso’, ‘il sorriso’, ma emozionandosi, commuovendosi…
Si, si fa fatica a inventare. Forse solo per questo si può dire che l’immaginazione si è affievolita…
Quanto all’ascolto, credo che l’ascolto sia – o debba essere – la lingua della poesia.
Pingback: Video-Intervista a Mark Strand : Poesia | Segni di Paolo del 1948
Ho trovato molto piacevole questa intervista anche perché offre spunti interessanti per (ri)scoprire e (ri)leggere le poesie di Mark Strand. Mi ha incuriosito l’aspetto della comicità nelle sue poesie. Personalmente non le trovo divertenti ma, come lui stesso suggerisce nell’intervista e come Luigia fa notare,forse bisogna leggerle con più attenzione e tra le righe. Io le trovo vitali e tristi, con questo fluire del tempo e insieme questa sospensione dell’attesa. Comunque la comicità ha sicuramente una componente irrazionale, e nessuna forma di scrittura meglio della poesia si presta a scoprire mondi misteriosi, emozionali e suggestivi. Credo che l’intervista abbia anche messo in evidenza differenti e nuove chiavi di lettura per “sperimentare l’irrazionale” ognuno secondo il proprio soggettivo punto di vista.
monica
Pingback: Video-Intervista a Mark Strand, di Luigia Sorrentino | Segni di Paolo del 1948
Una giovane donna di New York stava facendo jogging a Central Park. D’improvviso un importuno cerca di bloccarla prendendola alle spalle: prova innanzitutto a sfilarle documenti e portafogli. Non trovando nulla di interessante prova a sfilarle altra, dopo averla trascinata dietro il primo cespuglio avvistato. Lei che fa? Fisicamente inerme rispetto all’uomo, inizia a recitare a memoria una poesia di Mark Strand, suo poeta adorato. Il manigoldo, pensandola pazza, desiste e scappa. La poesia salva la vita. Lo stesso Mark Strand, Premio Pulitzer 1999 per la Poesia, lo ricorda sempre alle presentazioni dei suoi libri, anche in Italia.
Una cosa e’ certa. A Mark Strand piace ridere. E’ un po’ come mia madre che rideva quando gli altri piangevano od erano solo imbarazzati. Il riso e’ sempre fantastico e prolunga la vita. Il comico e’ la percezione di una situazione in un istante particolare. Mio padre non capiva la comicita’ che faceva ridere
a pieno cuore mia madre. A volte ridevo con lei ed il fatto che lui non capiva ci faceva ridere ancora di piu’.
Poesia affascinante e apparentemente semplice, poiché è alla ricerca del mistero nell’uomo, nell’umanità dell’uomo. Non lo conosco, ma mi ha stimolato a leggerlo. Lo trovo anche, come persona, molto modesta, perché consapevole della precarietà della vita e della poesia stessa, ma anche della poesia come strumento di realizzazione nella libertà. Mi piace la sua idea che la poesia, in genere muore con la morte del poeta, e che la persistenza dell’autore dopo la sua morte è affidata al valore della poesia prodotta. E tuttavia vive tutto ciò con consapevolezza ma senza dramma. Grazie, Luigia, per il dono.