Oggi a Opere Inedite ospitiamo le poesie di Maria Rosa Pantè, dallo sguardo diretto, chiaro, come le sue poesie. Maria Rosa ammette, come molti altri del resto, di aver iniziato a scrivere le prime poesie da adolescente: “me le ricordo ancora erano piene di dolore per i mali del mondo, piene di sacrosanta indignazione e di qualche guizzo premonitore di ironia.” Poi però Maria Rosa ha smesso pensando che fosse la sua, una decisione irreversibile. E spiega che lo studio e il lavoro di insegnante le hanno fatto amare i giganti della poesia, di un amore ‘passivo’ .
Maria Rosa scrive: “Mi precludevo la poesia perché i modelli erano troppo grandi e facevano paura. Ma il silenzio non era dovuto solo a questo, bensì anche alla vita mia interiore, per lunghi anni chiusa, ingabbiata, preoccupata di mantenere un equilibrio che si è rotto a un certo punto e ha rivoluzionato, attraverso anche qualche travaglio, la mia vita. Liberandomi, almeno dal punto di vista poetico.”
Maria Rosa – mi scrive – ha ricominciato a scrivere dopo i trentacinque anni, spinta davvero dall’amore.
“È stato il mio compagno, un informatico cui leggevo poesie, a indurmi a scriverne anch’io. La prima poesia è dedicata a lui. E poi ho continuato, non potendo più farne a meno. Perché è così: la poesia è un modo supremo di dire, una parola distillata, ma anche un pensiero che non si ferma, un’analisi di sé, del mondo che scava, scava. Definirei la poesia, almeno per me, una trivella. Da un pensiero nasce l’altro, da un’immagine un’altra sempre più profonda, sempre più a scavare… fin dove, ancora, io non lo so.”
“La poesia è tante cose, non saprei dirle tutte, è anche pane, perché nutre. È un modo diverso di vedere. La poesia è per me un cannocchiale all’incontrario, nella poesia io incontro l’infinitamente piccolo e da lì posso arrivare al grande.”
di Maria Rosa Panté
Inverno
Il reticolo bianco della brina
come una ragnatela che s’adagia
sui campi, la marcita delle foglie
compie in sé la sua necessità
ma forse inconsapevole
ma noncurante forse
della sua ineludibile bellezza.
Ci accudiamo
Ci accudiamo l’una l’altro
come figli con figli,
orfani di figli.
Ci amiamo amanti con un sospiro
d’infantile gioco d’amore.
Ci amiamo amanti autoritari,
copie di genitori
che non mai saremo.
Orfani di figli ci amiamo
talvolta per gioco, talvolta
troppo severi amanti.
Non c’è colpa in questo,
solo remota coscienza
d’un amarsi intricato,
stratificato eppure ancora
(e per sempre?) stupito
della sua forza incosciente.
Baciami
Baciami come fossi
l’unico amore della tua vita.
Come creata prima d’ogni tempo,
solamente per te.
Come aldilà d’ogni fine possibile.
Come se fossi acqua e pioggia.
Come giallo deserto e boschi fastosi.
Come s’io fossi sole e luna insieme
e stelle, luminose
negli occhi, tra le labbra.
Baciami e stringimi come se il tempo
fosse servo ubbidiente di quel bacio.
Sia il tuo bacio l’intero universo in
continua inattingibile espansione.
Tacerò. Alle tue labbra debitrice
dell’inizio del mondo.
Quotidiani infiniti
Dio crocifisso all’infinitamente
grande. In una bolla
universale. Dio atomizzato,
invece. Vibrante energia d’amore
in ogni particella ugualmente
piovuto sui giusti e gli ingiusti. Dio
seme di grano che muore, granello
di senape. Dio forse quantizzato
discretamente presente, vibrante
amor che move il sole e l’altre stelle.
Dio subatomico che sei nei cieli,
se pure i cieli esistono,
in alto, dove l’alto è insieme il basso.
Dio parcellizzato
con amore diffuso, seminato.
Dio senza dimora.
Esploso per troppa energia d’amore,
pellegrino di creato in creato.
Ricette per viaggiatori dell’infinito
Scegliere un sentiero,
percorrerlo ogni giorno
(le unità di misura
siano puramente immaginarie).
Si vada più volte dall’inizio
alla fine, dalla fine all’inizio
finché il traguardo sia la partenza,
finché si mescolino prima e dopo.
Il sentiero ne risulterà certo
moltiplicato all’infinito: un cerchio,
un perfetto percorso circolare,
un diverso sentiero universale:
la luce obliqua o verticale, il vento
da nord, quello da sud,
le foglie cadute, i fiori ormai nati.
Il sentiero s’eleva ad universo:
i confini si dilatano, gli occhi
scorgono i singoli steli, ogni ramo,
ogni radice. I suoni ricolmano
i pensieri. Sono canti d’uccelli,
stormire di chiome, abbaiare
remoto di cani. Fruscii, bisbigli.
I confini si dilatano, ma io
so che questa meta è l’inizio e ogni
partenza è anche ogni fine.
Si dilatino (oh, per poco) i confini
delle percezioni: nell’istante
eletto viaggerò per l’infinito!
Dolce Follia
Più che te, mamma, piango le tue cose
finite in mano mia, noncurante,
là dove forse non avresti mai
voluto, immaginando
le tue vesti gettate alla rinfusa,
tu le tenevi invece allineate
a schiera e profumate.
Mamma, spargevi salviette odorose
persino dentro al letto.
Le camicie da notte imprigionate
in uno scatolone di cartone
per chissà quale destinazione.
Le tue borsette, ah le tue infinite
borsette. Sparse, svuotate, sventrate
dalla mia mano distratta, tu invece
le nutrivi di carta
per farle panciute,
persino dei miei libri di ragazza.
E l’oro, i foulard, ne hai un cassetto,
mamma, pieno e impalpabile
non posso, mamma, non posso affondarci
le mani. Come spuma
del mare come chiare
montate a neve come vera neve
li scioglierei. Piango le tue cose,
mamma, che farò mie:
camicette improbabili,
colorate e infantili: quella viola
ma quando l’hai indossata?
Forse a casa da sola per lo specchio,
per la gatta, la foto sorridente
di papà. Sarà il mistero che tu
hai voluto. Nessuno le terrà
come facevi tu, si abitueranno
ad armadi confusi che aborrivi.
Mamma che dolce follia ci univa!
Siamo state le due
facce d’una stessa medaglia, o testa
o croce, mamma. Ci siamo rincorse
tutta la vita, finché tu hai lasciato
la corsa, ormai siamo la moneta
sospesa in aria fra terra e cielo.
Maria Rosa Panté è insegnante e vive a Borgosesia, in provincia di Vercelli, dove è nata, nel 1961. Ha pubblicato un libro di poesie “L’amplesso retorico. Voci femminili dal mito”, una raccolta di racconti “Noi che non fummo muse” e un romanzo umoristico “Non ho l’età”.
Collabora a vari siti, tra cui: Persona e danno; Agoravox; Griseldaonline; Gaianews.
Ha scritto testi teatrali per le rassegne “Teatro e scienza” e collabora con l’attrice Lucilla Giagnoni (spettacoli “Big Bang”; “Casorati: arte e scienza”).
Di questi versi delicati ho preferito “Inverno” e “Ricette per viaggiatori dell’infinito”: le trovo interessanti perché c’è una calibratura del verso in cui l’autrice tenta di raggiungere un equilibrio, una riflessione vera e autentica.
Succede così, fino a che non ‘scopriamo’ anche noi la nostra voce.