Mercoledì 25 maggio 2011, dalle ore 18.00, la Galleria Marie-Laure Fleisch inaugura la mostra di Marco Bongiorni e Sergio Breviario dal titolo Drawings by Two, a cura di Ludovico Pratesi.
Nel Rinascimento il disegno era considerato fondamentale per la formazione di un artista, che imparava fin da giovanissimo a relazionarsi con i principali generi della pittura, dal ritratto alla natura morta, attraverso un esercizio continuo e quasi ossessivo di una tecnica indispensabile per il mestiere. Oggi, in un clima libero ed aperto, dominato da un eclettismo che sembra non avere più né regole né limiti, qual è il senso e il valore del disegno come linguaggio espressivo primario per gli artisti italiani delle ultime generazioni?
Parte da questa domanda la mostra pensata da Ludovico Pratesi. Drawings by Two si propone infatti di indagare la pratica del disegno come strumento di percezione ed esplorazione della realtà nelle ricerche di due artisti che vivono e lavorano a Milano: Marco Bongiorni (Milano, 1981) e Sergio Breviario (Bergamo 1974).
**Didascalie immagini in alto, a sinistra**: Marco Bongiorni, Selfportrait on Glass, 2010, inchiostro su vetro, 25×29 cm. Copyright: 2010, Marco Bongiorni
Qui sotto, a sinistra: Sergio Breviario, La vergine affetta da poliorchidismo predilige la castità, 2009, grafite su carta da lucido e base di legno, disegno: 32×23 (senza cornice) base: 32×2. Courtesy Fabio Tiboni Arte Contemporanea, Bologna
La mostra è stata concepita come una sorta di laboratorio dove le singole ricerche si intrecciano per permettere allo spettatore di cogliere l’essenza di ogni personalità individuale che assume nuove valenze dal confronto reciproco. Nelle opere di Marco Bongiorni il tema del ritratto, ripetuto quasi ossessivamente, si trasforma in un percorso di esperienza, in bilico tra pensiero ed emozione, dove il disegno diventa la sola modalità di relazionarsi con il mondo esterno, per rivelare pensieri e stati d’animo interiori in maniera forte ed affermativa. Sergio Breviario invece costruisce una sorta di camera ottica che permette di entrare nell’immaginario dell’artista attraverso una visione intima e privata, una sorta di percorso iniziatico dentro un ambiente che ricorda la cella di un tempio, un Sancta Sanctorum dove il disegno rivela segrete visioni esoteriche. Sia Marco Bongiorni che Sergio Breviario attribuiscono al disegno inteso come attivatore di senso, significati e valenze personali, oltre che simboliche, per dare vita ad un interessante confronto tra modalità diverse di interpretazione della stessa tecnica.
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OLTRE IL DISEGNO
« Mister Neville, il disegnatore protagonista del celebre film di Peter Greenaway The Draughtsman’s Contract (1982) passa le sue giornate a realizzare una serie di vedute della lussuosa residenza di Compton House, ospite della ricca e potente Lady Herbert. La nobildonna ha proposto a Neville di realizzare 12 immagini della dimora da regalare a suo marito, impegnato in un viaggio, in cambio di una notte d’amore con lui, e Neville ha accettato. Nel corso dell’esecuzione delle opere, disegna una serie di oggetti apparentemente abbandonati nel giardino, che si riveleranno, alla fine del film, preziosi indizi per scoprire l’identità dell’assassino del padrone di casa, Mister Herbert, ritrovato morto in fondo ad un canale in campagna.
Nella trama della pellicola, ambientata nell’Inghilterra di fine Seicento, Greenaway attribuisce al disegno la capacità di rivelare l’autenticità del reale, al di là delle apparenze e dei riti mondani. L’artista così si trasforma nell’unico garante di una verità che è sotto agli occhi di tutti ma può essere colta solo attraverso le vedute disegnate, autentiche lenti d’ingrandimento indispensabili per scoprire la trama del delitto.
Come accade a Neville, il disegnatore di Greenaway, per Marco Bongiorni e Sergio Breviario la pratica del disegno è uno strumento di percezione ed esplorazione della realtà, colta però attraverso due punti di vista opposti ma complementari.
All’interno del lavoro di Marco Bongiorni, il disegno è legato alla ricerca della propria identità attraverso la realizzazione costante ed ossessiva di autoritratti, in una sorta di “archeologia dell’essere” che permette all’artista di registrare ogni minimo cambiamento di umore nei tratti fisici. Le sue opere, scaturite da un’urgenza interiore, sono caratterizzate da un segno forte ed espressivo, e si possono situare sulla tradizione dell’autoritratto psicologico del secolo scorso, in quella linea che unisce i corpi martoriati e sofferenti di Egon Schiele, espressioni della Finis Austriae, con gli autoritratti ambigui di Francesco Clemente, icone di un’identità sessuale indefinita e proteiforme. “La nostra indagine del mondo, che da sempre affrontiamo con i sensi, è in costante cambiamento, è continuamente messa in discussione nel divenire, destabilizzata, smentita per poi essere riconfermata subito dopo” afferma l’artista. Bongiorni identifica come punto di partenza dell’opera il suo volto, prima tratteggiato con linee scure e incisive su fogli già utilizzati, umili ma significativi ready made di carta, per poi essere trasferito su superfici di legno o tela, o imprigionato in effimere costruzioni di materiali vari, fragili sculture che ricordano i Merzbau di Kurt Schwitters. Il riferimento non è casuale: attraverso la pratica del disegno Bongiorni costruisce ogni volta un’effige personale che permette all’artista di relazionarsi con il mondo esterno in luce i propri stati d’animo attraverso una trama di segni profondi ed essenziali nella loro intima soggettività.
Per Sergio Breviario invece il disegno appartiene alla ricerca dell’identità perduta dell’opera, collocabile al di là del reale, in un territorio dove lo spazio e il tempo vengono annullati per essere sostituiti da una memoria arcaica ed ancestrale. Una sorta di immagine acheropita, eseguita da mano umana ma ispirata dalla divinità. Per questo i disegni di Breviario sono veri e propri meccanismi della visione, e come tali non debbono essere svelati, in quanto non appartengono alla superficie del reale. La loro stessa natura enigmatica e seducente li sottrae ad una visione collettiva e pubblica, che potrebbe distruggerne l’aura. Questi volti sfumati, che sembrano appartenere ad un tempo infinito per la loro capacità di dare vita alla vertigine dello sguardo, devono essere osservati con uno sguardo preparato e consapevole, attraverso un percorso visivo e concettuale preciso, determinato dall’artista. Breviario trasforma ogni volta lo spazio espositivo in un ambiente che ricorda le wunderkammer rinascimentali, o le celle dei templi egizi, accessibili soltanto agli iniziati. Uno spazio nello spazio, un luogo protetto che custodisce l’intimità dell’opera, e preserva un’identità che può essere rivelata nel corso di un incontro privato, necessario a stabilire una relazione privilegiata. In quel momento i volti disegnati da Breviario rivelano la loro natura: non ritratti di individui, ma di sensazioni. “Qui il disegno smette di essere disegno – dichiara l’artista -l’immagine smette di essere immagine, la tecnica smette di essere tecnica. L’opera entra dentro di noi e resta non nella memoria ma nella coscienza”. Così, in un unico istante, l’opera è compiuta.»
di Ludovico Pratesi
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Marco Bongiorni (Milano, 1982. Vive e lavora a Milano). I suoi segni sono vestigia di processi errati, di vie di fuga sbarrate, raggi senza luce che avvolgono la materia. Tra le sue mostre personali si ricorda: Drawing (Galleria Artra, Milano 2008); e Cave Canem (Spazio Synphonia, Milano 2005).
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Sergio Breviario (Bergamo, 1974. Vive e lavora a Milano). L’artista realizza disegni a matita ispirati ad una dimensione metafisica dell’arte italiana che va da Giulio Paolini a Gino De Dominicis. Tra le sue mostre personali si ricorda: L’erba del re non fa crescere i fiori (Fabio Tiboni arte contemporanea, Bologna 2010); P.E.P.E. (Galleria Piac, Ragusa 2007); e Diciannove novantasei: mi edifico e ti guardo (Viafarini, Milano 2006).
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