A cura di Luigia Sorrentino
Oggi, a Opere Inedite la poesia di Gabriela Fantato. La poetessa milanese sceglie una citazione della filosofa María Zambrano per definire il poeta e la poesia:
“Scriveva la grande filosofa Mara Zambrano che il poeta è chi «patisce il mondo nella carne», avvertendo la forza «ustionante» di ogni cosa, per lei la poesia è «pratica erotica del mondo», relazione carnale con ciò che è fuori di noi: « incontro amoroso». Così è anche per me. La poesia è relazione complessa e mutevole in parole e ritmo tra il corpo e il mondo. Poesia è dar voce al nostro essere esposti al mondo, avvertendo l’ambivalenza di tale condizione: la presenza e l’assenza di ogni evento. Come dentro un lampo, come “chiamato” dal mondo, da se stesso o da un incontro con gli altri, il poeta “vede e sente” ciò che altrimenti sarebbe “muto”, ottuso e solo materiale, dopo di che cerca le parole per mostrare il lato non visibile dell’esperienza, la zona d’ombra che sempre l’accompagna. L’esperienza vissuta rivela così il suo essere individuale e anche universale, la sua natura concreta e insieme antica/ancestrale.
Spazio e tempo si danno in poesia sempre a più dimensioni: contingenti e insieme dilatati, poiché è come se il presente convergesse con la memoria e con l’intuizione del divenire futuro. La lingua poetica, quindi, abita il confine, quel luogo dove gli opposti si fronteggiano. Ecco perché la poesia che cerco di scrivere e quella che cerco nei libri, la poesia che vorrei compagna in questo nostro “tempo della miseria” è quella che sa scorgere e dire il destino di fragilità e transitorietà che segna ogni momento di vita e ogni attimo contingente: la stessa però che sa scorgere proprio in ciò la possibilità della gioia e la continuità dell’umano.”
La poesia: pratica erotica del mondo, di Gabriela Fantato
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A frammenti (a mio padre)
I.
Le raccontava del Giuriati*,
si trovavano tutti là,
per una magia che apre la settimana
e la fa larga di promesse.
L’allenamento era terra magra
sotto le suole e le magliette
felici in una corsa.
Gli altri, tutti gli altri si fidavano
di Tato, del suo lancio deciso.
Si fidavano.
Adesso le gambe non trovano più
l’angolo per il colpo,
la linea che dice esatta la fine.
*Nome di un famoso campo sportivo di Milano, in zona Nord est della città
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II.
Avrebbe potuto dire a memoria
i nomi dei tanti, i perduti,
i mai saputi – ragazzi della guerra
e una paura in gola.
Suo padre garzone nel negozio dove
il bianco della farina
faceva grande, più grande
anche il cielo.
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III.
Era un gesto, uno solo nel saluto,
eppure erano riuniti tutti i momenti
e il salto anche – la forza appuntita
di un amore.
Lo sguardo invece un sentiero
sino al fiume.
C’era sua madre una nuvola
nella terra del Delta
e la casa che lo tenne alle ginocchia.
Una vita non detta mai se non
a frammenti
sulla punta delle dita.
Solo una voce a salvare la fotografia
mai fatta.
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IV.
Adesso ci sono tutti i nomi
– tutti i volti invocati e
quelli chiamati per nome.
Tutti.
Anche un rosario per la notte
delle preghiere e il silenzio.
Adesso lui è là, con gli altri
… e sorride.
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V.
Nel cercare un appiglio, nel dire l’addio,
ha lasciato la traccia del suo mondo
nella pietra tra memoria e sogno.
Lei incide la parola
– la sua legge muta dove il silenzio è
unghie dentro la stanza,
solo l’alfabeto per la cima, solo le fiabe
per riempire la notte.
Sigillata ancora la memoria , enorme .
Sino al soffitto.
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VI.
Tutto si è fatto racconto,
una fotografia da consegnare ai figli
e crescere il perdono, farlo adulto e saggio
– grano pronto per il dopo.
Solo nel campo c’è ancora la corsa
verso il goal.
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Il compito
Alcune specie animali
si riproducono
per frantumazione – di uno, due.
Altri duplicano
la parte terminale del loro corpo
e danno così seguito alla vita.
Solo nei millenni gli esseri
mutano davvero, dice la genetica ed è così.
Gli umani non sanno che
ogni loro nascita è un taglio
– fine della volontà di potenza.
Sparizione.
I figli vanno dove nessuno sa,
vengono da un incontro
di cellule e dal caso.
Il compito resta ancora
sfuggire le trappole
– dissodare il terreno
con la testarda determinazione
di chi semina fagioli,
ogni anno a marzo.
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Duplicazione
Mossi dai corpuscoli di Krauser
dicono che maschi e femmine
si cerchino con foga: parlano, sorridono
e di lì a poco – si promettono l’eterno.
Così facendo risulta celata
la legge elementare che chiede
di farsi vita in altri,
chiede un sogno nuovo da tenere
e porgere al prossimo che avanza
nella strada.
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InterstiziNell’elenco di ciò che ha
segnato la propria esistenza
ciascuno mette le date, i nomi e
i luoghi capitali – eventi che la memoria
trattiene dall’andare.
Interessante resta lo spazio bianco,
il silenzio tra cifra e cifra, l’eco
del nome che faceva rima con qualcosa
e ora nessuno sa più comporre per intero.
Interessane la vita – ficcata lì,
nell’interstizio.
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Gabriela Fantato, poetessa e saggista, tradotta in inglese, francese, arabo e spagnolo. Raccolte poetiche: A distanze minime in “Almanacco dello Specchio”(Mondadori,2009); Codice terrestre, nota critica di Milo De Angelis (La Vita Felice,2008); il tempo dovuto, poesie 1996-2005 (editoria&spettacolo,2005); Moltitudine, in “Settimo Quaderno di Poesia Italiana”, a cura di F. Buffoni (MarcosyMarcos,2001); Northern Geography, raccolta bilingue, traduzione di E.Di Pasquale (Gradiva Publications, University of N.Y, 2002); Fugando (Book editore, 1996). In uscita The forma of life, edizione bilingue (Chelsea Edition, New York). Ha collaborato all’Annuario di Poesia (Crocetti). Dirige la rivista “La Mosca di Milano“.
Riconosco in questi versi le due anime presenti da sempre nella poesia di Gabriela Fantato, e in particolare nell’ultimo, bellissimo libro “Codice terrestre”. Una è quella dell’immaginazione sintetica, potente nella concentrazione (il sorriso del padre defunto,così tacito ed eloquente nella sua brevità,mi ha ricordato al volo (per analogia d’ispirazione e tono, non di contenuto) il “rapido sospiro” della madre ungarettiana): avevo parlato a questo proposito, già a prooposito di Codice terrestre, di “sinafora”, di estrema concentrazione di significante e significato. Un’altra è l’anima analitica, riflessiva, che deriva forse alla poetessa dalla sua formazione filosofico-ermeneutica, e che mi sembra di vedere approfondita soprattutto negli ultimi testi qui citati. La nota nuova che mi sembra di scorgere in questi testi, e che prima non era ai miei occhi altrettanto evidente, è lo sguardo scientifico: il bisogno di nominazione e definizione, al limite anche attraverso l’uso di termini tecnici. Forse una forma di “duplicazione”, per citare la stessa poetessa, da quella tensione all’esattezza che ha sempre fatto parte della ricerca poetica di Gabriela Fantato.
Dare vita, duplicare, il mistero della vita di fronte a quello della morte-sparizione. Versi bellissimi e incontrovertibilmente veri: “I figli vanno dove nessuno sa,/ vengono da un incontro/ di cellule e dal caso…”
Credo anche io che lo spazio e il tempo in poesia siano contratti e dilatati al tempo stesso, – compresi tra la nostalgia dei ricordi e l’attesa del futuro – proprio perché la poesia ha la capacità di stare altrove e di essere specchio per chi legge e si fa catturare dai versi. Bellissima “A frammenti (a mio padre)”: “…una fotografia da consegnare ai figli/ e crescere il perdono, farlo adulto e saggio/ – grano pronto per il dopo.”
E Gabriela ha trovato la giusta cifra espressiva per comporre poeticamente quel “silenzio”, quello “spazio bianco” e dargli corpo, voce e suono.
Un saluto
monica martinelli
Anche a me, come ad Alessandra, pare di scorgere, in questi testi inediti di Gabriela, una maggiore presenza di “pensiero”, rispetto alle sue cose precedenti, dove mi pare prevalessero immagini-metafore. Pensiero che, comunque, non esce dal tracciato di un realismo “intensivo” (termine già usato altrove da Gabriela), anzi ulteriore e forse ancora più intensa prova di realismno inteso come autenticità, riflessione sul presente, sul reale, appunto.