E’ stato rintracciato in una raccolta privata spagnola il dipinto attribuito a Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio. Si tratta di Sant’Agostino. Secondo quanto è stato fin qui ricostruito il dipinto proviene dalla raccolta romana di Vincenzo Giustiniani, che fu un grande committente del Caravaggio.
La notizia, annunciata domenica su Il Sole24ore, fa discutere e divide gli studiosi .
Per Silvia Danesi Squarzina, la studiosa che firma la scoperta, non ci sono dubbi, si tratta di un quadro che Michelangelo Merisi realizzò per il marchese Vincenzo Giustiniani, una tela sempre citata dalle fonti, che era sparita nell’Ottocento. Non così per Vittorio Sgarbi, che dalle pagine de Il Giornale ha contestato vivacemente l’attribuzione considerandola ‘piu’ che azzardata’.
E se la grande storica dell’arte Mina Gregori non si sbilancia, spiegando di non avere ancora elementi per giudicare, d’accordo con Sgarbi si schiera l’esperto di Caravaggio Maurizio Marini (‘Se quello è Caravaggio io sono Gesù Bambino’).
Un’altra autorevole studiosa, però, Francesca Cappelletti, autrice per Electa nel 2010 di una importante monografia sul Merisi (‘Caravaggio, un ritratto somigliante’) avverte: “Il quadro è convincente, è una proposta seria, a cui guardare con molta attenzione”.
Mina Gregori, si sottrae cortese: “non l’ho studiato abbastanza non posso dare una risposta. I documenti sono molto interessanti, però sul quadro non posso ancora dire niente”, spiega.
Marini invece non ha dubbi: “Non è Caravaggio”, dice. Poi spiega che a suo avviso quel Sant’Agostino va attribuito alla mano di Bartolomeo Cavarozzi, pittore viterbese che aderisce alla pittura caravaggesca, “ma nell’ottica raffinata di Orazio Gentileschi”. Cavarozzi lavora in Spagna, sottolinea Marini, “e quindi c’è la connessione con i Giustiniani”.
La “cosa più grave – commenta lo storico – è non avere capito che Caravaggio rifugge da attributi, avere messo dietro un Sant’Agostino una biblioteca e una mitra vescovile, è completamente fuori tema”. Caravaggio, sostiene Marini, “avrebbe fatto un fondo in ombra”.
Quanto ai documenti citati da Silvia Danesi Squarzina, “L’ultimo documento è il quadro – ribatte Marini – se il quadro non regge l’attribuzione non c’è niente da fare”.
Studiosa appassionata da oltre 20 anni del genio lombardo, al centro nei primi anni Novanta del clamoroso rinvenimento della Cattura di Cristo della National Gallery di Dublino e per questo divenuta l’eroina di un romanzo di successo (Il Caravaggio ritrovato di Jonathan Harr), Francesca Cappelletti, guarda invece con attenzione alla scoperta.
Il riferimento a Caravaggio per lei è plausibile: “Il quadro è convincente e stringente credo che sia plausibile e convincente per la storia della provenienza”, commenta. Certo, argomenta, “Si tratta di un quadro da collezione, non ha un soggetto attraente, non è la Giuditta, è un piccolo quadro”. Però la storia collezionistica “rende plausibile il riferimento a Caravaggio”, aggiunge facendo notare che la tela appartiene ad un periodo preciso intorno al 1600, il periodo classicista di Caravaggio, in cui il Merisi dipingeva cosi’. Adesso la tela è Ottawa, sottolinea, bisognerà aspettare di vederla dal vivo, si faranno anche altre indagini. Ma la proposta è “seria, da guardare con molta attenzione”. Insomma, conclude: “Ognuno può dire la sua, ma quello che resta è che è molto convincente la provenienza, che è documentata in ogni fase del percorso”.