Antonio Spagnuolo, ‘Misure del timore’

Nello scaffale
a cura di Luigia Sorrentino

Pubblico con piacere questa Nota sulla Poesia scritta da Antonio Spagnuolo, medico e poeta che ho conosciuto quando ero studentessa e vivevo con la famiglia a Torre del Greco. Tra gli scaffali di una delle numerose librerie di Napoli, a Port’Alba, avevo infatti trovato alcuni suoi libri di poesia. In quegli anni  ponevo molte domande. Leggevo ‘L’amor fou’ di André Breton e mi chiedevo: ‘Come si è imparato il proprio nome? Al sole? Da dove viene la notte?’

“Nel grande serbatoio del rimosso si scoprono tutte le implicazioni dell’esperienza dell’io, sociale e storica, tanto che il raccordo tra privato e pubblico si mantiene praticabile ed efficace ai livelli più profondi e forse decisivi per una comprensione e distinzione da altro orizzonte, ove l’immaginazione si isola e si contestualizza in alchimie deformanti.

Il chiarore sensuale accoglie sulla pagina tutto quello che viene pensato o, meglio, intuito, e apre dinanzi al poeta l’immensa distesa di una pianura dove uno possa scorazzare con estrema libertà , felice come un bambino che possa giocare con la parola o il suono che gli piace, senza dover rendere conto di quanto accade intorno.
La libido produce il sapere senza oggetto , in disarmonia con il reale, quindi la poesia è legata all’inconscio, e l’inconscio è il luogo della poesia.
A me piace immaginarla come un virus, ancora sconosciuto alla scienza, che si insinua nella psiche e corrode giorno dopo giorno le circonvoluzioni cerebrali, per penetrare nel subconscio e dettare quelle visioni ritmiche che il comune mortale non riesce ad elaborare se non nel verso. Una malattia capace di rendere immortale ogni pensiero e capace di manifestarsi nel caleidoscopico fulgore del fantastico. Essa comporta da parte dello scrittore una vera e propria assunzione di contenuti e mitemi anch’essi di origine psicoanalitica: che a dirlo più chiaramente, entrano massicciamente nei versi, fino a diventarne radice e sostanza, nel ben noto binomio di eros e thanatos, l’endiadi-opposizione di libido e morte, assunti per via di una estrema semplificazione, con un’intensità quasi aggressiva e sofferti per converso fino allo spasimo e allo sgomento: lo spasimo che si aggrappa all’eros in nome della vita, lo sgomento di chi da esso regredisce, per stanchezza magari e sazietà, verso immagini vertiginose.”

di Antonio Spagnuolo

***

Ricordi –
La luce è concentrata nel pulviscolo in attesa
di adescare il pensiero, uno spasmo che logora
e ricompone testimonianze complesse.
Tutto ricade nel perfetto cono delle ombre
quando a notte l’odio scarta dalla lingua
ingiurie per il timore di uno scatto senza proroga.
Offri ricordi indispettiti e languidi
per capire quanta letizia si propone nel silenzio
dei giorni, come uno squallido armadio,
per tutti quelli che tra i fogli sono incrinati,
mentre noi resistiamo ad un cordone
in questo umido mondo che circonda clandestino
nel continuo desiderio della tua carne.
*
Riflessi –
Ormai contieni incastri solitari:
quasi un sospiro le tue speranze oscillanti
tra gli abbandoni di un tempo e le disattente
flessioni di questa stagione
che somiglia sempre più all’ironia.
Una dismisura che ritorna
nell’opaco velo della mia incertezza,
un’ avventura al saccheggio dei giorni,
il rifugio delle stanze, abbandonate al fumo
tra le fibre, la corteccia, il ritmo del contrarsi
con le mani, quale il senso del crepitare.
Come vedi si contano le ore, una fantasia
che giorno dopo giorno leviga le ginocchia
al ripetersi delle innocenti memorie,
il desiderio riflesso di nuove finzioni
per quella lunga attesa nella quale
più viva e intensa è la paura che cinge.
*
Stagione –
Dai sobborghi, senza fermarmi, chiudo le immagini
che si ribellano,
mentre si placa il gioco che insegue,
lungo pieghe dal rosso cupo, affollate di visioni
nel melodico arpeggio delle ossa…
Nella concavità cinerina rimetto gli incastri
del cielo ed abbandono gli affascinanti rigori
della tua stagione,
attraverso quel tempo che è diventato un grumo
segreto, una inflessibile ironia che sguscia
senza più soluzioni.
Ogni rifugio è cieco nella notte e tu vorresti
avvolgere il mio grido in una nuvola rosata
come canto inquieto…
Muta la ferita che nella peggiore imprudenza
ha chiuso ogni tremore, ogni sussurro,
per riproporre lingue infinite di vento.
Incrocio disattenti testimoni
per quel misto di eucalipto, quasi incandescente,
tra le mura di cemento ingiallito
e la salsedine che batte agli scogli
ove correvamo col tuo nastro al vento.
*
Mare –
La brezza ha una speranza lungo l’orizzonte:
una nenia che alberga tra il cielo
ed uno spazio che scivola.
Una vela, tre vele, venti vele, le tante vele
che intagliano arcobaleni incandescenti.
L’aria ti accarezza come un mutamento
nel capriccio celeste, corrode il sorriso
che vorresti affondare nel flessuoso millennio,
sino a divenire l’incavo dell’iride
e rischia di fluttuare tra le immagini
di un umido segnale.
*
La tua poesia –
Incendia pure qualche ritorno, perché ho bisogno
di toccare, palpare, ripetutamente il mio corpo
per decidere ancora una volta la mia sopravvivenza…
Ormai eterea la tua poesia
è diventata un tappeto di muschio
una sottile leggera sospensione
dai rigurgiti del quotidiano rincorrere,
e sappiamo che la ruggine ci attacca
come il filo del nulla in una cava di gesso.
Questa la melanconia che mi distingue
nel rimpianto di quel che è accaduto
ed incompiuto ha atteso che le mani
sapessero della digressione.
Ti chiesi di rubare l’ultimo rifugio
a mezza voce
per il timore di sbandare le tempie
toccando il letto nella combinazione esatta.
*
Un tempo –
Anche io una vacanza breve
con entrambe le mani nel tuo sesso,
poi d’improvviso frutto secco con la morte nei versi
per un’estate che tramonta lentamente
e tu sei fantasia non più sfolgorante
dal peso greve dei piedi
in mescolanza di suoni e colori….
Un tempo vegliavo il tuo sorriso inquieto,
perché sapevi di mandorle e la passione nel sogno
era ancora un agguato da decifrare.
Ascoltavo rapito il tuo respiro come invito segreto
di certezza e di dubbio, quasi nota incompiuta
che inseguiva le ore.
Ormai giorni che fuggono rivestono memorie
lasciano cadere dalle dita quel velo che per caso
districammo alle ombre, o l’attimo
che sopraggiunge improvviso tra ferite
troppe volte sospette,
o il fantasma che chiude gli intervalli
delle promesse, abbandonate
per non compromettere rottami.
*
Ciglia-
Oggi la luce delle tue pupille non è più capace
di giocare,
trasformando le nuvole in figure clandestine,
descritte come antiche pergamene.
Incorruttibili i capelli, nell’ora che cade,
vagheggiano sospetti e bagliori,
per tentare quella ebbrezza che non torna,
che rimpiangi per scomporre presenze,
per inseguire mordendo gli umori del destino.
Come un racconto
mi coglie impreparato e mi travolge il timbro del sole,
un vortice selvatico che propone per l’ultima volta
progetti fallaci,
senza riserve anche il corpo è vinto.
Forse sopravvive una strana gelosia
nei troppi gesti,
le inutili parole che ho ripetuto in fretta
svaniscono per un capriccio inconfessabile,
pronte a distorcere quei meravigliosi colori della favola
custodita per anni tra le tue mani
e le mie ciglia inaridite.
*
Rimbalzi –
La luna inceppa nel cielo,
impazzita per le fitte, barcollando,
per le sere che chiudono il mormorio,
a dissuadere gli incontri.
Decifrare il tuo ciglio è l’abbandono
più accogliente ,
qualcosa che lentamente sgocciola,
nel fioco riverbero di alcune barriere.
Invano cerco lusinghe
nelle piccole storie quotidiane,
vagabondo a scartare le manie
o ancora una bugia da scoprire.
Più nulla intorno, intese di armonie
che fondono gli sguardi, suoni e colori,
per un’amara nostalgia
che sembra frammentare il passato
Fuggi mentre annaspo nel tempo
mentre fermenta la più strana parola,
e sventrano scorie intimidite
da nuove ferite, nei colori di ovattati
rimbalzi.
*
Falsetto –
Spesso riaccendo i segni fuggitivi
della giovinezza, fuggitivi e contorti,
in questo lento sconforto che pretende
nuovi abbandoni.
Altra stagione si affaccia sospettosa
e fra i giochi , impaurito, ho abbandonato
l’ultima cadenza della luce.
Forse inseguendo le piccole alchimie
dei racconti, delle leggende aggredite,
raccolgo il fruscio di strani aromi,
che aggiungono ferite al solito nirvana.
Dicevi lacerazioni nell’affondo
a segnare l’aria di brusii senza più aroma,
capace di intrecciare più cellule
per alcuni sussulti che si stringono
al brusio del falsetto.

Da “Misure del timore  di Antonio Spagnuolo – Ed. Kairòs – 2011

Antonio Spagnuolo è nato a Napoli il 21 luglio 1931.
Presente in numerose mostre di poesia visiva nazionali e internazionali , inserito in diverse antologie, collabora a periodici e riviste di varia cultura. Nel volume “Ritmi del lontano presente” Massimo Pamio prende in esame le sue opere edite tra il 1974 e il 1990 . Nel volume “Come l’ombra di una nuvola sull’acqua” Plinio Perilli elabora un saggio sulle ultime pubblicazioni edite tra il 2000 e il 2007.- Tradotto in francese , inglese , greco moderno , iugoslavo , spagnolo .
Ha pubblicato numerosi volumi di poesia e alcuni romanzi – quasi tutti premiati.
Di lui hanno scritto numerosi autori fra i quali A. Asor Rosa che lo ospita nei volumi della “Letteratura Italiana”( edizione Einaudi 2007 ), Carmine Di Biase , Matteo d’Ambrosio , Gio Ferri , Stefano Lanuzza , Felice Piemontese , Ugo Piscopo, Corrado Ruggiero, Alberto Cappi, Ettore Bonessio di Terzet , Dante Maffia , Sandro Montalto, Ciro Vitiello, oltre a L. Fontanella , M.Lunetta, G. Manacorda , Gian Battista Nazzaro , Giuseppe Panella, G. Raboni, Carlo Di Lieto, Enzo Rega e molti altri.
Il suo ultimo volume di poesie : “Misure del timore” (Ed. Kairòs 2011) è una selezione dai volumi editi tra il 1985 ed il 2010 –

1 pensiero su “Antonio Spagnuolo, ‘Misure del timore’

  1. ho letto con interesse sia la nota critica sulla poesia sia i testi, e mi viene da dire che antonio Spagnuolo ha ben usato l’arma della critica sul suo stesso poetare, ben visualizzandone i temi ispiratori, la tonalità dominante,la visuale della vita che sotto agisce

    Villa Dominica

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