John Ashbery (1927) è uno dei massimi poeti statunitensi viventi. Il suo primo libro pubblicato in Italia fu “Autoritratto in uno specchio convesso” (Garzanti, 1983), con l’introduzione di Giovanni Giudici e la traduzione di Aldo Busi, per il quale Ashbery ricevette ben tre prestigiosissimi premi: il Pulitzer Prize, il National Book Award e il National Book Critics Award.
Un’autoantologia di John Ashbery è stata pubblicata in Italia da Luca Sossella Editore nel 2008. Si tratta di una scelta di testi operata direttamente da Ashbery, unico poeta americano ad aver scritto il libro “Self Portrait in a Convex Mirror” nel 1975, ispirato all’omonimo dipinto di Parmigianino.
Il libro, “Un mondo che non può essere migliore. Poesie scelte 1956-2007” contiene 79 testi tratti, 21 raccolte (dalla prima, “Some Trees del 1956”, alla più recente “A Worldl y Country”), è curato da Damiano Abeni e dal poeta Joseph Harrison che firma anche la preziosa introduzione, tradotto da Damiano Abeni con la collaborazione con Moira Egan.
L’UNICA COSA CHE PUO’ SALVARE L’AMERICA
C’è qualcosa di centrale?
Orti spalancati sulla campagna,
foreste urbane, piantagioni rustiche, colline ad altezza di ginocchio?
I nomi dei luoghi sono centrali?
Elm Grove, Adcock Corner, Fattoria della Fiaba?
Mentre essi coincidono precipitosamente a livello d’occhio
percuotendosi dentro gli occhi che ne hanno avuto abbastanza
grazie, basta, grazie.
E arrivano come scenario misto a tenebra
le umide piane, i sobborghi cresciuti troppo,
i luoghi di conosciuto orgoglio civico, di civile oscurità.
Questi sono collegati alla mia versione dell’America
ma il succo è altrove.
Questa mattina mentre uscivo dalla tua stanza
dopo il brekfast tratteggiato da sguardi
a ritroso e in avanti, a ritroso nella luce,
in avanti nella luce non familiare,
era colpa nostra, ed era
il materiale, il ciarpame della vita o di vite
che stavano misurando, contando?
Umore da dimenticare alla svelta
in incrociate travi di luce, fresca ombra del centro città
in questa mattina che ci ha di nuovo afferrato?
Lo so che intreccio troppo le mie
percezioni stroncate dalle cose nell’istante in cui mi arrivano.
Esse sono private e sempre lo saranno.
Dove sono dunque le private svolte dell’evento
destinato a rimbombare dopo come rintocchi dorati
liberati su una città da una più alta torre?
Le cose strambe che mi succedono, e te le dico
e tu immediatamente sai ciò che voglio dire?
Quale remoto frutteto raggiunto da strade sinuose
le nasconde? Dove sono queste radici?
Sono le batoste e i cimenti
che ci dicono se saremo conosciuti
e se il nostro fato può essere esemplare, come una stella.
Tutto il resto è attesa di
una lettera che mai arriva,
giorno dopo giorno, l’esasperazione
fino a che finalmente l’hai squartata non sapendo di che si tratta,
le due metà della busta posate su un piatto.
Il messaggio era saggio e apparentemente
dettato tanto tempo fa.
la sua verità è senza tempo, ma il suo tempo non è tuttora
arrivato, parlando di pericolo e le precauzioni più limitate
che si possono prendere contro il pericolo
ora e in futuro, in freddi prati,
in calme e piccole case di paese,
il nostro paese, In spiazzi recintati, in fresche strade ombreggiate.
(Traduzione di Aldo Busi)
—
THE ONE THING THAT CAN SAVE AMERICA
Is anything central?
Orchards flung out on the land,
Urban forests, rustic plantations, knee-high hills?
Are place names central?
Elm Grove, Adcock Corner, Story Book Farm?
As they concur with a rush at eye level
Beating themselves into eyes which have had enough
Thank you, no more thank you.
And they come on like scenery mingled with darkness
The damp plains, overgrown suburbs,
Places of known civic pride, of civil obscurity.
These are connected to my version of America
But the juice is elsewhere.
This morning as I walked out of your room
After breakfast crosshatched with
Backward and forward glances, backward into light,
Forward into unfamiliar light,
Was it our doing, and was it
The material, the lumber of life, or of lives
We were measuring, counting?
A mood soon to be forgotten
In crossed girders of light, cool downtown shadow
In this morning that has seized us again?
I know that I braid too much on my own
Snapped-off perceptions of things as they come to me.
They are private and always will be.
Where then are the private turns of event
Destined to bloom later like golden chimes
Released over a city from a highest tower?
The quirky things that happen to me, and I tell you,
And you know instantly what I mean?
What remote orchard reached by winding roads
Hides them? Where are these roots?
It is the lumps and trials
That tell us whether we shall be known
And whether our fate can be exemplary, like a star.
All the rest is waiting
For a letter that never arrives,
Day after day, the exasperation
Until finally you have ripped it open not knowing what it is,
The two envelope halves lying on a plate.
The message was wise, and seemingly
Dictated a long time ago, but its time has still
Not arrived, telling of danger, and the mostly limited
Steps that can be taken against danger
Now and in the future, in cool yards,
In quiet small houses in the country,
Our country, in fenced areas, in cool shady streets.