Opere Inedite, Alessandro Vetuli

Opere Inedite
a cura di Luigia Sorrentino

Alessandro Vetuli: “Fare poesia per me significa usare le mani come se fossero pale che scavano fino ad arrivano a toccare la scorza umana, fino a ritrovare, nel buio, il nocciolo polveroso della gioia che s’è spaccato  e ‘fa il rumore del pane quando viene spezzato’, rivelando tutta la radiosa semplicità del mistero della poesia”.

Alessandro mi scrive: “Sono rimasto molto colpito da dei versi di Eugenio De Signoribus che a mio parere riassumono perfettamente il rapporto tra poeta e parola poetica: ‘Sola la parola accetta in visita / e l’acqua e il pane della scrittura / ma essa è già lì , incasata / nella dote pura del pozzo // è pronta a calare laggiù / fin nella zona più oscura // e risalendo lavata / accordare la mano al custode.’ “

Alessandro rivela: “Scrivere per me è sempre stato una fede , un dogma a cui serenamente partecipo non pretendendo di razionalizzarne il mistero; è, inoltre, il tentativo di non far sentire emarginato chiunque usi un linguaggio come questo e verso chiunque comunichi il tentativo di penetrare nella gola arsa di chi è caduto con un canto sulla bocca e non si è potuto esprimere perché la poesia, o circostanze fortemente avverse, gli negarono l’acqua limpida del verbo. Ma soprattutto scrivere è un enorme tentativo di dedizione e donazione. Antonia Pozzi diceva: ‘Ogni cosa per me è una ferita attraverso cui la mia personalità vorrebbe sgorgare per donarsi ‘, l’atto di mettersi a nudo durante la donazione è un gesto estremamente amorevole e al contempo pericoloso ma ogni volta che la penna si muove per chiudere le forme delle lettere, allora si va verso il nucleo e si tende la mano alla radice senza più indumenti.

Alessandro infine scrive: “Il mio sguardo di solito si schiude alle storie talvolta taciute, talvolta ignorate o già raccontate, io cerco solo di dare il messaggio e di far sfogliare delle fotografie di cui nessuno si curava o per abitudine o per il comprensibile fatto di non poter (o voler) capire vicende tormentate come quelle di Rimbaud o Dylan Thomas, di quegli esseri fragili come tutti, in quanto umani, che però non hanno avuto in dono spalle che avessero la larghezza della quiete o del silenzio e allora i propri muri li hanno dovuti distruggere, con loro stessi, a colpi di poesia senza poterli scavalcare arrampicandosi.”

di Alessandro Vetuli

C’è sempre un po’ di neve
Su questo groviglio di rami ortografici

Ogni volta che leggi una poesia
Scuoti rami , radici e ancore

E tendi l’udito bruciato
Al verdetto della neve
Che s’insinua nelle crepe
Facendo emergere ciò che lenisce.

Ad ogni movimento di mano
Corrisponde una lettera scritta
E un susseguirsi di anelli di catena spezzati.

*

Dove il vento scava

Il vento scava
Dove non ci sono più mani ,
Il mare erode
L’antichità di volti che si conoscevano
E apre smagliature su rocce arse dal sale ,
Segno che la gioia c’è stata.

Dove non ci sono più lacrime
C’è questo scrivere e questo dover dire
Un linguaggio salato in cui bruciano
Tatto e memoria ,
La mano che percorreva il corpo nudo
Ha perso sensibilità
La donna distesa
Non ricorda più chi fosse stato a toccarla

Dove non c’è più voce
Il silenzio ha lasciato una spiaggia spianata
Case disabitate , rovine , bambini che chiamano
Spighe che oscillano

Grano abbandonato sui campi
Poesie abbandonate nei corpi.

***

David Maria Turoldo

Il tuo pastrano
È una reminiscenza di vento
Un tremore che vibra
Muovendo le ombre sull’acqua

Vivi allo stesso tempo tre esistenze parallele:
Il frate , il poeta e il viandante.
E rimani lì , a baciare seni di pietra
In un erotismo innocuo
Un piacere raggiunto attraverso l’ascolto

La pioggia ti lima le spigolature del viso
E leviga l’attesa del cuore stanco ,
Il pane raffermo delle ossa che torna friabile
E tralci di sillabe sonore come campane
Mature per essere colte.

 
***

 

I muscoli degli ulivi
Si contraevano sui tronchi allacciati
Sollevando vene incrostate
Come quelle di un Dio arrugginito

Dove il suo corpo era una spremitura di cose votate alla fine
Ora il suo sangue è olio che scorre in silenzio
In giare di carne ,
Esseri umani che hanno perso la capacità d’ascoltare

 

***

 

I poeti

Ancora ce lo chiediamo
Perché i poeti
Sono sempre i primi a morire
E gli ultimi a vivere.

I poeti vengono da riti antichi come la vendemmia
Nei tini delle loro speranze
Vengono pigiati dai piedi feriti della sensibilità
E danno un mosto sanguigno di parole e silenzi
Troppo maturi , poiché essi non sono mai nati per essere acerbi

I poeti sono un tavolo vuoto
O un prato sconfinato
Su cui le pietre sembrano pane
E riescono a spezzare la pietra ,
che produce lo stesso rumore
del pane quando viene spezzato.

***

Il saio di San Francesco

Nel tuo corpo
Ora scorrono infinite parabole
Luci che ti trafissero ,
la povertà ti fece un grande buco nel saio
All’altezza del cuore

Guardo questa veste ,
unica copertura del tuo spirito ,
martoriata come le tue mani
Mentre vedevi nei palmi
Gli occhi sanguinanti di Cristo
Il sole passava attraverso quei buchi
Proiettando un piccolo cerchio dorato sul tuo viso ,
stretta serratura della fede
da cui potevi spiare come un bambino.

Rimanevi impigliato nei rami
Come il tempo nella materia
Correvi perché avevi fame ,
fame dell’uomo strisciante
annidato nelle latrine , nei vicoli o nei nascondigli
Che leccava l’urina pur di dissetarsi
Che si cercava i pidocchi strappandosi ciocche di capelli
O che semplicemente si nascondeva
Per la malattia che l’aveva sfigurato.

Le maniche strappate del saio
Testimoniano che desti sempre le tue braccia per amore ,
un’accoglienza mutilata
Che ora lascia il posto a me che sono qui ,
su questa montagna , solo ed esclusivamente per ascoltare

Il cappuccio che ti ha reso incognito per anni
Ora è fatto a pezzi ,
forato dalla pioggia e dai poveri
che piangevano sul tuo capo
Appoggiando la tua testa al loro petto
Prendendoti come padre o come figlio.

Piaghe , vesciche e calli
Erano i sandali con cui hai camminato ,
le solide bibbie del tuo vagabondaggio
Che impregnate d’acqua
Esplodevano calpestando foglie e zolle
Poiché il tuo cuore esplose allo stesso modo ,
calpestando per la luce
tutti i tuoi sogni.

*** 

La grotta di San Bernardo Tolomei

Uno sciabordare d’acqua
Lava panni di roccia
Lasciati a riva vicino un torrente ,
l’umiltà si è spogliata qui
e se n’è andata.

Il silenzio composto d’un benedettino
Che cerca fiori di lavanda
Non riesce a rompere
La leggerezza d’una foglia che cade
Sul viso d’un uomo che piange
E gli benda la parte sinistra del viso
Quasi fosse cieco da un occhio

Dietro la fitta trincea di cipressi
L’antica grotta dell’eremita
Che morì per amore
E le sue mani restituite alla terra
Che scavarono nel tufo
Il riparo di questa circolare preghiera.

La sua bocca secca ,
creta sbriciolata dal rifiuto degli uomini
Il suo corpo ,
molliche di solitudine
Liberate da un pugno di luce
Di cui ora si nutrono gli uccelli
Che beccano ripetutamente
Nel palmo del perdono.

***

Se c’è un amore che desidero
È quello della pietra.
L’ inguine di scogli
Con la sua cavità genitale ,
il corpo robusto del nulla.

Se c’è una sensazione che desidero
È quella della nudità.
Dove i tendini del sole si spezzano ,
la censura dei falsi sentimenti crolla
e l’intimità è libera dalle fasce della poesia.

Se c’è una musica che voglio,
è quella del sandalo dell’eremita
O del piede nudo che affonda nella sabbia;
l’arpa millenaria di muschio
Con le sue corde aderenti alla roccia.

Se c’è uno sguardo che riesco ancora a sostenere
È quello di una ragazza che dorme ,
o quello d’una pozza d’acqua
che acquieta il mio.

***

Per Antonia Pozzi

I.

Pasturo è un artiglio di pietra
Dove brillano i cocci dell’erba
Che hai rotto ,
E profumano le zolle sfigurate
Dal pianto.

Ma tu sei ancora bella come un frate francescano
E metti le tue parole una vicina all’altra
Negli spazi vuoti del cielo
Come mattoni tenuti insieme dalla calce della rinuncia

Non perdono più sangue i tuoi piedi nudi
Perché anche la terra ti ha rivelato le sue piaghe
E tu le hai baciate , perché il disamore e il rancore ormai
Le sentivi dentro la carne.

Dove vedesti ” Per la prima volta volar nel sereno l’allodola ”
Ora la poesia siede come un fratello
Vestito solo di stoffa di sacco
Fissando i denti rotti della corona di roccia
che indossò solo un re crocefisso

Ma la tua voce ora è dischiusa ,
e quando ti chini per bere al ruscello
nella mani ritrovi acqua e fango
Mentre l’amore incrocia il tuo sguardo…

Lo sguardo che ti ha uccisa ,
lo sguardo che ti ha salvata.

 

II.

Le montagne sono i rilievi aguzzi del perdono
Affilato come una piuma che non può ferire
Ma può solo esser ferita.

Spingono i tuoi talloni resistenti come felci
Nella scalata aspra ,
nella non accettazione d’un male
Che è frumento d’ombra , patiboli preparati all’alba
O una ragazza esanime sul prato brinato
A scivolare in silenzio nella propria deriva ,
esplorazione d’una poesia che non verrà mai più scritta.

Con la bocca impastata di polvere
Rimescolavi le sillabe , caramelle che erano sassi
Ma che la tua anima d’adolescente
Non poteva fare a meno di chiedere

Le rocce adesso
Rivelano un lungo selciato di vento
Dove solo chi è sensibile
Può vedere le orme della comprensione
E del divino

E solo chi vive raccolto nella poesia
Può ancora ascoltare quella parola impronunciata
Rimasta in un paio di labbra gelide
Chiamata Antonia.

 
Il silenzio è la miglior poesia
Che sia stata mai scritta

È il verso universale
Scritto dagli eremiti del cielo ,
nel giorno in cui tutti parlavano troppo
senza saper veramente parlare.

Una dislessia cosmica,
una costante ferita sulla lingua
Che i poeti si sono continuati a fare

 

Alessandro Vetuli è nato l’11 febbraio del 1989 a Roma. Ha conseguito la maturità scientifica e attualmente studia lettere moderne presso l’Università degli studi Roma Tre. Ha iniziato a scrivere all’età di 15 anni cominciando col tenere un diario; si è avvicinato alla poesia con la lettura dei poeti maledetti Baudelaire , Verlaine ma soprattutto Rimbaud. I poeti che ama di più sono: Dylan Thomas , Nelly Sachs , Birgitta Trotzig , Yves Bonnefoy , Paul Celan , Alda Merini , Antonia Pozzi , Mariangela Gualtieri , Rimbaud e altri poeti italiani di minore rilievo.
Ha esordito pubblicando poesie in due antologie dell’Aletti Editore , nell’antologia Cose a parole della Giulio Perrone editore ed infine nel 2009 pubblica la prima raccolta L’INVISIBILE (Boopen Editore) a cui segue la seconda nel 2010 Lo spirito e il corpo (Boopen Editore). Nell’autunno 2011 uscirà la sua nuova silloge Come la pietra e il vento (Fermenti Editrice) , di cui fanno parte le poesie inviate per Opere Inedite.

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