Fabio Ciariachi, ‘Pastorizia’

Nello scaffale
a cura di Luigia Sorrentino

E’ appena uscito uscito il terzo libro di poesie di Fabio Ciriachi, Pastorizia, Empiria 2011, (euro 14,00).  Il libro si apre con una Nota geometrica scritta dall’autore, che pubblico qui sotto. Tutte e tre le opere di Ciriachi sono collegate a un punto geometrico, come egli stesso scrive nella nota di introduzione.  Con Pastorizia l’autore fonda un territorio limitato al cui interno esperisce molte direzioni. Ciriachi scrive: “Prende forma il groviglio dell’articolarsi tra confini, avanzo fino a un limite per poi tornare sui miei passi e ripetere, con scarti minimi, percorsi già battuti, ma saggiando percorsi già battuti, visioni sghembe, parallele, intersecanti.” […]

Il libro verrà presentato stasera, 27 ottobre 2011 a Roma da Fabrizio Fantoni e Biancamaria Frabotta alle 17:30 presso le Edizioni Empiria, (Via Baccina, 79, ). 
Sarà presente l’autore. 

Nota geometrica

Mi piace immaginare che in poesia i libri d’esordio – il mio, apparso presso Empiria nel 1999, s’intitola L’arte di chiamare con un filo di voce – siano assimilabili al punto geometrico, per il quale passa un numero infinito di rette. Col primo libro – penso oggi a dodici anni dalla sua uscita – sono entrato nel campo delle possibilità. A volte l’esordio dà luogo a una lingua così capace di interagire con la propria eco interna da trasformarsi in una sorta di sedimentato silenzio, una insensata loquacità che però non nega le sue prime lallazioni delle quali, anzi, sembra avere nostalgia. È per il coraggio ricevuto dal nascere a una lingua che non ho mai smesso di credere nella presenza di un libro futuro. Oggi so che con L’arte di chiamare con un filo di voce provavo a elaborare la perdita del luogo in cui avevo fatto ritorno dopo un’assenza di quindici anni (Roma e le sue città nella città), ma poiché riconosco che la consapevolezza del perché si scrive è decisamente minoritaria rispetto alle tante ragioni per cui effettivamente lo si fa, non cronicizzo il bisogno di sapere tutto, e mi fido di convivere con lo sconosciuto.

 
Mi piace anche immaginare che ogni secondo libro – il mio s’intitola Il giardino urbano ed è apparso presso Empiria nel 2003 – sia anch’esso assimilabile a un punto geometrico. Poiché tra due punti passa una retta, e una sola, dal cui andamento ha origine la direzione (il destino?), posso dire che col secondo libro ho stabilito di prendere una direzione. Dono inestimabile che ha però comportato la perdita di tutte le altre direzioni fin lì possibili in potenza; dono, perciò, di grande e necessaria povertà. Col secondo libro sono entrato a mani nude nel campo del procedere. Nei versi ha assunto rilievo il “verso dove”. Protagonista, assieme all’andare, quella particolare legge dello sguardo grazie a cui raccogliere dati utili a nominare. C’è stato una sorta di battesimo delle cose, ha cominciato a funzionare l’anagrafe della lingua. È nata una responsabilità ulteriore. La fatica di rimanere fedele alla direzione non mi ha impedito di proseguire. Sono entrato, senza neanche accorgermene, nel campo dell’irreversibile. Lì, il problema del tempo cronologico mi ha costretto a fare i conti con la morte come problema. Oggi so che Il giardino urbano è il luogo dove ha avuto inizio il mio apprendistato per la morte. Grazie alla contemplazione toscana con cui si apre il libro, le sezioni successive sono diventate luogo di ammissioni, di congedi, di scoperte, di conferme.
Mi piace infine immaginare che col terzo libro – il mio è Pastorizia, accolto ancora da Empiria – i punti geometrici diventino tre, sufficienti a definire una base e un’altezza e, per queste, un’area. Col terzo libro fondo un territorio limitato al cui interno esperisco molte direzioni. Prende forma il groviglio dell’articolarsi tra confini, avanzo fino a un limite per poi tornare sui miei passi e ripetere, con scarti minimi, percorsi già battuti, ma saggiandone visioni sghembe, parallele, intersecanti. Sperimento il punto di vista senile, la necessità di guardare verso il basso, proprio della pastorizia: mentre le bocche sono intente a brucare, gli occhi censiscono il territorio, lo imparano a memoria. Non penso ancora che possano baciare la terra (pure sfiorata dalle labbra), la sola religione, per il momento, è il cibo e il sostenersi. Incombe anche il senso del pericolo. Per questo ho dovuto definire l’immagine del nemico, una figura esterna a me (e ai testi che preesistevano alla sua percezione) ma con grandi riflessi al mio interno. Da qui la necessità di un “prologo” che ne dicesse la conformazione, e limitasse la bellezza per renderla meno fragile, la difendesse sporcandola: “Ora il pastore sa del tradimento / racchiude le sue pecore in abbracci / infila spine nel recinto, sporca / con le sue mani l’ultima innocenza, / diventa il controfuoco degli incendi / brucia il cibo per toglierlo a razzia”.
Vedendo le cose in prospettiva, mi spingo a immaginare che dalla superficie del terzo libro, a tempo debito, possano nascere varie forme di rilievo. Il movimento, da orizzontale, diventerebbe anche verticale. La figura piana evolverebbe in volume. Nascerebbero le colture stagionali e le case, i villaggi, le città. Lo sguardo volgerebbe verso l’alto. Si affaccerebbe l’ipotesi di dio e dell’altrove. Ma tale prerogativa attiene a un possibile quarto libro che ancora non è e di cui Pastorizia può rappresentare, al massimo, solo un depistante annuncio; o anche, come recita la clausola di una poesia qui presente: “semplice architettura del mistero, / sorta di quadrato lineare che / somiglia a un cerchio tutto triangolare”. Chissà se la geometria lo ammette?

di Fabio Ciriachi

*

Come si cade

Il giorno in cui s’era sentito male
aveva attraversato il pomeriggio
succo d’arancia la tovaglia a righe
un senso come intero di bellezza
passata (dunque finisce così la
bellezza, con la rassegnazione)
le voci incidevano il silenzio
non gl’importava niente non le amava
più, pensò che se fosse giunta notte
non l’avrebbe ostacolata piuttosto
coccolata anche se con freddezza
poi vide il seno affacciato al décolleté
un tremolio sull’onda dei passi
e ne invidiò le ghiandole obbedienti
– avesse avuto una morbidezza
simile nascosta dentro, magari
nei gesti, negli sguardi, attorno agli occhi
o nei pensieri nelle decisioni –
avesse concordato con chiarezza
un modo per concludere l’impresa:
poche parole e tutte di peso
pochi silenzi senza impressionare
ma che importanza poteva mai avere
(il corpo estraniato dal dolore
gli parve un movimento di nemici
e non si rese conto che si arrese).

*

Dio

Dio si compiace del verso che parla
di fango secco alla base del muro
di fatiche nell’opera del giorno –
perché ama la non magniloquenza
che lo fa esistere nella parola
bastante a se stessa, senza aggettivo –
semplice architettura del mistero,
sorta di quadrato lineare che
somiglia a un cerchio tutto triangolare.

*

Le foglie dei plataniEcco che ad inizio
primavera per le foglie i platani
somigliano ai pioppi: folte nella loro
piccolezza, piume verdi
che confondono il cielo. Ma tu
che le guardi e pensi
“fuochi d’artificio in pieno giorno”
sai già quanto grandi
diverranno, più di una mano
aperta, e quanto ampia
s’offrirà nel caldo la loro
protezione, l’estivo tentativo,
chiropratiche, di curarti l’ombra.
E allora senti che, per ricambiare,
con disperata chiromanzia
proverai a leggerne il domani
nei solchi concavi arcani
delle venature.

 

*

Ai poeti romani

Un messaggio del tutto personale:
“Mantengo il respiro a endecasillabo
per denunciare alcune sottrazioni,
libri preziosi di poesia dati
in prestito e mai più riavuti.
Chi li ha, prego, mi ascolti: Valerio
Magrelli, Ora serrata retinae,
prima edizione della Feltrinelli
nella collana gialla, e poi Nature
e venature, Specchio Mondadori.
Biancamaria Frabotta, Il rumore
bianco, prima edizione Feltrinelli
anche questo nella collana gialla.
E poi ancora, di Elio Pagliarani,
Esercizi platonici, Acquario
Nuova Guanda Editore a Palermo.
Speditemeli a casa, il mittente
rimanga pure anonimo, mi basta
colmare un vuoto ormai decennale.
Il mio indirizzo è facile trovarlo
mi raccomando non scordate il c.a.p..

*

A certe strade di Roma

Bisogna andarci piano, a Roma,
con le strade dal nome di fiumi.
Può starci che via Po
per amor di metafora nasca
da corso d’Italia, ma che sbocchi
su via Tagliamento confonde.
Viale Adriatico gli ci vorrebbe
se non fosse perso dietro piazza
Ex-Jugoslavia a credere, indarno,
che viale Egeo cinga d’amore
via Magna Grecia, cieco alle dita
di via Peloponneso che indicano
le tante lune piene della sua
interminabile notte.

*

Ospedale

Il respiro le voci luce al neon
il corridoio dove passi e passi
come lo passi il tempo come incontri
tutto quello che non hai visto mai?

E quello che già sai come ti aiuta
a sopportare questo tempo nuovo
che non ti lascia diventare vecchio
e benché poco vuole essere tutto?

Da sotto la maschera di ossigeno
hai chiesto della mano di Daniela
hai detto “Sara è brava” e poi “Scusa
se non parlo, mi stanca, parla tu”.

“La mano di Daniela è guarita
la Roma non la comprano i russi
Sara ha pubblicato il suo romanzo”
e poi cose di sesso alla noi maschi.

Spenta la radiolina il silenzio
aveva la voce dell’ossigeno
un lieve sfrigolare sopra il letto
e tu pilota astrale di te stesso.

Con fatica “Vai a casa sei stanco”
mi hai detto. E io “Sandrino, sto sempre
in piedi, qui mi posso riposare”.
Hai chiuso gli occhi ho aperto il taccuino.

*

Diario di Sardegna

Abitare a Mara in via Gramsci
dove passa la corriera
per Bosa… se ci riuscissi
in questo cuore di verde
secchezza a conquistarmi il duro
della pace le parole
soltanto necessarie, se potessi,
simile agli ansimi di terra,
andare a piedi di forra
in forra, rigogliose,
fino a baciare Padria
che sente il mare e quasi
lo vede dall’alto delle palme
o lo figura – nel giro di una curva
somma – bagnato solo dal cielo
dove pure
s’inseguono infiniti. E tutto questo
non lo cogli, lo perdi, se ti sposti
in aereo, se vuoi – celato a te stesso
in alto cielo – arrivare
prima, fare presto.

*

Rivincita
                   alla memoria di mio padreDopo la morte sei rimasto a casa
due giorni e due notti steso a letto
vestito come pronto per uscire.
Spiando quel tuo stare orizzontale
cercavo segni di morte apparente
ma differente era solo il colore
della pelle che piano s’incupiva.
Mi alzavo la mattina pronto a dare
notizia che non eri affatto morto
(o almeno che da un po’ eri risorto)
ma non cambiava niente, tutto fermo,
solo se mi chinavo a guardarti
vedevo gli occhi parzialmente chiusi
due fessure con dietro il vetro nero.
Eppure ti mostravi così quieto
sotto quei lineamenti regolari
col tuo vestito buono grigio scuro
anche sdraiato a letto eri un signore.
Ma tu perché non hai collaborato?
Avessi almeno alzato un sopracciglio!
Mi bastava, come a briscola, un segno,
tu lo facevi e io trovavo il modo
di rimediare a tutto quell’assurdo.
La prima mano l’avevamo persa?
Rimaneva ancora la rivincita
e poi la bella aguzzando l’ingegno.
Dopo trentacinqu’anni ancora tento
ma ormai le carte sono rovinate
non hanno più segreto, ogni volta
so che dietro non c’è il punto giusto
eppure tento, in qualche modo tento
come se non sapessi fare altro.

 

*

EmpirismoUn ferro tondo tutto quanto torto
non dà forse un’idea di debolezza
smentita solo quando nel toccarlo
se ne constata tutta la durezza?

 

Era così contorto quel tondino
che dava l’impressione, convincente,
che fosse molto facile piegarlo
e la fatica non costasse niente.

Ma prova a torcerlo se ti riesce
soltanto con le mani come sembra
possibile vedendo quanto è torto.
Col ferro l’apparenza conta niente.

Con cosa invece l’apparenza regge?
Con tutto quanto non si può toccare,
col pensiero è più facile ingannare
il tatto invece ha un senso e ci protegge.

*

Il presente

La mia memoria è tutta nel presente
questo che vivo adesso è già accaduto
ricordo la sua luce le sue voci
il desiderio di riaverle dopo.

Da Pastorizia, di Fabio Ciriachi, 2011


Fabio Ciriachi, romano, è autore di poesie, racconti e romanzi. Presso Empirìa ha pubblicato: L’arte di chiamare con un filo di voce (1999) e Il giardino urbano (2003). Ha tradotto l’opera poetica di David Mus Qu’alors on ne se souviendra plus de la mer Rouge (Ragage/Empirìa, 2005).

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