Opere Inedite
a cura di Luigia Sorrentino
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“Ho iniziato a scrivere sei anni fa. Posso addirittura citare la data: il 30 giugno del 2005, un primo pomeriggio, sotto i castagni di Santa Fiora. Avevo appena finito la maturità al professionale. La prima poesia, mi venne così, di getto, è “Incanto di donna”.
L’amore, dunque, come primo motivo ispiratore. Difficile dire perché non sia nata prima, in me, la poesia. Non credo perché in contrasto con la mia formazione filosofica, anzi. Ritengo che queste due dimensioni possano completarsi a vicenda. Del resto, ognuno di noi ha tempo diversi di maturazione.
Da lì in poi scrivere è divenuta una sorta di seconda natura, un secondo cordone ombelicale che non è affatto evasione, ma anzi necessità pura, tensione perenne che si lega strettamente all’esistenza, nella volontà di costruire un senso, in un mondo che pare aver smarrito il filo conduttore, il collante che consente di sentirci parte di una comunità. Quando sento che qualcuno sostiene che tutto è già stato inventato o scoperto, come se non fosse più lecito stupirsi, mi irrito, in un’epoca in cui pochi si indignano. Il poeta con le parole costruisce un mondo, itinerari potenzialmente indefiniti che ci guardano dentro, e ci rappresentano. Per ciò che siamo. Disvelamento di innumerevoli sensi: questo è la poesia. ”
di Stefano Colli
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La notte non passa per caso
Splendore dei tuoi occhi chiari
nel nitore stellato d’Agosto.
Chi sei, ragazza? Quale
il fiore del tuo giovane incanto?
Indugia la mente su sentieri
di possibilità inaspettate
cosparsa la sera
della tua ineffabile presenza.
Cogli il dolce frutto della tua
vita fiorente, fenda il tuo profumo
il sentore inappagato
di un incontro mai nato.
E sbircia furtiva la luna
dal suo lento viaggio quotidiano.
La notte non passa per caso.
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Alla mia gatta
Hai occhi di cristallo e pelle di seta.
Sei il sole che muore nel mare
e la luna che sorge, furtiva
quando crescono le nostre illusioni.
Un dono gratuito sono le tue fusa
lascive, le vibrisse temerarie
spavalde sorelle delle tenebre.
Ai nostri affanni di sempre
fa da sentinella il tuo sonno
leggero. Di fronte al futuro
tu non sembri tremare, custode
di un enigma che si perde
nell’immensità di una notte stellata.
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All’incanto dell’aurora
Ardono
strozzate dentro urne di avorio
le perle senza prezzo dei poeti.
Brindano
le nuvole ebbre di sogni
all’impazzito valzer della vita.
Scioglie
l’intensità del tuo sguardo penetrante
la marmorea indifferenza del mondo
la quiete apparente del mio animo
che attende un fiore di pace
schiuso all’incanto dell’aurora.
***
Non lasciate che uccidano i poeti
A Pierpaolo Pasolini
Non lasciate che uccidano i poeti
scomodi testimoni della vita
spesso ansiosa di brividi inconsueti
che illuminino una giostra impazzita.
Non lasciate che uccidano i sogni
senza i quali gli uomini non volano
oltre un mondo di futili bisogni
unica fede che gli sciocchi amano.
Non lasciate che vincano i rimpianti
finché il futuro donerà domande
libere dalla boria dei profeti
non permettete che rubino istanti
a chi guarda con gli occhi dei poeti
per sopravvivere in aride lande.
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Attesa
Luci fatue dell’aurora
dileguano gli inganni della notte.
L’alloro offeso dal vento
ospite discreto dei miei giorni
custodisce il sogno di nuove attese.
Neanche qui il vento può cessare:
il ritmo del suo grido di pietra
annuncia il lento rito quotidiano.
L’alloro può solo attendere
la solenne pietà dell’incipiente
autunno. E placida veglia la luna
sul crocevia di una sperduta immensità.
***
In ascolto
A Eugenio Montale
Dunque nulla di nuovo da questa torre
dove si elucubra senza ascoltare
e sui poeti cala il buio della notte.
Non chiediamo la parola che salvi
siamo i sicari della nostra morte
prigionieri di una nuova dannazione.
Ospiti di un flipper impazzito
fra poco non ci capiremo più
assuefatti ai megabit ma orfani
di un cielo in cui tacciono le stelle.
Donerà nuovi segni l’orizzonte?
Muta l’attesa all’ombra della sera
quando più non volano le rondini.
Forse ciò che serve è un altro inizio
ma stavolta, vi prego, restiamo
in ascolto, senza veli o argini.
Forse qualcosa si potrà decifrare.
E di nuovo adagio tornerà
a sorprenderci la vita.
***
Sera di settembre
Ammirare il mare verso sera
è sfogliare le pagine dell’ignoto
penetrare durante la veglia
nel mistero del sogno
è impadronirsi delle nostre memorie
terapia che squarcia
la maschera vana che ci nasconde
è violare il labirinto dell’anima
bussare a porte chiuse da tempo
svelare luoghi e doni inaspettati.
Per questo una poesia
si scrive ammirando il mare
ospiti discreti di un miracolo
che si compie all’insaputa di noi stessi.
E’ varcare i confini del già visto
è un delirio sacro in cui si rischia
la dannazione o una carezza divina.
La poesia è l’arcobaleno della vita
e il suo canto il lamento di Dio
mentre prega per la stoltezza degli uomini.
Poesia è creazione di senso
e potersi specchiare nell’immenso
che il mare al tramonto squaderna
svelando orizzonti poco usati
come le rotte di antichi velieri.
Scrivere versi una sera di settembre
è assistere ad una messa profana
innanzi al mare che si ritrae in silenzio
è ascoltare il respiro del cosmo
mentre ride delle nostre miserie.
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Stefano Colli è nato a Grosseto nel 1970. Laureato in Filosofia di Siena con una tesi sulla fase mediana della Dottrina della Scienza di Fichte. Relatore il prof. Giovanbattista Vaccaro. E’ docente di ruolo di filosofia e storia al liceo scientifico di Grosseto.