Opere Inedite
a cura di Luigia Sorrentino
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Oggi incontriamo Vincenzo Mascolo per Opere Inedite che descrive così il suo rapporto con la poesia: “Ho sempre pensato alla poesia come a un viaggio verso l’invisibile che è dentro e al di fuori di me. La vivo così, come un viaggio per raggiungere l’anima e per scavare al suo interno, alla ricerca della mia essenza. La poesia mi aiuta a svelare il mio essere profondo e a manifestarlo attraverso i miei versi. Credo si compia in questo modo un processo quasi magico: la parola rende visibile la mia anima e la ricongiunge al mio corpo, fa sì che venga assimilata nella carne, nelle ossa e nel sangue, la trasforma in realtà. Per me, quindi, la poesia è un evento necessario e ineluttabile. A volte è nutrimento, altre volte mi devasta con la sua furia. Ma sfuggirle è impossibile, e allora scandaglio quello che resta dopo il suo passaggio in cerca dei confini del mio mondo.”
di Vincenzo Mascolo
IL CIELO DI VENEZIA
(il sogno invisibile di Marco Polo)
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ma in fondo anche Venezia è un’illusione,
un gioco fantasioso di rimandi
che si cancella a poco a poco
ad ogni mio ritorno.
E forse nemmeno l’ho perduta
forse Venezia non esiste
o forse sono io che non l’ho avuta.
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IL CIELO DI LISBONA
(il dolore invisibile di Fernando Pessoa)
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Qualcuno di tanto in tanto viene ancora a trovarmi
specialmente nelle sere profumate di maggio
quando il cielo che avvolge Lisbona
ha molte più stelle di quante io ne riesca a contare.
Ritornano allora tra noi i discorsi di sempre
insieme alle nostre poesie, che in quelle sere
pronunciamo ad alta voce per ore
come fossero veramente preghiere
e non gli inutili versi che sono
come se, in quel frastuono di voci che è a me così caro,
a poco a poco ogni cosa potesse di nuovo diventare reale
anche il cielo al di sopra di noi
e tutte le stelle che non riesco a contare
anche la vita che fingiamo di avere
e il dolore, infinito, di noi
che nelle sere profumate di maggio
al suono delle nostre parole
dal cielo continuiamo a invocare.
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IL CIELO DI BARCELLONA
(il tempio invisibile di Antoni Gaudì)
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Senza mai fermarmi un solo istante
senza nemmeno concedermi un respiro perché
davvero tutto sia compiuto prima che si compiano i miei giorni
prima che ogni cosa di nuovo si trasformi
persino i miei pensieri
la carne che ora indosso e il sangue che la nutre,
innalzo questa chiesa e anno dopo anno
sospingo le sue pietre verso il cielo
unendole ai miei sogni
per essere sospinto verso il cielo come loro
per essere con loro pietra viva anch’io.
Ma non mi basta più, adesso, avvicinarmi:
voglio arrivare in volo fino al cielo
voglio toccarlo con le mani
voglio sentire la sua forma
ci voglio entrare, farlo mio,
lo voglio penetrare fino al fondo questo cielo
e quando lo avrò fatto, mio Dio non avrai scampo
non Ti darò respiro, Ti cercherò dovunque
perlustrerò quel cielo palmo a palmo
entrando in ogni ansa, in ogni suo recesso.
Non potrai più nasconderTi al mio sguardo
nessun riparo sarà per Te sicuro:
Ti troverò lo giuro lo farò
e Ti trascinerò quaggiù
nel tempio che hai ultimato
nel cielo che mi hai dato
al centro di me stesso.
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IL CIELO DI…
(la città invisibile di Italo Calvino)
*
Quando tornerai
nella casa che ospitava il nostro amore
troverai le tue cose ancora intatte
ordinate come le hai lasciate allora:
gli abiti appesi alle stampelle
il phon nell’anta sotto il lavandino
i profumi sulla mensola del bagno
e nel letto, accanto al mio,
il cuscino che stringevi poco prima di dormire
io non so se per difenderti dal buio
o dal freddo di un inverno
che in quel letto ci sembrava non dovesse mai finire.
Quando tornerai
mi troverai come sempre seduto lì in cucina
che ancora cerco tra le pagine di un libro
un varco che mi porti fino al cielo
fino al monte più elevato della luna
nel cratere più profondo
dove forse, in un’ampolla, si nasconde la ragione
del mio andare silenzioso per città che non conosco
invisibili a ogni sguardo tranne al mio
che hanno case con le mura tutte esposte all’infinito
e con tetti di cristallo per scrutare il firmamento.
Lo so, verrai a sederti accanto a me quel giorno
mi domanderai delle città che io avrò visitato
e delle storie, le tante storie conosciute lungo il viaggio.
Richiuderò allora le pagine del libro
e inizierò per te un racconto:
amore mio,
ti scrivo da così lontano…
Si sbiadiranno tra noi quelle parole
saranno nubi dirette chissà dove
verso il margine ultimo del cielo
o forse anche al di là, se esiste un aldilà del cielo,
verso noi due che seduti lì in cucina
le sentiremo posarsi su ogni cosa,
sui tuoi abiti appesi alle stampelle
sul phon nell’anta sotto il lavandino
sopra i profumi sulla mensola del bagno
sul tuo cuscino
e poi sopra di noi che seduti lì in cucina
insieme finalmente ci metteremo in viaggio.
Tutto così avrà di nuovo inizio:
noi due saremo ombre
tra le ombre della sera.
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IL CIELO DI BUENOS AIRES
(la neve invisibile di Jorge Luis Borges)
*
Ricordo nevicava quel giorno a Buenos Aires
cadeva giù la neve che il cielo la mandava
così sottile lieve bianca pura
che si riusciva solo a immaginarla
e io nel buio che dalla mia stanza
si distendeva fino all’orizzonte
attraversando il cielo e l’avenida io
quel giorno io la immaginavo
venire giù dal cielo come manna
e come manna stenebrare il buio
nei miei pensieri incolti e nella carne
dell’anima smagrita
quasi esangue.
Fu un momento
un rapido bagliore come un lampo
ma in quell’istante vidi nuovamente
le mura circolari di Babele
e la parola che si era perduta
risorgere alla luce
farsi eterna
come questa infinita nevicata
che adesso imbianca ancora l’orizzonte
il cielo i tetti i vetri
la mia stanza.
O carne della mia carne inaridita
l’essenza memorabile del tempo
è polvere sui libri che leggevo
sulla città svanita,
lontananza.
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IL CIELO DELLA MIA CITTA’
(e di tutte le cose visibili e invisibili)
*
VI
Sai, non è la morte che mi fa paura
ma il cielo scuro dell’inverno,
la lama affilata della notte
che scava dentro il mio dolore,
la ricerca continua di parole
nel ripetersi monotono dei giorni.
Mi atterrisce
la vanità di questa mia poesia
e l’orrore della vita
che sento scardinare le finestre
ogni mattina.
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Vincenzo Mascolo, nato a Salerno nel 1959, vive e lavora a Roma. Nel 2004 ha pubblicato con Edizioni Angolo Manzoni la raccolta Il pensiero originale che ho commesso. Con LietoColle ha pubblicato nel 2009 Scovando l’uovo (appunti di bioetica), un libro di quartine dedicate ai temi della bioetica. Sempre per LietoColle ha curato le antologie Stagioni, insieme ad Anna Toscano e a Stefania Crema, e La poesia è un bambino.
È il curatore della manifestazione annuale Ritratti di poesia promossa dalla Fondazione Roma.
questo poetare cordiale e simpatico che nella prima composizione su Venezia raggiunge un certo effetto grazie alla sua lieve malinconia che si addice al luogo e al paesaggio, non mi sembra in grado di supportare (ma neanche sopportare)una complessa elencazione di argomenti e sensazioni come quella che si rivolge all’opera ben nota di Gaudì, dove la brevità e l’essenzialità che sarebbe necessaria per la poesia si scontrano con il barocchismo sfrenato e delirante della costruzione di quella chiesa. Così l’elencazione degli argomenti poetici si disperde e comincia ad annoiare (nella inutile seconda strofa) con la sfilata dei “voglio” e delle altre future ma improbabili iniziative. Insomma occorre “brevitas” e ancora “brevitas”. La prima strofa potrebbe e dovrebbe bastare. Non parliamo poi delle città di Calvino e di Buenos Aires!L’ultima poesia è bella nella misura in cui è breve e autocritica. La vanità della poesia va combattuta tagliando e tagliando e combattendo la vanità del poeta stesso.
caro Meeten Nasr,desidero ringraziarLa per l’attenzione che ha dedicato alle mie piccole cose e per le sue parole. Nonostante sia evidente che abbiamo una diversa visione della poesia, le sue note critiche mi fanno riflettere molto. Sono rimasto colpito soprattutto dalla noia che dice di aver provato durante la lettura e dall’annotazione sulla necessità per il poeta di combattere la propria vanità per sconfiggere la vanità della poesia. In verità, il mio riferimento era alla leopardiana “infinita vanità del tutto” e, quindi, alla locuzione “vanitas vanitatum et omnia vanitas” del Qohelet. Non posso, tuttavia, non concordare con il suo suggerimento di combattere la propria vanità, che è secondo me precetto da seguire nella vita quotidiana prima ancora che nell’esperienza poetica.
Caro Vincenzo Mascolo,
mi fanno leggere questi tuoi testi. Mi interessano le città, come incudini sulle quali si consuma l’accatastamento dei popoli, irresistibilmente convocati dagli oggetti, loro tiranni.
E’ proprio lì che la similitudine si rovescia e che la natura va ad assomigliare agli utensili. Ma fortunatamente le città hanno anche la loro eterna malia, i loro luoghi architettonici che colludono con il nostro sentire. Si tratta dell’altra faccia della medaglia, il cui dritto manifesta forse quanto dicevo prima. Dunque, buon lavoro. Le città hanno due stagioni grazie per la II stagione. O la prima?
un caro saluto, Guido Oldani
Caro Guido Oldani, grazie per l’attenzione e per il commento. E’ in fondo proprio da quel senso di “realismo terminale” da te teorizzato che nasce il mio desiderio di oltrepassare gli oggetti che danno forma e luce alle nostre città, ma fanno dimenticare la presenza del cielo.
un caro saluto.
vincenzo mascolo
Le “ridondanze” rilevate da Nasr possono non trovarci tutti d’accordo , laddove il temperamento chiede strada ed esige i suoi spazi espressivi senza peraltro scadere nel sentimentalismo e dintorni .
La naturalezza del verso e dell’immagine mi sembrano costitutivi di questi testi , di queste parole più preoccupate di essere che di apparire . Non saprei cosa altro chiedere ad un poeta .
Cordialità –
leopoldo attolico
Gentile Leopoldo Attolico,grazie per le sue belle parole.
saluti cordiali.
vincenzo mascolo