Opere Inedite
a cura di Luigia Sorrentino
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Oggi a Opere Inedite, “Il mare dei ritorni’ cinque poesie inedite di Giuseppe Conte, poeta, scrittore e saggista. In questi nuovi testi Conte conferma l’andamento sinfonico presente nella sua opera di poesia fin dalla prima pubblicazione, Il processo di comunicazione secondo Sade (Napoli, Edizioni Altri Termini, 1975). Un movimento lirico, simbolico e mitico, tipico del suo lavoro di poeta, da più di trent’anni.
NON FINIRO’ DI SCRIVERE SUL MARE
(Parte seconda)
I
Il mare dei ritorni
Quando sono lontano da te, mare, io ti vedo.
Dove un soffio nell’aria, un tremore , un sibilo
spezza la staticità delle cose.
Ti ho sentito tra le cime dei pioppi tremuli
delle Montagne Rocciose
che si piegavano sotto un vento sciamano
con un cupo , continuo fischiare e lontano,
ti ho visto nella distesa del deserto
tinto di rosa e viola, sfumante, eclettico
del New Mexico
ondoso sotto l’orizzonte come te.
Ti ho visto oggi nella tempesta di neve
che ha staffilato la città, piombandovi
sopra come un’orda di cigni
in un attimo senza tempo
fiocchi puntuti spazzati dalle rincorse del vento
e dai vortici che hanno avvolto
Malaya Dmitrovkna
palazzi, giardini, automobili
e reso tutto prima invisibile
e poi bianco assoluto
azzerato la realtà per neppure
un quarto d’ora
di angoscia e di paura.
Le tempeste di neve sono il mare
che protegge la Russia e la preserva
dalle invasioni,
dall’avanzata delle armate nemiche.
E io dalla finestra mentre il davanzale
si copre di ghiaccio quasi in un astrale
istantaneo viaggio
penso all’umile fante provenzale
dell’esercito di Bonaparte, nato
dove tu, mare, sei alleato
con il sole e con l’azzurro del cielo,
penso al gelo
nei suoi occhi, nei suoi piedi, nel suo cuore,
al suo affogare nel terrore.
“In tempeste come queste si muore”.
Lo so come ti amo , mare, quando
sono lontano da te, e ti voglio , e ti evoco
e da te voglio ritornare
come da una vecchia compagna di gioco
come da una vecchia madre immeritata.
Tornare, mare, tornare
alle tue rive , come avrà sognato
chiudendo le sue palpebre per sempre
il fante provenzale dell’Armée
l’indifeso soldato dell’ARMIR
mentre sentiva dentro di sé salire
il ghiaccio che rattrappisce
i piedi, i ginocchi, il cuore.
Oh mare! Oh madre.
Come è tutto assurdo , come il furore
della guerra, delle conquiste, tradisce.
Come sono ingannevoli le pianure.
Come sono insensati gli ordini.
Voglio il tuo movimento, mare,
la tua totale anarchia, tornare
alle tue rive,
a farmi accarezzare la fronte
dalla tua luce, dal tuo infinito
orizzonte.
Mosca, 26-3-2001
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II
Non ci si può mai troppo allontanare
da te, padre, madre, mare.
Possiamo credere di farlo, noi umani sventati,
possiamo dimenticarti, e forse tra noi provare
rancore e per un momento
desiderio di ucciderti,
di spegnere il tuo movimento.
Ma pianure e colline alberate,
steppe desolate , montagne
altissime non ti possono negare
e nascondere.
Arrivano dovunque le tue onde.
Non c’è niente da fare
mai riusciamo a sfuggirti, padre, madre,
mare.
Ogni viaggio è una traversata
e oltre ogni terra che io traverso
ci sei tu, sempre e eguale e diverso
sempre di più
fedele e infedele a te stesso
torbido e dolce come è sempre il sesso
tra noi umani.
Mare, non ti siamo mai lontani
perché sei in noi dalle origini
perché sei tu che ci generi
e siamo fatti della stessa sostanza
e sottoposti alle stesse leggi astrali.
Tu sei in noi, perpetuamente
nel cranio, nel torace, nelle mani,
sei in noi onda, stella, riflesso, marea
sei il movimento che sovrasta e che culla
che dona il delirio a ogni idea
che deborda , sei il tutto e il nulla,
sei tu che spingi gli sguardi
sempre verso l’orizzonte
sei tu, è per tuo decreto
che nasce la volontà di conoscere
e ogni rovente fame di infinito.
—
III
Oh quelli che ti dicono:misura.
Oh il consiglio gentile : sii discreto.
Oh quelli che ti avvertono: abbi paura.
E te lo ripetono:sii quieto
dove sei, non ti avventurare.
Quelli non ti conoscono, mare.
Perché la tua misura è l’alto del cielo
e l’abisso nero,
il delfino che salta e la medusa
che pulsa luminescente
l’irrompere e il ritrarsi
come un sesso dall’ardore alla detumescenza
il passare dalla bonaccia ai cavalloni
silenzioso come un esercito di lucertole
rombante come migliaia di tuoni.
Perché non sai la discrezione
tu, ma solo la più crudele sincerità
sei brutale come la verità
sguaiato come un ubriaco.
Perché non hai paura
di niente, aria terra e fuoco
non possono attaccarti in natura
e se ti avvelenano gli umani
rispondi con le onde anomale
di maremoti e tsunami.
Non conosci la quiete e la rinuncia.
Chi ti ama, lo sa.
Vedi le navi e vedi i naufragi
come facce della stessa realtà.
Ti è indifferente la civiltà.
Ti è indifferente la nostra vita.
Ma ci dici con la tua voce remota
e barbara sotto il maestrale ,
che la nostra vita vale
solo quando
si svergina e si rinnova amando
e cura la sua ferita
natale navigando,
solcandoti, mio mare.
—
IV
Nel grembo della madre
nell’utero simile a un calice
a un tulipano
come in un golfo tra due promontori
che ti proteggono dai venti di tramontana
mare, e ti fanno specchiante
e immobile e tiepido,
senza albe e senza tramonti
senza banchi di delfini , senza alghe
e alte e basse maree
e il minimo soffio di onde e spume
senza asterie, spugne e sale
ti abbiamo conosciuto così, quasi umano,
animale,
anche tu.
E prima che piovessi sul pianeta
siamo stati con te in una cometa
dalla coda di ghiaccio che volava
per lo spazio siderale
che oggi ci annega a pensarlo
buio, senza limiti, senza angoli
senza punti di riferimento
tutto pozzi di nero elastico,
noi che abbiamo costruito il firmamento
e dato il nome a Sirio e Betelgeuse
come alle tigri, agli alberi, alle meduse.
Dove vita si prefigurava
dove si sognava la nascita
di un ranuncolo, di un cavallo, di una bambina
nel vuoto più assoluto
tu mare eri lì, muto
in piccole gocce di ghiaccio, gocce di brina
in attesa
di piovere, di fecondare.
Perché sembra che sia nell’universo
questo il tuo compito
arido e amaro come sei,
Dio-mare.
—
V
Nessuno ti può abitare
nessuno ti può vendere
le chiglie ti possono fendere
ma tu resti intatto, mare.
Nessun muro ti può dividere
non ti si può lottizzare
scorie e nafta ti feriscono
ma tu resti vivo, mare.
Resti libero per i liberi
sogno per i sognatori
varco per gli esploratori
dell’amore, di ogni irrequietudine.
Resti libero per i liberi
culla per i nuotatori
specchio per gli umani dolori
e per i piaceri più fervidi.
Necessario è il movimento
necessario è navigare
e tu che sei antico e barbaro
lo gridi , lo gridi , mare.
Marzo-ottobre 2011
di Giuseppe Conte
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Giuseppe Conte poeta, narratore e saggista, è nato ad Imperia. Redattore della rivista Il Verri diretta da Luciano Anceschi, assistente universitario di Estetica a Milano con il Prof. Dorfles e di Letteratura Italiana a Torino con il Prof. Barberi Squarotti, e docente nelle Scuole Superiori. Abbandonato l’insegnamento, si è poi dedicato a tempo pieno all’attività di scrittore.
Opere di poesia di Giuseppe Conte: “Il processo di comunicazione secondo Sade”, 1975. “L’ultimo aprile bianco”, 1979, “L’oceano e il ragazzo”, 1983, “Le stagioni”, 1988, “Dialogo del poeta e del messaggero”, 1992, “Canto d’oriente e d’occidente”, 1997, “La complicità del pane”, 1998, “Nuovi canti”, 2001, “Lettera ai disperati sulla primavera”, 2002, “Ferite e rifioriture”, 2006, “Altro bene non c’è che conti: poesia italiana contemporanea per giovani innamorati”, 2009, antologia poetica in collaborazione con Maurizio Cucchi e Roberto Mussapi.
Oh mare! Oh madre.
Come è tutto assurdo , come il furore
della guerra, delle conquiste, tradisce.
Come sono ingannevoli le pianure.
Come sono insensati gli ordini.
Voglio il tuo movimento, mare,
la tua totale anarchia, tornare
alle tue rive,
Molto belle, di ampio respiro e ampia visibilità
Tutte le poesie di Conte sono profondamente ricche, pregne e belle. L’altra sera in un suggestivo parco di Cosenza ne ha recitate alcune bellissime ma soprattutto una che riguarda il richiamare la “gioventù” quando si ha une certa età, mi ha conquistato e rapito. Mi piacerebbe rileggerle.
Gaetano Salvidio