Opere Inedite
a cura di Luigia Sorrentino
—
Moltitudine
.
E’ nel grembo del pomeriggio
quando si ode il rumore
delle ali del tuono,
quando con uno scialle oscuro
si nasconde la testa
il paesaggio
e una garza sospesa
pende dalla sua ferita,
quando il respiro è di terra smossa
allora si è soli
si è moltitudine e nulla.
da Le cose chiare, di Aldo Ferraris
L’ultimo temporale
.
E’ come quando l’estate
ci tocca in mezzo alla fronte
con l’ultimo temporale,
il fresco così atteso
a rabbrividire il cortile
e si resta così
preparati alla verità
con i vestiti della festa
nel fango di un giorno
di cui ignoriamo la santità.
Si resta in attesa
sull’orlo del mondo
le mani dietro la schiena
il viso nel profondo
a irridere la pena.
—
Senza averne colpa
.
E’ l’ala spezzata
di un ombrello il patire,
il suo sbattere nel petto
di pomeriggi senza sole,
come insegna di latta.
Una minuta bufera
a volte ci attraversa,
una sofferenza sabbiosa
come frusciare
di ruote sull’asfalto,
allora ci si concede un nome
un imperfetto paradiso
genuflessi alla pioggia
senza averne colpa
senza averne ragione.
—
La separazione dal cielo
.
E’ l’odore della terra
dopo la pioggia
che fa alzare il capo
e come un contagio,
senza preavviso,
ci contiene il paesaggio
in un’ostrica di grazia
e le stelle così pesanti
sono occhi chiusi
dopo aver patito
tutta la luce della realtà.
Ci tocca con mani infantili
la separazione dal cielo
senza farci male,
come nella morte per acqua,
e nulla possiamo perdere
nulla condividere
della nostra minuscola
assetata immortalità.
—
Per quale fiume
.
E’ dal vicolo più solo
dall’androne più curvo
che qualcuno chiama
ininterrottamente.
Ma per quale volo
per quale oscura tensione
ci giungono voci
così come non sono
così come non dicono
eppure ci vivono accanto
con le uniche parole
che abbiamo ucciso e divorato
ucciso e pianto
per poterle scordare?
Ma per quale fiume o via
per quale chiarezza
ci tormenta la poesia?
—
La crosta delle cose
.
E’ nel mercato dove
tutti i venditori mentono
che ci si perde
acquistando vecchie cartoline
dall’indirizzo sbagliato
dall’augurio illeggibile.
E’ nel percorso obbligato
che si recita la fuga
e nessuno ci tocca la spalla
ci avverte della sera
quando la crosta delle cose
si fa così sottile
così lieta e severa
da volerla salvare
un’ultima volta salvare.
—
Quando non si guarda
.
E’ la paura di indovinare
l’usura nei corpi
che allontana,
di bucare la trama
con una carezza
o una domanda senza senso.
E’ così che si alza la vita
e si congeda,
quando non si guarda
falsamente sicuri
e nessun cassetto
è completamente colmo.
Restano debiti d’affetto
a grattare il davanzale
quasi a voler sapere
senza voler entrare.
—
Ora di cena
.
E’ quasi notte
quando si arriva
avvolti nelle doglie
che il giorno tutte
ci ha chiesto d’indossare,
si arriva spossati
ma la casa ha di nuovo
voglia di noi, la casa
rannicchiata nel tepore,
che non sente ragione:
è ora di cena, ricordi?
è ora di posare i bagagli
ai piedi di un buio esitante,
nessuno li disferà
nessuno ricorderà
quando siamo partiti.
—
Una tazza di latte
.
E’ la geometria della vita
che rassicura, il latte caldo
posato sull’orlo del mattino
come un punto, una tazza
vertice di bisbigli, di sempre
sempre sino al risveglio;
eppure è così larga la resa,
l’imperfetto smarrirsi,
così simile al vento
che getta al collo le braccia,
è così vicina e nuda
da piangere piano
per la sua libertà.
—
Senza nome
.
E’ qualcuno, senza nome,
che respira nelle case e nei porti
nelle stanze dei giorni
come da una canzone
e sulle rive delle notti.
Qualcuno che ci insegue
rasentando i muri
il viso nascosto dal cielo
il passo del ferito,
un assetato di dolore
l’angelo smarrito
che di fronte alla soglia,
quando l’invitiamo a entrare,
volge il capo con pazienza
si fa di polvere e piacere
d’inconsistenza e foglia.
L’angelo di speranza
che non ci vuole scordare.
—
Per dimenticare
.
E’ l’impronta nell’erba,
dove non esiste morte,
a indicare un altro corpo
un’altra forma di salvezza;
sono le tracce in cui
si addormenta la mitezza,
l’odore del sole nel bucato,
il nostro stare
dentro una rincorsa,
le mani sul costato,
in attesa di un bambino
che inciampi
nella nostra ombra
e ci dica: è possibile,
e ci disegni e ci guardi
per dimenticare.
—
Le cose chiare
.
E’ questo perdersi
in barche di luci
arenate nella sera,
questo volgersi ad aspettare
qualcuno che ricordi
un appuntamento mai dato,
questo negarsi
per ricucire lo strappo
tra ciò che sta per finire
e le cose chiare
chine ad ascoltare
come vecchi giocattoli
nella pelle rugosa dei solai;
le cose vicine
che non finiscono mai.
—
La lista
.
E’ scorrendo la lista
delle corse mai terminate
delle lotte credute vinte
ma solo mimate,
seduti sul ciglio dell’infanzia
nella piena di uno sguardo,
che i ricordi accorrono
da tutte le parti
come assetati
soffocandoci di tenerezza,
noi, così fragili,
persi nell’avvenire
con la certezza
di essere già stati,
già scoperti a vivere
e mai perdonati.
—
La moneta del buio
.
E’ verso sera
quando il cielo
si stringe nelle spalle
e rabbrividiscono i tetti,
allora qualcosa si piega
e raccoglie la moneta
del buio e la mostra
e ci spiega
cosa dobbiamo guardare,
perché chi vede,
chi ha saputo aspettare,
in un solo momento
già più non crede
non ha compimento
né occhi da scordare.
—
Cani randagi
.
E’ dal fondo delle notti,
come cani randagi,
che arrivano i sogni a bere
dalle nostre mani,
arrivano a stento
con un groppo in gola
inciampando nel bordo
di ciò che abbiamo toccato,
ci si cerca allora
quasi senza volere,
i polsi rivolti al cielo,
nostre sole reliquie
di una morte sola.
—
Per mano
.
E’ nell’autunno delle città,
quando si apre il mattino
quando si spezza nel centro
come una pesca,
che una incompleta felicità
ci macera dentro.
Ospiti tardivi
sempre in cammino
scopriamo di esistere
per averlo pensato una volta,
per aver creduto di essere vivi
tra una fila di bambini
che si danno la mano.
—
Aldo Ferraris, è nato il 24 maggio 1951 a Novara, dove risiede. Ha pubblicato le raccolte di poesia:
Miles (Regione Letteraria, Bologna -1972); La cattedrale sommersa (Rebellato, Quarto d’Altino -1978); Polimorfismi (Seledizioni, Bologna -1982); Ventidue mutamenti dell’I KING (TAM TAM, Mulino di Bazzano -1987); Guardiano di stagioni (Tracce, Pescara -1989); Mantiche (Anterem, Verona -1990); Codici (Anterem, Verona -1993); Horus, parola improvvisa (nell’antologia: 7 poeti del Premio Montale -Scheiwiller, Milano -1993) – quale uno dei vincitori del Premio Montale nella sezione inediti; Grande corpo (Anterem, Verona -1997); L’orgoglio dell’assenza (All’antico mercato saraceno, Carbonera -1999); Antichissima figlia (La luna, Cupra Marittima -2000 – con una incisione di Antonio Battistini); Acini di pioggia (Gazebo, Firenze -2002); Nulla sarà perduto (Archivi del ‘900, Milano -2004 – Premio Antonia Pozzi); Danza di nascite (Azimut, Roma -2006); Immensa creatura (Lietocolle, Falloppio -2008); L’ospite sulla soglia (Raffaelli, Rimini -2009); Chi non ha avuto perdono (Kairòs, Napoli -2011).
Ha curato e tradotto il poeta palestinese Kamal Jarbawi (Luce d’epifania, Giuliano Ladolfi editore, 2011).
Il libro di filastrocche per bambini:
Che dono vuoi bambino del mondo? (Fondazione Marazza, Borgomanero -2005 – Premio: La casa della fantasia).
Poesia cadenzata da un ritmo profondo che interiormente commuove.
I miei saluti e i complimenti al poeta Aldo Ferraris.
Grazie Luigia per avermi ospitato nel tuo bel blog.
Dovere, Aldo…
e poi per questo:
“E’ scorrendo la lista
delle corse mai terminate
delle lotte credute vinte
ma solo mimate,
seduti sul ciglio dell’infanzia
nella piena di uno sguardo,
che i ricordi accorrono
da tutte le parti
come assetati
soffocandoci di tenerezza,
noi, così fragili,
persi nell’avvenire
con la certezza
di essere già stati,
già scoperti a vivere
e mai perdonati.”
Credo che il Poeta debba sempre ricercare il suo stile, personalizzarlo, studiarlo e amarlo prima di proporlo al lettore. Ma sono anche fermamente convinta che nessun artigiano, anche se bravissimo, può diventare Poeta! E il lettore questo lo capisce bene!
Grazie Aldo per questo incanto di poesia, qui!
Rita Pacilio
Sono contenta di leggere su questo blog le poesie inedite di Aldo Ferraris, poeta e amico di cui conosco l’impegno verso la lingua poetica come ricerca di senso etico e di speranza. Un caro saluto ad Aldo e a Luigia.
“scopriamo di esistere
per averlo pensato una volta,
per aver creduto di essere vivi”
Mi bastano anche soltanto questi versi per meditare sulla poesia di Aldo Ferraris e sulle risonanze delicate, ma penetranti, che essa emana. Accenni di malinconia crepuscolare, ma lo sguardo vede oltre, non si ferma alla sensazione, abbraccia il mistero anche col pensiero, rileggendo i ricordi con una certezza ritrovata, la stessa che fa cominciare tutte le poesie con “E'”.
Grazie.
Ringrazio tutti per l’attenzione alla mia poesia e per i commenti.
Avere un dialogo con i lettori è sempre gratificante e utile anche per la scrittura.