Nello scaffale, “Da mani mortali” di Biancamaria Frabotta
a cura di Luigia Sorrentino
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Sarà in libreria a febbraio 2012 la nuova raccolta di versi di Biancamaria Frabotta, Da mani mortali che uscirà con Mondadori nella collana Lo Specchio.
Biancamaria Frabotta, (nella foto di Carla Morselli), una delle più affermate poetesse italiane, autrice di un romanzo e di testi teatrali, ha al suo attivo una vasta produzione poetica e saggistica. Tra i saggi va ricordato, in particolare, “Quartetto per masse e voce sola“, pubblicato da Donzelli Editore nel 2009.
Nella quarta di copertina del libro Da mani mortali si legge: “Con il passare del tempo e dei libri, la poesia di Biancamaria Frabotta tende a farsi sempre più umanamente saggia e pacata, sempre più amica e aperta. Lo si vede nella solida compostezza della pronuncia, nella capacità matura di saper conciliare il proprio sentimento dell’esistere con lo sguardo critico della ragione. Da mani mortali è un’opera in cui la poesia si confronta sensibilmente con la realtà naturale anche minima del mondo immediatamente circostante, con il pulsare e il crescere delle molteplici vite della campagna, di un semplice orto o di un giardino, sotto il ‘grande disordine del cielo’.Un’opera che si confronta, passo su passo, con la misteriosa intelligenza della natura e dei suoi vari abitatori: vegetazione e animali di una vita che si manifesta nell’infinito articolarsi infinitesimale dei suoi ritmi e delle sue complesse variazioni stagionali, dei suoi aromi e della sua musica discreta. Mentre intorno si allarga l’ombra di un’ambigua apparenza indecifrabile che accoglie nelle sue mutazioni le tracce non sempre benefiche dell’opera umana, talvolta irretendola nel sogno di un dio stupito dalla ‘felice combinazione’ del creato, quasi un adolescente solitario e immalinconito dalla diffidenza delle sue creature mortali. E un po’ come il pullulare della vita in natura è l’esistenza dei poeti, ai quali Biancamaria Frabotta dedica la sua affettuosa e antiretorica attenzione: “Sono come le pulci, i poeti / acquattati nel pelo del mondo”. Un’attenzione che non ha nulla di narcisistico, ma che vede nelle figure e nell’opera dei poeti stessi e della poesia qualcosa che ricorda quella luce tra i rami, o quel bagliore lunare, che a volte registra nella paziente osservazione delle cose che sa compiere e trasformare nella persuasiva, classica probità felpata della sua meditazione lirica. I poeti di oggi, ma anche i poeti di ieri, i grandi che riappaiono come l’amato Giorgio Caproni. E tutti, con i loro ‘passi senza importanza’, nella segreta zoppìa che Agostino diagnosticava in Petrarca, suo indocile allievo. Ma lo sguardo di Biancamaria Frabotta riesce insieme, ancora, a concentrarsi sugli equivoci e sulla violenza della nostra storia contemporanea, a manifestare la propria morale indignazione, secondo una linea di poesia civile che è un altro dei caratteri forti della sua poesia, che per la sua pienezza e forza comunicativa trova in questo nuovo libro la sua realizzazione al più alto livello.”
(Dalla quarta di copertina del libro)
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Poesie Inedite
Correndo a grandi passi
mai si voltava indietro
la ragazza di cui parlo.
Soffiata via
lungo campi, prati, siepi
e dietro, una cagnetta
con una frezza bianca
che faceva pensare a una storta luna
sorta sulle colline dove vanno sole
Stefi e Luna, in negligenza serena
bighellonando ovunque
oltre le vie dell’ora.
Finché, dalla strada
d’asfalto, spuntò lui
dondolando la testa
nel gesto risoluto e solito
degli amori non immaginari.
Luna diventò madre in un prato
incolto, dal nome poco noto.
Stefi, sola, posa da sposa
in nostra compagnia.
15 maggio 2000
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Sii lieto se anche quest’anno
per festeggiare il vento muto
della tua venuta
torna il chiurlo d’agosto
nel dormiveglia dei grilli
sotto un telo fresco di steli.
In resa del suo richiamo
l’istante che lo zittirà
nel mezzo di una notte
odorosa di pesche non colte
attende in lungo delirio il testardo pretendente.
Nessuna creatura ha memoria della sua nascita.
Ma qui è la culla della vita vissuta.
Franca e Carlo, a voi, amanti
dagli amati completamente assorbiti
di una poesia promessa resto in debito
debitrice di una promessa mantenuta.
E nel buio è bello tacere
14 agosto 2007
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a Luca e Francesco
Fedeli ai respiri affannosi
alle tempie accaldate
nel bosco degli attimi
cui sfugge, trasportato
dal vento, un seme
del tempo caduco
tutto il giorno corsero
avvinti ai piccoli polsi
nella calma del quarzo
segnalandone il corso
con sbadato pudore
fino a quando esiliati
dalla stanza dei sogni
allontanati dal castello
dei lettini diseguali
e gemelli, nell’ora
straripa, all’improvviso
o quasi, fra sibili, strambi
echi, ronzii e allarmi
a noi incomprensibili
dagli schiusi cassetti
l’allerta di due orologetti.
24 dicembre 2007
—
L’estate delle stelle meno appariscenti
incoraggiava abitanti e forestieri
a sperare nel ritorno degli antichi climi.
Sull’erba gialla instabili fra gli scarsi
umori restavano a metà gli aperitivi
altra meta cercando le notti senza sonno.
Improvvisati astrofili perlustravano il cielo
e i suoi mutamenti nei piccoli telescopi
puntati verso i monumenti stellari.
Felpando i passi nel buio residuo
fiutando la comparsa delle meno
luminose al di là del cono d’ombra
dove le virtù stazionano imperfette
l’umanità di quegli strani tempi
usciva a caccia di nuovi lumi
e nella lente che restituiva
capovolti quei corpi dissepolti
perdeva la cercata chiarezza.
—
Aveva appena chiuso gli occhi sul libro
– ne sentiva ancora il peso sul petto –
nella lieve brezza del dormiveglia
rabbrividivano le foglioline del mirto
allo sciame che saliva dalla terra
ma lui non vi faceva caso. Troppo
il pensiero della prova imminente
lo assillava e altro non temeva
la sua giovane età, cui ogni cosa è amica.
Sognava la patria artificiale dell’infanzia.
Sognava, con una pietra sul petto
l’ultima parola che vi aveva letto.
—
Con quale gentilezza si affaccia tra le travi
la mano bianca di polvere. Uno qualunque
mi conforti. Con il braccio, con l’acqua
con la luce, nella sua camera, ovunque
cercando, frugando, spostando le pietre.
Mi vedrete infine nel ventre della terra.
Stando attenti, Haiti è sotto Haiti
piano, per non bruciare ossigeno.
Dalla luce del video, dal suo tedio
ci sfiliamo verso l’operoso mattino
nello scandalo dell’aria superflua.
—
Un inferno nucleare scuote la stella
che scalda il nostro pagliericcio.
Metà del combustibile è andato.
Che ne è della Madonna di Piero
ormai prossima al parto, del dio
nascosto nel suo ventre, alla sinistra
di chi guarda, oltre le tende sollevate
con industriosa indifferenza, che ne
è dei due angeli inservienti.
Appaiono tutti così giovani.
Custodi di un’attesa ormai
sapientemente inattendibile
ciascuno testimone di sé stesso.
.
(da Da mani mortali, di Biancamaria Frabotta (di prossima pubblicazione con Mondadori)
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Biancamaria Frabotta è nata a Roma, dove vive. Insegna Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università di Roma “La Sapienza”.
Opere di poesia:
“Affeminata”, Rivalba-Torino, Geiger editore, 1976 (nota critica di Antonio Porta; “Il rumore bianco”, Milano, Feltrinelli, 1982; “Appunti di volo e altre poesie”, Roma, La Cometa,1985; “Controcanto al chiuso”, Roma, Rossi & Spera Editori, 1991; “La viandanza”, Milano, Mondadori, 1995; “Terra contigua”, Roma, Empirìa,1999; “La pianta del pane”, Milano, Mondadori, 2003; “Gli eterni lavori”, Genova, San Marco dei Giustiniani, 2005; “I nuovi climi”, Brunello, Stampa, 2007.
Cara Biancamaria, mi permetta il tono confidenziale. Ho un grande ricordo di lei quando nel 1998 ebbi il piacere di conoscerla in occasione della finale del Premio Camaiore all’Hotel Ariston di lido, di cui lei era tra i finalisti- vincitori. La cosa incredibile che più mi ha particolarmente colpito stamane é quella che proprio ieri parlavamo di lei e della Calandrone (un poeta quest’ultima emergente e di grande talento) con Belluomini, e si conveniva di quanto lei sia una presenza forte, necessaria e significativa nel panorama poetico contemporaneo. Sperando di leggerla presto, nell’occasione voglia gradire i migliori auguri per il suo prezioso lavoro e per le prossime festività natalizie unitamente a un 2012 ricco di soddisfazioni e di prosperità. Con stima Rosanna Lupi segr. Premio Camaiore
Alla poesia di Biancamaria Frabotta ho dedicato qualche anno di lavoro e una monografia, alla persona Biancamaria Frabotta qualche incontro, qualcuno in più o qualcuno in meno. L’occasione risulta ancora propizia per parlare di lei, partendo da un gesto minimo e concreto, dall’incontro di mani umanissime che ci salutano e ci invitano ad aprire le pagine di un libro. I versi qui anticipati parlano di una confidenzialità sapiente, di un tono che della meditazione si fa vanto per la sua estrema prossimità al presente delle opere e – saremmo tentati di dire – dei giorni. Delle opere e dei giorni in una cosmogonia minore, con l’unica crezione dello spazio che è visibile a tutti: il solo mondo ulteriore possibile è quello della scrittura, il resto di per sé non dà vanto se non nella propria concretezza e lucidità. A qusto movimento senza sbalzi e in levare la poesia di Frabotta ci ha abituato già a partire da “La pianta del pane” (Mondadori 2003), e ora, attraverso i passaggi fondamentali de “Gli eterni lavori” e de “I nuovi climi”, questo poeta ci riporta in una dimensione assolutamente nostra, di respiro profondo, quasi privo di apnee.
Leggendo poi il titolo, con puntiglio forse maniacale, qualcosa suona già nell’orecchio, è noto, e trova una forma sempre uguale: “da mani mortali”, come fede che sconfina nella percezione minuta di senso e ragione, senza abbandoni, ma con qualche critica certezza.
Leggiamo Foscolo, in una missiva da lui indirizzata al conte Giambattista Giovio – e datata Milano, 31 gennaio 1809:
“E benchè io non osi sperar tanto da Dio, bench’io non lo preghi per me, bench’io non lo veda mai né nel firmamento, né sugli altari eretti dalle mani mortali, anch’io nondimeno lo ringrazio che m’abbia tanto fortificato sino dal nascere, da valermi senza tremare della ragione ch’egli m’ha compartito; anch’io lo benedico, perchè il suo pane cresce per l’indigente, e il suo flagello percuote anche i principi della terra.”
Un’idea di canto che si fa a misura della natura e di ciò che ne rappresenta il principio autentico, che scansa qualunque riserva e non pratica alcuna concessione.
Questo per ora, il resto ce lo consegnerà la lettura.
Intanto un augurio a ciò che resiste anche grazie alla poesia.
Marco Corsi – Università di Firenze
Alla poesia di Biancamaria Frabotta ho dedicato qualche anno di lavoro e una monografia, alla persona Biancamaria Frabotta qualche incontro, qualcuno in più o qualcuno in meno. L’occasione risulta ancora propizia per parlare di lei, partendo da un gesto minimo e concreto, dall’incontro di mani umanissime che ci salutano e ci invitano ad aprire le pagine di un libro. I versi qui anticipati parlano di una confidenzialità sapiente, di un tono che della meditazione si fa vanto per la sua estrema prossimità al presente delle opere e – saremmo tentati di dire – dei giorni. Delle opere e dei giorni in una cosmogonia minore, con l’unica crezione dello spazio che è visibile a tutti: il solo mondo ulteriore possibile è quello della scrittura, il resto di per sé non dà vanto se non nella propria concretezza e lucidità. A qusto movimento senza sbalzi e in levare la poesia di Frabotta ci ha abituato già a partire da “La pianta del pane” (Mondadori 2003), e ora, attraverso i passaggi fondamentali de “Gli eterni lavori” e de “I nuovi climi”, questo poeta ci riporta in una dimensione assolutamente nostra, di respiro profondo, quasi privo di apnee.
Leggendo poi il titolo, con puntiglio forse maniacale, qualcosa suona già nell’orecchio, è noto, e trova una forma sempre uguale: “da mani mortali”, come fede che sconfina nella percezione minuta di senso e ragione, senza abbandoni, ma con qualche critica certezza.
Leggiamo Foscolo, in una missiva da lui indirizzata al conte Giambattista Giovio – e datata Milano, 31 gennaio 1809:
“E benchè io non osi sperar tanto da Dio, bench’io non lo preghi per me, bench’io non lo veda mai né nel firmamento, né sugli altari eretti dalle mani mortali, anch’io nondimeno lo ringrazio che m’abbia tanto fortificato sino dal nascere, da valermi senza tremare della ragione ch’egli m’ha compartito; anch’io lo benedico, perchè il suo pane cresce per l’indigente, e il suo flagello percuote anche i principi della terra.”
Un’idea di canto che si fa a misura della natura e di ciò che ne rappresenta il principio autentico, che scansa qualunque riserva e non pratica alcuna concessione.
Questo per ora, il resto ce lo consegnerà la lettura.
Intanto un augurio a ciò che resiste anche grazie alla poesia.
Marco Corsi – Università di Firenze
Sono grata ai due lettori che hanno voluto rivolgermi parole di apprezzamento e di intelligenza critica.A Rosanna Lupi, anch’io confidenzialmente,vorrei dire che trovare il mio nome accanto a quello di Maria Grazia Calandrone che ho conosciuto nel lontano 1990, quando in lei la poesia si manifestava già come una passione acerba, ma profonda, mi ha fatto molto piacere.Così come ho trovato preziosissima la fonte segreta (anche a me,naturalmente) del titolo della mia prossima raccolta.Anche Marco Corsi era poco più che un ragazzo (ma lo è ancora,sebbene ormai dotto e criticamente attrezzatissimo)quando è entrato nello studio della mia casa romana.Ora è lui che ha qualcosa da insegnarmi. I maestri di poesia non esistono,anche se a volte i più giovani ne portano dentro un segno vitale.Il suo suggerimento foscoliano “come fede che sconfina nella percezione minuta di senso e ragione, senza abbandoni, ma con qualche critica certezza” mi sarà prezioso.In poesia vale tutto ciò che è vivo.Biancamaria Frabotta
Cara Biancamaria,che musica incredibile nelle poesie tratte “Da mani mortali”! Riesco a ricordare soprattutto quella finissima musica che pervade, come fosse vibratile, quei versi, pieni di una grazia antica, che sembra trascorrere nei secoli della nostra letteratura e della nostra lingua e arrivare a noi rigenerata. E misteriosa, come misteriosa sembra la trama
dell’esistenza (tessuta “da mani mortali”?). E’ una eleganza naturale,lieve e forte al tempo stesso, la tua: da sempre, ma oggi direi mirabile.
Bellissimi gli incipit, così ricchi delle nostra tradizione. E poi come non sottolineare l’ormai identitaria cifra, così tua, delle allitterazioni,dei rimandi e dei contrappunti
Leggerò il libro con ancora più interesse.
Baldo Meo
Ti ho conosciuta, come si conosce chi guarda e ascolta, quest’anno a Roma, al premio che hai ricevuto a La bella poesia. Ho pensato che avevi molto chiaro in viso, che la tua minutezza era segnale di cose grandi portate fuori da te e di delicatezza nell’attraversare il mondo, non vista, ma ascoltata. Meritevole, tanto.