Opere Inedite: Roberto Roversi
a cura di Luigia Sorrentino
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L’anno 2011 di Opere Inedite si chiude con le poesie di un poeta assoluto, Roberto Roversi che fin dagli anni Sessanta ha scelto di andare controcorrente e di non pubblicare più con grandi case editrici, ma di autoprodursi e autodistribuirsi.
“Appartengo alla schiera, non folta, convinta non solo che si possa ma che si debba morire per la così detta ‘patria’, itala tellus, Vaterland.
Naturalmente, a Maratona, alle Termopili, a Salamina, a Curtatone e Montanara, sul Piave.
Obiettano: “Anche adesso che i confini sono scomparsi o fluttuanti come le onde del mare?”.
Rispondo: “La pace universale è l’utopia sovrana e solenne dei vecchi sapienti, e solitari, assisi davanti alle grotte delle alte montagne.
Dunque questo testo è un canzoniere d’amore incattivito da una rabbia rabbiosa per un tradimento che è in atto ma che deve passare.”
Roberto Roversi
Da: Trenta miserie d’Italia
I.
Italia numero uno è l’antico sapiente:
“questo paese ha un’aria temperata
fertili campi piacevoli colli sane pasture
boschi ombrosi molte maniere di selve
colline ambrate biade viti ulivi
pingui armenti e lane
laghi fiumi fonti porti mari
è un grembo aperto al commercio del mondo
terra nutrice e madre di tutte le terre
per radunare gli imperi
per addolcire i costumi”.
Oggi Italia è al fioco bagliore di disperse candele
piagnucolosa statua di marmo scapitozzato
anche il tempo ha spazzato
la folle opulenza delle sue notti romane.
Bel paese col fascino
dell’orso fra le pere
o appisolato vicino all’alveare
di api laboriose beate intente e non prigioniere.
La desolata Italia
ecco le braccia stende
venite, liberatela,
da voi soccorso attende.
Da che parte guardi?
Perché mi guardi? Bada! Non
fingere, lo sai!
Io guardo te.
Allora il tuo sguardo è buono e
“niente, niente, mio caro
ti raccomando solo che mi tratti
da buon amico”.
Italia numero due bevi e cammina
e non te curà se lampa e tona.
Dice il bambino: bum bum bum è la guerra?
Italia numero uno o numero trenta è la guerra?
Sul prato ride e corre
corre e alza un aquilone al cielo.
Bim bum bam la casa cade brucia l’aquilone
la guerra arriva fra le mani del bambino
Italia numero uno ciau bambino per sempre
anche l’aquilone è caduto.
L’ardente fiamma di passione delle bombe.
Le bombe compiono il loro disperato dovere
hanno per sorte
di esplodere lucidi frammenti che avvampano e volano
a massacrare il tempo lieve della vita
per triturare le ore fino all’estremo destino
e fare di un minuto un secolo.
Che cielo c’è stasera!
Mormora: sai con chi ero prima
di salire le rampe della valle
in un epico tempo di morte
e vita? e per me
di napoleonico coraggio?
Dice: ero la grande armata
con altri uomini andavo
all’assalto di castelli su picchi inaccessibili
nella stagione di giovane guerra e speranza.
Italia numero trenta o Italia numero uno
dalle onde del tempo in brividi di primavera
vulcani che rombano
assisi su isole con lunghi capelli d’oro.
Una ragazza in quel tempo non nata
oggi potrebbe figliare.
La canapa non alita più le sue foglie di menta
nella pianura solcata da carri di guerra.
Esterno con figure.
Ombre di fiamma.
Il canto dei fiumi pellegrini.
Piove da giorni anche oggi il cielo
è basso sulla terra
come il ventre di una cagna
che si distende per allattare.
Italia numero uno numero trenta labbra di miele
capelli serpenti nel prato s’alzano tende
là in fondo pioppi paurosi stridono
al vento della notte
dentro alle tende risiedono senza futuro
soldati prima della battaglia.
Folgoranti naufragi.
Tuona la montagna e travolge.
Rose foglie di neve.
Descrive inebriato
anche lui come tanti per una volta sola
o per sempre partecipe o alienato
le ragazze che nell’autunno perdurano esaltate
e l’improvvisa luce dei
fuochi notturni in una età che impazza
e solo l’amore emblema nudo
rende maturo bianco
sasso crudo.
Gli affanni gettati alla corrente
la vita si quieta ardita e sola.
La gente è malvagia
senza pietà spesso severa.
Buona giusta calma talvolta è spietata.
Italia numero uno Italia numero trenta porto di mare
destinata all’arpione
emergi dall’acqua irascibile e dotta.
L’archivio Datini disperso sui carri è cremato
ti inchini ogni giorno più volte
a Leopardi e ai suoi gelati alla crema.
Dicono sia giusto incidere sopra le pietre
parole di commiato o di
buon ritorno
anche se nulla è stato detto ma
tutto ripetuto.
Enea cammina in short per strade e sentieri
lascia il padre Anchise a lamentarsi sotto un ontano
entra nelle agenzie
cerca terreni in vendita se il prezzo conviene
per alzare città dai vasti destini e ora
ruine frastuoni di gatti pietre tamburi campane.
La terra si svena Italia numero uno o Italia
numero trenta Italia numero mille
alle finestre disponi le impolverate bandiere
canti per strada lingue sepolcrali o disperse
e accade che (canti prepotenti e volgari) nelle
sale vecchie e stanche delle tue biblioteche
caldo rifugio per i topi annoiati
uno studioso d’antichissimo pelo appoggiato al bastone
striscia sul marmo un’ombra lunga e impaziente.
Dagli scaffali i libri gridano inermi
“prendi me! prendi me!”
e il traghettatore in questa piazza appartata
allungando la mano dice “prendo te che risplendi
nella corazza d’oro della tua pergamena
per delibarti come il liquore dei monaci arditi
e perché sei attrezzato per vincere tutte le battaglie del tempo”.
“Mi ha preso al volo e da quest’ora
non sarò più solo
da cinque secoli giacevo impolverato
nel mio silenzio di pecora macellata
e appesa a un ramo”.
Italia numero uno Italia numero trenta io c’ero.
Su montagne ferite dalla violenza del mondo
su piazze inzeppate di pietre
urlanti vendetta e canzoni
io c’ero. Su strade spaccate da un vento feroce
come un foglio bianco appeso a un tronco
l’amico ha lasciato la vita.
Italia numero uno o trenta stabiliamo i dettagli.
Sulla terra arriviamo facciamo le cose poi
il destino ci avventa lontano così l’uomo si copre
di sabbia diventa tratturo polvere bosco mistero notturno.
Solo un pugno fra loro
per un momento si fa
marmo che splende.
Passato contro passato il presente balza contro il futuro.
Dal fiume pesci enormi guizzano a mordere l’uva e le mele.
Sbattono contro le rive i corpi dei soldati.
La corona dello spavento si disegna fra nubi e tramonti.
Una giovane donna arde sopra uno scoglio.
Italia numero uno numero trenta numero mille
il futuro si accascia fra solitarie paure
davanti alla tua porta.
Le tue pietre spegneranno il sole?
Mi sovvengono Owen e Barni il loro concitato destino
allungo la mano
sono vestiti di ghiaccio
e i silenzi spaccano cieli e trame.
Le generazioni si inseguono
non lasciano la presa.
Dalle barche rotolando sui mari in tempesta
scendono i nuovi crociati
spade o corazze,
non lasciano tracce non sottoscrivono orme
cancellano i fiati nell’aria
aspettando la notte
……………………………
aspettano la luce del giorno.
Del giorno.
Non hanno lance. Non scudo.
Non lasciano orme.
Io c’ero.
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di Roberto Roversi
ultimo capitolo del lungo poema (inedito) “L’Italia sepolta sotto la neve”.
Roberto Roversi, gennaio 1923, è laureato in filosofia e per quasi settant’anni è stato impegnato in una libreria antiquaria.
Nel 1955 ha fondato con Francesco Leonetti e Pier Paolo Pasolini la rivista Officina. Nel 1961 ha dato alla luce una nuova rivista, Rendiconti. Di entrambe è stato anche editore. Dopo aver smesso di pubblicare con grandi editori, si è limitato esclusivamente a fogli fotocopiati distribuiti liberamente e a collaborazioni con piccole riviste autogestite.
Ha pubblicato versi e testi in prosa con gli editori: Salvatore Sciascia, Feltrinelli, Mondadori, Einaudi, Rizzoli, Editori Riuniti, Il Girasole di Catania, Pendragon, Pironti, Sossella, Bohumil.
Ultimi due volumi pubblicati: La Dura Epica Vicenda. Teramo, 2011, La devastazione di Montecalvo (1944). Oèdipus, Salerno-Milano, 2011