Angelo Tonelli
a cura di Luigia Sorrentino
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P come parola, potenza, profezia, peripezia, pólis, passione;
O come origine, occhio, ombra, oltre;
E come estasi, energia;
S come sacro, silenzio, suono, sciamano, sophía, sintesi, sentire, specchio;
I come invisibile, immaginazione, intensità, iniziazione, incubo;
A come anima, Assoluto, anamorfosi, azione.
Niente a che fare, dunque, con la poesia come letteratura, o tripudio pseudoavanguardistico del significante, o esercizio di ricalco estetizzante dell’esistente, malinconica e intimistica consolatio vitae, imbalsamazione lirica dei bei tempi perduti, richiesta seduttiva di gratificazione alla cerchia dei critici e dei lettori.
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Poesia è parola radicata nell’Origine, che dell’Origine-Phýsis serba il páthos dionisiaco, la potenza; ma insieme è anche il distacco apollineo da essa, che rimanda al mistero, all’invisibile: phýsis krýptestai philéi (“l’origine ama nascondersi”) folgorava Eraclito; e poesia è anche katábasis, discesa sciamanica agli Inferi, al regno delle ombre, viaggio attraverso i sentieri desolati della morte e degli incubi notturni, per restituirli illuminati dalla luce di una coscienza fluida come specchio d’acqua.
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Poesia è energia fissata in parola scritta o pronunciata, che rinvia alla vissutezza da cui è sorta: se alla sua radice non c’è un forte sentire la poesia non è poesia, ma burocrazia esistenziale, nomenclatura letteraria, scoria: e dunque la parola poetica, scritta o pronunciata è, per parafrasare un’espressione felice che Hadot applica alla filosofia antica, un esercizio spirituale che consente di evocare nel lettore e nell’autore lo stato dell’anima e della mente da cui è scaturita. E non c’è poesia senza estasi, sacro, suono-musica e silenzio, senza rimando a qualcosa d’altro che della poesia come oggetto scritto o pronunciato costituisce l’arto fantasma, o l’aura.
Ma la poesia, dal greco póiesis, che è nomen actionis da poiéin, “fare”, è anche azione, nel senso che pensare poeticamente significa trasformare il mondo, in una anamorfosi che lo popola di dei, di magia, di Assoluto. E degli dei, della magia, dell’assoluto, qualora non vengano esplicitamente evocati dalla lettera del testo, si fa testimone il ritmo, la musica che è sottesa a ogni poesia, e che in origine le si accompagnava sempre: e nel dire musica penso allo Schopenhauer di Die Welt als Wille und Vorstellung.
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La poesia agisce sulla pólis, sulla civiltà, nel senso che essa mira a uccidere la Storia-come-bestemmia (rinvio, per un approfondimento di questa idea, al mio pamphlet Apokàlypsis. Pensieri intorno all’Apocalissi in atto nel pianeta Terra, e altro, ed. Abrasax-Lux, marzo 2002) e vuole rigenerare il mondo degli umani attraverso la sollecitazione di una rivoluzione spirituale. Niente a che vedere, dunque, con la poesia o l’arte impegnata degli anni ’70, e tanto meno con le varie forme di engagement letterario a fianco di questo o quello schieramento ideologico: l’azione della poesia-sophìa è mistagogica e iniziatica, si schiera contro tutte le ideologie, contro l’intera classe dominante del pianeta, giudicandola cieca e corrotta, e vuole costringerla a una pratica spirituale che le consenta di liberarsi dai demoni che la possiedono (ignoranza, avidità, violenza, sotto l’egida del più povero tra gli dei, il diodenaro, e del più debole, il diopotere).
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Alla luce di questa concezione della poesia come azione pacifica e promotrice di una rivoluzione delle coscienze si può intendere il mio progressivo inclinare in direzione della performance poetica e teatrale, della poesia come evento iniziatico collettivo, che mira a produrre uno schok, una revulsione dei livelli ordinari di coscienza nello spettatore. Può valere come esempio qualche stralcio dal poemetto Alphaomega, da me scritto nell’estate e fatto girare nelle edizioni lampo Abraxas-Keraunós nel dicembre 2000 (e poi inserito nell’antologia Gli Argonauti, eretici per la poesia del XXI secolo, a cura di Gabriella Galzio con prefazione di Giuseppe Conte, ed. Archivi del ‘900), che contiene vistosi e tragicamente verificati riferimenti profetici (fu scritto assai prima) all’attentato alle Twin Towers, l’11 settembre 2001.
Angelo Tonelli
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CANTI DEL FIUME PIU’ VASTO
POESIE 2008-2012
scintillano dal mare sempre calmo
riverberi di mille e mille vite
lanciate contro il cielo nell’agosto
del fuoco culminante, fino al cuore
dell’inverno che pietrifica il sentire
e scava longitudini di tempi
ascosi, rinascenti,
quando saetta la folgore citrina
dell’attimo. Rifulge
per un istante il palpito più intenso
di tutta la catena di esistenze
accese, arse, infine spente
allo schiocco di dita degli dei
di quarzo e di corallo, i rimiranti
le trame variopinte della phýsis,
la morsa di metallo dell’anánke
***
in limine
parola che rasenti l’Assoluto
impalpabile riverbero, eleusina
sentinella del dicibile, del detto,
eco, pars pro toto, liminale
deità, Caronte o Hermes che presidi
la soglia che separa il vuoto mistico
dalla forma e rendi umano
ciò che umano non è, e dall’umano
ancora riconduci all’inumano,
rivolgiti a sondare il mio dolore
-estasi nel centro della vita,
aspergi di sapienza i gesti scabri
della spoliazione e della morte
di chi ci diede vita, dio minore,
e adesso sta per compiere il trapasso
nel mondo non visibile, oscura
nascita che squarcia e che rigenera
***
e si occulta nella tenebra anche il falco
sguardo diritto, tragitto silenzioso,
contro l’ultimo sole. Potente
è vita, potente sarà morte
come fiume che scorre in piena luce e poi si ingorga
in vertigini notturne, botri, abissi
graditi a Kronos, agli dei
della materia disfatta, che è riverbero
della luce primigenia. Perfino la latrina
del corpo marcescente è vasta musica
di oboe barbarici, accordati
al deforme, all’inumano.
Ogni corpo vivente, infulgidito
dalla linfa del sangue che trascorre
ha meta nel vento che ne scortica
l’involucro di carne, libera le ossa
per lo sguardo calcinante della luna.
***
Si creano intensità, e si disfanno,
che ne ridiamo forte di sera, in lungofiume,
quando gli uccelli piegano le ali
sotto le nubi basse, e le foglie
vibrano al vento tiepido dell’est.
Sprofonda nella quiete della notte, l’indomabile,
il giorno e a miriadi
ci siamo amati odiati complicati,
in trame d’infinito e tempo breve
o eterno a seconda che l’anima
si accorci o si dilati nell’aión. Ci siamo
comunque inebriati della vita, la possente – caracolla
a pelo d’acqua la carogna
disfatta dell’animale, l’innocente
straziato – e adesso contempliamo
la quiete della sera, tutti umani
e raccolti, bozzoli
di cosmo. Fila via,
silenzioso, l’airone, nella sera.
***
il fiume è generoso, il dio del fiume, che distilla
una quiete da aurora primordiale
quando il sole trionfa, nell’estate
serena delle ali dispiegate
in piena libertà tra acqua e cielo,
azzurri, conciliati in perfezione
di anima e di spirito, musica
vivente di minuscole e maiuscole
creature delle altezze e degli abissi.
Il fiume è generoso, il dio del fiume,
con il poeta che soggiorna ore e giorni
a contemplarne il flusso senza fine
che trabocca, all’orizzonte, in altre acque.
Guizzano uccelli blu cobalto in controsole.
Già si placano
le grida dei gabbiani, si avvicina
dalle gole dei monti la notturna
madre dei viventi, golfo sacro
per il palpito lontano delle stelle.
***
restiamo accovacciati nella vita
che la Morte ci insegue con la falce,
la Mietitrice, da sempre
sulle nostre tracce, anche nel culmine
della forza giovane, dell’amore,
che già spiava da dietro la porta socchiusa
al primo ingresso del seme nel solco
genitale della mater, al primo
vagito del nascente, sempre presente
al fianco del vivente, da sempre:
conviene abbandonarsi al suo fendente
rapido o infinitamente
lento, come l’argine
cede al fiume in piena, la foglia
d’oro dell’autunno al vento
forte di tramontana che si slancia
dalle gole spigolose delle Apuane
verso la valle tenera della Magra, fiume
benevolo, quasi Eden
dell’anima. Poesia
è sapienza martoriata, sguardo fermo
o tremante sull’abisso della vita
che sempre cova in sé la dipartita
per dischiudere le soglie dell’altrove:
restiamo accovacciati nell’attesa
e cogliamo i fiori della sera
e del giorno, come bimbi
che la madre li sveglia, e ancora un poco
si attardano nel caldo del lettino
consacrato dal sonno, ancora un poco…
***
distillano parole di sapienza
gli dei dell’autunno, da oltre le foglie
rosse, oro che separano lo sguardo dalle acque
torbide dentro, lucenti in superficie
del fiume, nel crepuscolo incipiente.
Gli argini sussurrano di amori
un tempo rifulgenti, voli
di falene incontro a luci
non divine come quelle che brillavano negli occhi
accesi della Ninfa mattutina. L’anima
vuole guizzi notturni e gesti rarefatti, al ralenty
per vie poco battute dagli umani. La città
diviene Ade trasparente
e dolce, ma esiziale
come ogni Ade, quando il tempo
si chiude su se stesso, e spezza il volo
dei gabbiani in controcielo. Miete fogli
e anima, novembre, se Lucina
si apparta oltre il sole, e la collina
diventa un monte nero, nella sera.
***
Poema …….
I
mare che ti inabissi e ti inargenti
signore di riverberi e di anemoni
nascosti nel profondo, cuori mobili
di luce-sangue-luce… amare, immobili
a tuo cospetto sorgono parole
dal calamaio denso della mente
che miete moltitudini di astri
nella volta di cinabro e di ametista
del cielo a mezza notte, in fitta schiera
ridenti mondi nuovi, e altri salmastri
misteri, o vellutati, come la risacca
nell’istante che incontra l’onda nuova
sospende e spazio e tempo nell’arreso
vortice dello slancio e del ritorno…
il tuo rimbombo rivela la sostanza di poesia:
avere occhi di dio, di dea, vivere sempre
malie miracoli alchimie
di luce e ombra, sempre conservando
un fiore di passione e meraviglia per la vasta
dispiegata vita; sempre trascendere
amandolo
il tragitto delle ore e delle carni, sempre donare
ben più del ricevuto; è poesia
il cadavere disfatto, vomitevole
all’olfatto, e l’erba tenera
nelle rovine baciate dalla charis
dell’anfiteatro di Luni, stracolmo di gigli.
Ma mi graffiano gli artigli
esiziali della dea, squarciano il petto
e ostendono interiora da immolare
un giorno al Dio del Cosmo che ci nutre
e si nutre di noi. Intanto taglia
la mezza luna compatta nubi nere
sul mare tempestato di riflessi
paesi-lanterna nella notte. Intanto è musica
il tonfo reiterato delle onde
contro gli scogli lucidi di brina
degli abissi, dormono
sotto le stelle Delfi, Stonehegge, Tenoctitlan:
il tempo scivola
sui marmi e sui coralli, un doppio sole
riscalda l’invisibile e il visibile
mondo. Si dissolvono
in luce anche gli dei
.
II
Il tempo dell’abisso è rosa mistica
e il tempo delle colse è suo riflesso.
La colonna di marmo che precipita
dall’alto sprofonda nella cenere
sottomarina del Golfo-Meraviglia.
Ascolta rombi assorti di conchiglia
ronzare in pieno etere quando le ciglia
la Grande Dea dischiude che si erge
ridente, gigantesca, ineludibile
in controcielo, la Sorgente
delle cose visibili: la spiga
mietuta nel silenzio allora a Eleusis
e adesso roteata in pieno sole
intona il mantra cieco ma rovente
della vita sorgiva, la morente
mai. Ho visto
la Nave dei Morti scivolare
lungo il Nilo e intanto stormi
di pellicani blu accoccolarsi
nella Baia dei Delfini tutti d’oro.
Tende l’arco
un Apollo distratto e già ci sfiora
sibilando in controluce il dardo aureo.
.
III
Il mare è sterminato, sterminato
il computo delle viventi e delle morte
creature: pullulano
infinità di mondi a ogni sguardo: è questa
la prima certezza. La seconda
il lampo di sangue nella cornea
della Dea: ogni fiorire
nasconde uno sfiorire, ogni bellezza
un orrore, ogni cosa
si converte nel contrario, non riposa
mai. La terza
certezza è il sole allo zenith,
fermo, nel suo splendore.
.
IV
L’isola non ha nome, né memoria
di grappoli, licheni o balaustre
macchiate di mirtillo o profumate
di gelsomini nelle notti d’estate. L’isola
nasconde il suo rovescio: ora vertigina
in cunicoli e meandri, ora si arrampica
sulle onde turchesi. Il cielo ride
scaglie di luce sole in sol re mi
.
V
Grumi di sangue e sale: un grande dio
si trapassa lo sterno d’oro con la spada, sogguarda attonito
il rosso delle viscere, i polmoni
straripano farfalle trasparenti
sull’onda-arcobaleno. Poi la notte
si fa ricovero e caverna delle stelle.
.
VI
Se scavi nella terra trovi pietra
e se scavi nella pietra l’infinito.
Hanno corazza dure le visibili
cose, che salva da morte. E tutte si travagliano
a difendere i confini e i contorni
dell’involucro vivente mentre trascorrono
i molteplici tragitti dell’esistere
nel pianeta tra i pianeti, a notte e luce.
L’incrocio degli sguardi apre all’enigma
più arduo: riconoscere
assoluta consistenza all’apparire
di cose tra le cose, oppure scorgere
nello sguardo dell’altro l’Uno-Oltre
che apparenta il sogguardante e il sogguardato
in una sola energia materia
che circola alla radice di ogni essente?
Se scavi nella terra trovi pietra
se scavi nella pietra l’infinito.
.
VII
Colline come onde. E deserti.
Il mare scava onde nella terra, velieri
di schiuma biancheggiano
nelle notti inargentate dalla luna.
Ho udito l’uccello di Minerva
ridendo e interrogare
gli intervalli tra erba e tenebra. Poi la pioggia
ha scavato crateri di luce.
*
VIII
Cadono foglie sulla fine dell’estate
e l’autunno è alle porte.
Un varco e un altro varco
Si aprono nel centro delle cose
E dei giorni. E un altro ancora.
.
IX
Deserti come maree. Il vento
ha sepolto nella sabbia Tebe e delfi, Gerusalemme
aspetta il suo turno. Lo stesso vento
sibilava tra i crateri di Marte
e nelle pianure della Luna. Nessuna cosa
ne è esente: sentilo il suo rimbombo
dietro le quinte del pianeta, mentre la sera
pacifica il giorno e già barbugliano
le luci in lontananza di città
sottomarine, e un frassino fulgente
sorge tra le colline
adesso blu.
.
X
La notte riversa petali e ametiste. Ci sono
mondi dentro mondi: come una matriochka
così è la Vita. Un falco d’oro
si invola oltre le fronde, tra le stelle
invisibili.
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Fratelli d’Italia.
Poema in forma di peana rituale per l’unità dell’Italia rigenerata dalla Sapienza
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(cantato) Fratelli d’Italia l’Italia s’è desta
e invece dormono, le moltitudini e la democrazia
è morta, perché il démos è diventato óchlos, folla
disintegrata nella mente e nel cuore
dalla superficialità demoniaca delle radio delle televisioni
dei giornali delle scuole delle chiese.
Trionfa l’ignavia dei molti, l’arroganza dei pochi
la voce della sapienza non viene ascoltata
(cantato) dell’elmo di Scipio si è cinta la testa
elmi catodici erodono l’essenza di luce delle moltitudini
e i senza testa esaltano uno scipio da mercato e bordello
i guerrieri dello spirito vengono relegati negli angoli
nel mondo trionfa la bestia incosciente
(cantato) dov’è la vittoria? le porga la chioma
dove, in quale angolo della storia
è sepolta la luce della libertà profonda, la parola
che innalza e che redime, la fonte sacra
della solidarietà, della pace, della sapienza
che porga il proprio aroma a una roma non abbietta
a un popolo che non sia latrina e sterco
di se stesso, a politikoí
che non siano baldracche e caricatura dell’homo sapiens,
corrotti e corruttori di paesaggi e di anime,
lividi arconti di un potere miserabile, a roma
e in ogni piccola roma
che ha distolto la sguardo
dalla chioma di luce della consapevolezza?
(cantato) che schiava di Roma iddio la creò
e invece è Roma schiava di nuovi unni e ostrogoti
uniti a lega e cricca e non in alleanza
consacrata alla luce, imbavagliatori di spiriti e di bocche,
pupazzi di un carnevale macabro, caricature
di caricature da fascio e sfascio
dell’alleanza profonda tra il dio del cosmo
e il Sé lucente degli umani
e di loro opposti, ad essi
complementari per cecità alla luce, per ipertrofia
di cerebralismi mescolati a calcolo e falsa
demofilia, ottenebrati anch’essi
per abiura alla sapienza, alla luce mistica che dona
amore e consapevolezza
(cantato) Stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte, siam pronti alla morte
l’Italia chiamò
stringiamoci a coorte, fratelli dell’Italia illuminata
che sorgerà dalle ceneri di questa, rosse, bianche e nere,
di risibili congreghe rinsaldate
da idola fori e idola theatri
da ideologie bastarde e imbastardite
da troppa collusione con denaro
e potere, da troppa presunzione
di scimmie in doppio petto e ufficio tecnico
o sala del comando deragliato
e ragliante trombonate a pagamento
di topi che rosicchiano denaro
e anima alle genti siam pronti
alla morte civile per sfuggire
alla morte dell’anima e del cuore l’Italia
dei padri ci chiama alla riscossa
nonviolenta e solidale degli spiriti
liberi che rifondano il démos
sulla costituzione interiore delle menti
consapevoli, coscienti e non ci resta
che intonarlo alla rovescia, l’inno, come mantra-
esorcismo alle iene e agli struzzi del potere,
alle formiche addomesticate a suon di spot, evocazione
di un nuovo démos e di nuovi politikoí
consapevoli, che siano guide sacre per l’agire
che liberi gli umani dalla storia
come bestemmia alla loro natura illuminata
(cantilenato) illetarf ailatid ailati atsedes
Fratelli d’Italia l’Italia s’è desta
(cantilenato): Omlelled oipicsid atniceis atsetal
dell’elmo di Scipio si è cinta la testa
(cantilenato): evod airottival agropel amoichal
dov’è la vittoria? le porga la chioma
(cantilenato): avaischech amolrid oiddi oercal
che schiava di Roma iddio la creò
Una luce limpida, come coscienza nuova
sostituisce il dominio dei tre demoni
e del diodenaro sulle menti dei politici
degli economici dei militari delle genti
incoscienti, la sapienza
dei Maestri Immortali regna vivida
sull’Italia restituita a nuovo inizio
che è nuovo inizio cosmico, si accende
la torcia del Risveglio, non lo sentite
il vento della storia rinnovata?
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Angelo Tonelli, poeta, performer, autore e regista teatrale è tra i massimi studiosi e traduttori italiani di classici greci. Edizioni di classici: Oracoli caldaici, Coliseum 1993 – Rizzoli 1995 e 2005; Eraclito, Dell’Origine, Feltrinelli 1993 e ristampa riveduta 2005; Properzio, Il libro di Cinzia, Marsilio 1993 (4 edizioni); T. S. Eliot, La Terra desolata e Quattro Quartetti, Feltrinelli 1995 (6 edizioni, con ristampa riveduta per il 2005); Seneca, Mondadori 1998; Zosimo di Panopoli, Coliseum 1988, Rizzoli 2004; Eschilo, tutte le tragedie, Marsilio 2000 (vincitore Premio Città dei Trulli per la traduzione); Empedocle, Origini e Purificazioni, Bompiani 2002; Sofocle, tutte le tragedie, Marsilio 2003. Euripide, tutte le tragedie, Marsilio 2007. I lavori sui tragici sono raccolti in un unico cofanetto di 1750 pagine: Tulla la tragedia greca, Marsilio 2007. Opere di poesia: Canti del Tempo (vincitore premio Eugenio Montale), Crocetti 1988; Dell’Amore, Abraxas 1994; Dall’Ade, Abraxas 1995; Poemi per l’era dell’Acquario, Abraxas 1996; Della morte, Abraxas 1997; Frammenti del perpetuo poema, Campanotto 1998; Alphaomega, variazioni per violino e voce, Abraxas/Keraunós 2000; Poemi dal Golfo degli Dei/Poems from the Gulf of the Gods, Agorà 2003; Canti di apocalisse e d’estasi, con appendice di traduzioni in inglese, tedesco, ungherese, latino (Campanotto 2008, vincitore assoluto Premio Città di Atri; menzione d’onore premio Lorenzo Montano 2009). Tra la letteratura critica sulla sua opera poetica si segnalano giudizi positivi sulla sua opera in lettere di Vittorio Sereni (non datata) e di Attilio Bertolucci (6/ 2/1988); M. Bacigalupo, Angelo Tonelli, un neoromantico poeta estivo, “Il Secolo XIX”, 22/10/1998; S. Crespi, L’eterno canto dell’amore là dove stridono i gabbiani, “Il Sole 24 ore”, 10/07/1988 e Il frammento e il perpetuo, “Il Sole XIV ore” 12/7/1998; G. Galzio, Angelo Tonelli, in G. Galzio, a cura di, Gli Argonauti. Eretici della poesia per il XXI secolo, Milano, Archivi del Novecento, 2001, pp. 199-202. E. Grasso, Nota su Canti del tempo, “Cenacoli esoterici”, 4, 1989 (Benevento, Ripostes); J. Marban, Closing Remarks in M. Maggiari, a cura di, “The Waters of Hermes”, II, Agorà, La Spezia 2002; S.Verdino, Angelo Tonelli, in S. Verdino, a cura di, La poesia in Liguria, Forum – Quinta generazione, Forlì 1986; M. L. Vezzali, Peregrinare nella luce, “Steve 21. Rivista di poesia”, Edizioni del Laboratorio, Modena autunno 2000. Tra i testi filosofici si segnalano: Apokalypsis, pensieri intorno all’ apocalissi in atto nel pianeta Terra. E altro; Il dio camaleonte (Abraxas 2009) Opere teatrali: Apokálypsis, 1995; Katábasis, 1996; Máinomai, 1997; Mysterium, 1998; Eleusis, 1999; Drómena, 2000; Alphaomega, 2002 (da Sette contro Tebe di Eschilo); New World Order, 2003; V.I.T.R.I.O.L.U.M. Alchimia per Edipo re 2004; Orghia, ovvero il trionfo della sapienza sul potere (da Baccanti di Euripide), 2005 e 2009; La terra desolata di T. S. Eliot, 2005; Orestea, 2006; Alcesti, mysterium mortis mysterium amoris, 2007; Antigone, ovvero la legge del cuore contro la logica spietata del potere, 2008; Baccanti, 2009; Christus rediens, 2009.
E’ intervenuto in programmi culturali della RAI tra cui, nel dicembre 2000 Tutti dicono poesia (Rai 1) con una performance mistico-apocalittica. Dal 1998, su incarico della Città di Lerici, è Presidente della Associazione Culturale Arthena e della omonima Scuola di Arti e Mestieri, e Direttore Artistico di Altramarea, Rassegna Nazionale di Poesia Contemporanea e di Argonauti nel Golfo degli Dei. Nella primavera del 2005 ha pubblicato Per un teatro iniziatico, un libro sui primi dieci anni del teatro, e del genere di teatro, da lui stesso fondato. Nell’ottobre del 2007 ha dato alle stampe Alla ricerca del Sé (Tipografia Stella-Edizioni dell’Arthena) una miscellanea di saggi e conferenze intorno ai temi della sapienza, della psicoanalisi e della meditazione. Suoi testi, con una nota introduttiva di Roberto Bertoni, compaiono in Sei poeti liguri, Bertolani, Bugliani, Conte, Giudici, Sanguineti, Tonelli, a cura di Roberto Bertoni (Trauben, 2004) e nella antologia dedicata a 9 poeti liguri e curata da Roberto Bertoni e Roberto Bugliani, Voci di Liguria, Manni editore, 2007. Di recente pubblicazione Sulle tracce della Sapienza (Moretti e Vitali editore 2009), un libro in cui sintetizza trenta anni di ricerche sulla sapienza presso i Greci, in Oriente, in Jung e in Eliot; il primo volume, Parmenide Zenone, Melisso, Senofane di Le parole dei Sapienti, in sette volumi per Feltrinelli, sul pensiero dei sapienti greci preplatonici; Sperare l’insperabile. Per una democrazia sapienziale (Armando 2010). In corso di stampa (uscita prevista 11 maggio 2011) l’edizione Bompiani con testo greco a fronte di Tutta la tragedia greca già pubblicato con Marsilio: per la prima volta al mondo un unico Curatore insieme filologo drammaturgo e poeta pubblica edizione con testo a fronte, introduzioni, note di tutti e tre i tragici greci.
Per la sua opera complessiva ha ricevuto il premio speciale della giuria del Lerici Pea nel settembre 2008. Per il libro Eschilo Sofocle Euripide, tutte le tragedie (Bompiani 2011) ha ricevuto il Premio Speciale Lerici Pea 2011 e il Premio La Spezia-Lunigian 2011.