Da mani mortali, di Biancamaria Frabotta
A cura di Luigia Sorrentino
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Il 28 febbraio 2012 alla Libreria Koob di Roma Biancamaria Frabotta in occasione dell’uscita della sua ultima raccolta di versi Da mani mortali (Mondadori, Milano 2012) ha tenuto un Concerto di poesie per voce sola. Ognuno dei quattro tempi del concerto era preceduto dalle introduzioni critiche di Carmelo Princiotta che vi ripropongo in questo blog.
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Da mani mortali è un itinerario nella vita attiva. Biancamaria Frabotta apre infatti il suo nuovo libro di poesia con Gli eterni lavori. Il racconto della coltivazione di un campo (con dietro il grande modello delle Georgiche) si unisce a una meditazione laica sul Secretum di Petrarca, a un’interrogazione sui rimedi. La viandanza trascolora nel pendolarismo fra città e campagna, fra il luogo della storia e della norma, delle nostre normalità anche alienanti, e il luogo di una natura lavorata con fatica, dunque tutt’altro che evasiva. Viene corretto, tra l’altro, l'”ottimismo” virgiliano, in base al quale l’ostinato lavoro vince tutto. Quando in campagna si porta con sé la città e viceversa, nella tratta fra Roma e la Maremma, il passo può risentirne: «So da quale piede zoppichi» sono le parole pronunciate da Agostino contro Francesco nel Secretum e riportate in epigrafe agli Eterni lavori, anche se per essere rovesciate al loro interno. Nel Secretum si tratta di una zoppia morale, causata dal dissidio fra la gloria e la virtù, negli Eterni lavori è piuttosto un’infiammazione sentimentale, dovuta al conflitto fra stoicismo e nostalgia.
Se La pianta del pane declinava l’amore coniugale attraverso il sonno condiviso e l’insonnia solitaria qui il distacco provvisorio al momento del risveglio detta i lieder dell’assenza, i versi composti da chi resta per chi parte. Quello stesso sentimento viene inoltre celebrato attraverso altri amori coniugali. La casa di Cupi è il luogo in cui la «vita consenziente» si apre all’amicizia, nell’incontro con studenti e poeti, coppie amanti e amati nipotini. Sono presenti poesie di dedica, testi di anniversario e dunque d’occasione, che testimoniano una speciale socialità della poesia ma che si allargano anche al di là dei loro immediati destinatari. Al personaggio io subentrano nuove figure. Rimane la voce testimoniale, che, qui come altrove, anestetizza il narcisismo latente nella lirica, senza per questo renderla anaffettiva.
Nella parte centrale del libro, intitolata I nuovi climi, ci sono le sospensioni, desiderate o forzose, della vita attiva: la contemplazione della natura amica e la violenza perpetrata da una natura nemica. Le fasi della luna contengono alcune stupende poesie di riposo, un genere che andrebbe ripensato come ulteriore stazione della pietas. Non si tratta sempre di notturni: l’osservazione puntuale svela una luna già pomeridiana. Una luna antica come il mito, simile alla falce di Saturno, dio delle messi e del tempo malinconico. Una luna contemporanea, che sosta sulle nostre storie, sui giorni senza impiego e sulle meditazioni continuamente esposte alle intemperie. Sono ozi difficili, in cui una veduta collinare tradisce «lo scarso dirsi di Dio». Piccole e grandi catastrofi si abbattono poi sui tanti sogni di questo libro, come nel testo per L’Aquila distrutta (per le vite sepolte dal crollo della casa dello studente), quasi a sancire l’inermità umana e l’assenza di rimedi intanto che è negato ogni conforto religioso.
Da mani mortali, parte eponima del libro, ospita un poemetto narrativo, Il gesto più gentile dell’amicizia, e da un monologo drammatico, La felice combinazione. Il poemetto racconta una visita casuale alla Rondinaia, la villa di Ravello appena abbandonata da Gore Vidal che vi aveva soggiornato fino alla morte del compagno. È l’ingresso «in un modo di esistere non comune», un mondo di finzione in cui Gli eterni lavori si specchiano stravolti. L’unica zona di autenticità sembra garantita dalle false interpolazioni omeriche: all’amicizia amorosa fra Vidal e il suo compagno si sovrappone infatti quella fra Achille e Patroclo cantata nell’Iliade. L’eroe greco è incapace di accettare la morte dell’amico, che gli compare in sogno, chiede che Achille non lo trattenga nella nostalgia dei vivi, ma abbia la forza morale di congedarlo con un gesto gentile e definitivo: darsi la mano. Una volta lasciato ai morti, Patroclo potrà diventare il compagno interiore e segreto, «come ogni comune mortale». La felice combinazione è invece il monologo di un dio minorenne davanti a un mondo maggiorenne, che non ha più bisogno di lui e a cui quel dio chiede amicizia come nella teologia di Bonhoeffer. Il monologo è anche una teoria probabilistica della creazione: il cosmo come «felice combinazione» di possibilità che quasi mai si verificano insieme, l’universo come opera incompiuta per distrazione adolescenziale forse più che per impotenza o per malvagità. Alcune di queste lasse, che ci raggiungono mentre abbiamo i cataclismi de I nuovi climi ancora negli occhi e che non a caso evocano i lager, hanno la fattura del capolavoro.
La poesia di Biancamaria Frabotta può anche risultare difficile, ma non è mai oscura, si presta sempre alla parafrasi. Con il tempo la voce ha trovato una più dimessa affabilità, conservando il senso etico della ricchezza linguistica di fronte al progressivo impoverimento dell’italiano; così non ha rinunciato alla sua perentorietà epigrammatica e civile. Come scriveva Hannah Arendt in Vita activa, l’opera viene consegnata da mani mortali «per risplendere ed essere vista, per risuonare ed essere udita, per parlare ed essere ascoltata», secondo una fruizione di tipo etico e non soltanto estetico. Per questo «i pochi (troppo pochi!) poeti» vanno cercati, letti, studiati e citati, nella vita di tutti i giorni.
Carmelo Princiotta
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Biancamaria Frabotta è nata a Roma, dove vive. Insegna Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università di Roma “La Sapienza”. Poetessa, autrice di un romanzo e di testi teatrali, ha al suo attivo una vasta produzione saggistica, tra cui va ricordata l’antologia Donne in poesia (Roma, Savelli, 1976), Letteratura al femminile (Bari, De Donato, 1980), Giorgio Caproni il poeta del disincanto (Roma, Officina edizioni, 1993) e L’estrema volontà (Roma, Giulio Perrone Editore, 2010). Collaboratrice di riviste, è stata redattrice di Orsa minore (dal 1981 al 1983) e di Poesia (dal 1989 al 1991). A lungo, ha scritto sul Manifesto. Femminista, ha militato nel PdUP e ha raccolto studi e interventi intorno al femminismo in due volumi (Femminismo e lotta di classe e La politica del femminismo).
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Carmelo Princiotta è nato a Messina nel 1977, vive a Roma. Ha recentemente pubblicato il saggio Poesia in pensiero: uno dei modi di scrivere dopo Auschwitz, in Il discorso morale nella letteratura italiana. Tipologie e funzioni, a cura di V. Guarna, F. Lucioli, P. G. Riga, Roma, Bulzoni, 2011.
Comw leggere le poesie? Almeno una potrebbe essere aggiunta alla biografia e recensione.
Adriana