Il manoscritto della ‘Cavalla storna’, la famosissima poesia con la quale Giovanni Pascoli ricorda il drammatico episodio dell’uccisione di suo padre, compare – insieme all’effigie del poeta – sul francobollo che sarà emesso il 6 aprile prossimo per ricordare i cento anni dalla morte di quello che è stato uno dei protagonisti della vita letteraria italiana di fine ottocento.
Il francobollo – rileva un comunicato diffuso oggi dalle Poste Italiane – sarà autoadesivo e avrà un valore di 60 centesimi. A commento dell’emissione sarà messo in vendita un bollettino illustrativo con articoli di Alessandro Adami, Presidente della Fondazione Giovanni Pascoli, e di Gianfranco Miro Gori, sindaco di San Mauro Pascoli (Forlì).
A San Mauro di Romagna Giovanni Pascoli nacque infatti l’ultimo giorno dell’anno 1855; il padre, amministratore di una tenuta dei principi Torlonia, venne ucciso in circostanze mai chiarite quando il poeta aveva solo 11 anni. La famiglia Pascoli subì altre traversie e numerosi lutti ma Pascoli riuscì a completare gli studi liceali e poi i corsi universitari a Bologna, nonostante la revoca di una borsa di studio in seguito alla sua partecipazione a manifestazioni “sovversive” (che gli costarono anche un arresto).
Professore prima nei licei e poi all’Università, Pascoli, oltre ad una cospicua produzione poetica in latino, ha lasciato raccolte di versi fondamentali come ‘Myricae’ (prima edizione nel 1891), i ‘Canti di Castelvecchio’, ‘Odi ed Inni’. Morì a Bologna nel 1912.
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La cavalla storna
Nella Torre il silenzio era già alto.
Sussurravano i pioppi del Rio Salto.
I cavalli normanni alle lor poste
frangean la biada con rumor di croste.
Là in fondo la cavalla era, selvaggia,
nata tra i pini su la salsa spiaggia;
che nelle froge avea del mar gli spruzzi
ancora, e gli urli negli orecchi aguzzi.
Con su la greppia un gomito, da essa
era mia madre; e le dicea sommessa:
« O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
tu capivi il suo cenno ed il suo detto!
Egli ha lasciato un figlio giovinetto;
il primo d’otto tra miei figli e figlie;
e la sua mano non tocco’ mai briglie.
Tu che ti senti ai fianchi l’uragano,
tu dai retta alla sua piccola mano.
Tu c’hai nel cuore la marina brulla,
tu dai retta alla sua voce fanciulla».
La cavalla volgea la scarna testa
verso mia madre, che dicea più mesta:
« O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
lo so, lo so, che tu l’amavi forte!
Con lui c’eri tu sola e la sua morte
O nata in selve tra l’ondate e il vento,
tu tenesti nel cuore il tuo spavento;
sentendo lasso nella bocca il morso,
nel cuor veloce tu premesti il corso:
adagio seguitasti la tua via,
perché facesse in pace l’agonia . . . »
La scarna lunga testa era daccanto
al dolce viso di mia madre in pianto.
«O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
oh! due parole egli dove’ pur dire!
E tu capisci, ma non sai ridire.
Tu con le briglie sciolte tra le zampe,
con dentro gli occhi il fuoco delle vampe,
con negli orecchi l’eco degli scoppi,
seguitasti la via tra gli alti pioppi:
lo riportavi tra il morir del sole,
perché udissimo noi le sue parole».
Stava attenta la lunga testa fiera.
Mia madre l’abbraccio’ su la criniera.
« O cavallina, cavallina storna,
portavi a casa sua chi non ritorna!
a me, chi non ritornerà più mai!
Tu fosti buona . . . Ma parlar non sai!
Tu non sai, poverina; altri non osa.
Oh! ma tu devi dirmi una una cosa!
Tu l’hai veduto l’uomo che l’uccise:
esso t’è qui nelle pupille fise.
Chi fu? Chi è? Ti voglio dire un nome.
E tu fa cenno. Dio t’insegni, come».
Ora, i cavalli non frangean la biada:
dormian sognando il bianco della strada.
La paglia non battean con l’unghie vuote:
dormian sognando il rullo delle ruote.
Mia madre alzò nel gran silenzio un dito:
disse un nome . . . Sonò alto un nitrito.
di Giovanni Pascoli