Reattivo e ipersensibile, insofferente tanto alla “disciplina” pretesa dai superiori quanto all’ “indisciplina” di una città sdrucciolosa e impossibile, Ottone Ingravoglia, giovane vicecommissario nella Napoli del dopoguerra, non va d’accordo con nessuno, né con i marinai americani, i vincitori, né col questore, né con il solo amico che ha, né con i suoi ricordi, già troppi.
Come un operaio alla catena di montaggio, conosce l’alienazione di dover lavorare quasi sempre a “pezzi” d’indagine di cui ignora lo scopo. Finché un caso diventerà tutto suo, e lo metterà in contatto con un comico famoso, vera maschera della città; con la mente di uno strano bambino; con una donna di quelle che sono chissà dove.
Con tutta l’implacabilità dei ritmi del giallo questo romanzo ci costringe al pungente desiderio di arrivare in fondo alla storia. Con probità artigianale, nel rispetto dei moduli del genere. Ma al tempo stesso ci dona una scrittura la cui pulsione espressiva e il cui spazio verbale chiamano a sé lettori liberi, indocili a quanto certo mercato del libro propone con il termine di fiction.
“Continuando per via Sanità si ricorda anche di una piccola bacheca addossata a un pilastro della chiesa, fra la navata centrale e la sinistra. Vi è conservata la scena di una zuffa fra angeli e diavoli, in terracotta smaltata e stoffe, come i pastori dei presepi. Uno dei diavoli è stato inghiottito per metà nella terra, che deve essersi aperta sotto di lui per decreto divino; restano fuori solo le zampacce da caprone, mentre barbetta corna e spirito negatore sono già rivolti agli avvallamenti satanici. Gli angeli non li ricorda affatto, ma saranno certo tremendi, violenti come tutti i frigidi. Non crede troppo al bene e al male separati di netto, Ingravoglia. Non funziona così, certo non per gli angeli della Polizia. Perché ci si trova nel marcio anche solo a guardarlo, il male; anche se incontri il paralizzante sguardo di Medusa solo per caso. E poi, le preghiere di ogni uomo sono sempre due, sincrone e concomitanti, una verso Dio, una verso Satana.”
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“Questo è un giardino per il quale si è prevista un’esistenza che non si traduce in alcuna forma, ma che deve essere lasciato libero di seguire il flusso naturale dei vegetali (…). Nemmeno le talpe, qui, vengono uccise o cacciate. *** adora le piante vagabonde, che muoiono in un luogo per rinascere uguali, dopo un po’, a qualche metro di distanza. Sono sempre là dove non ce le si aspetta”.
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Mariano Bàino è nato a Napoli nel 1953. Suoi versi e contributi critici sono apparsi su numerose riviste e quotidiani (“Avanguardia”, “Baldus”, “Diverse Lingue”, “Linea d’ombra”, “il verri”, “Diario della settimana”, “Il Mattino”, eccetera) e sono presenti in diverse antologie. Ha preso parte a festival di letteratura in Italia e all’estero. Suoi testi sono stati tradotti negli U.S.A. e in Canada. I suoi libri di poesia sono ‘Camera iperbarica’ (Tam Tam 1983), ‘Fax giallo’ (Il Laboratorio 1993; Editrice Zona 2001²), ‘Ônne ‘e terra’ (Pironti 1994; Editrice Zona 2003²), ‘Pinocchio’ (moviole) (Piero Manni 2000), ‘Sparigli marsigliesi’ (Il laboratorio 2002; Edizioni d’If 2003²) e ‘Amarellimerick ‘ (Oèdipus 2003). Ha tradotto poesie di Góngora, Fersen, Frénaud, Lely. In prosa ha pubblicato ‘Le anatre di ghiaccio’ (l’ancora del mediterraneo 2004) e ‘L’uomo avanzato’ (Le Lettere 2008).
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Carlo Ziviello, Responsabile area comunicazione e promozione
Casa editrice Ad est dell’equatore
Via Bernardino Martirano 17
80146 Napoli
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Mi sembra molto interessante.
Bellissimo il libro!….E poi Cercola,Viale Mazzei,Villa Maria ,il Maestro Paduano.