L’opera d’arte – nell’epoca della sua riproducibilità tecnica – Tre versioni (1936-39), a cura di Fabrizio Desideri, Donzelli editore 2012.
Tra il 1935 e il 1939 Benjamin lavorò a più riprese al suo saggio forse più celebre: L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. Un vero e proprio cantiere, accompagnato da un’avventurosa e complicata vicenda editoriale, sino ad oggi colpevolmente trascurata. Questa edizione, curata da uno dei più importanti studiosi italiani di Benjamin, offre al lettore per la prima volta insieme la traduzione delle tre principali stesure del saggio: la versione francese uscita nel 1936, tradotta da Pierre Klossowski, con la decisiva supervisione dello stesso Benjamin, e le due versioni tedesche, una del 1936 e l’altra scritta tra l’estate del 1936 e il 1939, in ciascuna delle quali l’autore apporta sostanziali cambiamenti alla prima versione tedesca manoscritta del 1935, che rifluisce per intero nelle successive due. Fondamentale in questo senso poter entrare nel laboratorio Benjamin: l’unico modo per farlo è avere sotto gli occhi gli interventi del filosofo tedesco nelle due stesure.
È questo il puntuale lavoro di ricostruzione a cui Fabrizio Desideri ha sottoposto i testi, evidenziando le cospicue varianti dell’uno rispetto all’altro direttamente nella tessitura della riflessione benjaminiana. E mostrando così come in realtà nessuna di queste versioni possa considerarsi quella definitiva. Ripensare questa «officina» significa rispondere all’esigenza di un’opera ancora alla ricerca di una lettura adeguata alla complessità e alla profondità della sua intuizione originaria. In anni tristissimi per l’Europa e per il mondo, Benjamin s’interrogava sul destino dell’arte nel contesto delle trasformazioni radicali indotte dall’invenzione e dalla diffusione di nuovi dispositivi tecnologici quali la fotografia e il cinema. Le nuove forme d’arte sono accomunate da uno stesso tratto: la riproducibilità tecnica capace di annullare la distinzione tra originale e copia, sovvertendo il tradizionale rapporto tra il pubblico e i prodotti artistici. La profetica analisi di Benjamin, tuttavia, si spinge ben oltre l’estetica, per cogliere, con sguardo affine a quello di Charlie Chaplin, il ritmo tecno-politico dei «tempi moderni».
«Il film offre l’esempio di una forma d’arte il cui carattere è per la prima volta integralmente determinato dalla sua riproducibilità. Attraverso il film è divenuta decisiva una qualità che i Greci non avrebbero ammesso che in ultimo luogo: la perfettibilità dell’opera d’arte. Un film finito è tutto fuorché una creazione d’un solo getto; si compone di una successione di immagini tra cui il montatore fa la sua scelta – immagini che, dalla prima all’ultima inquadratura, erano state ritoccabili a volontà. Il film è dunque l’opera d’arte più perfettibile, e questa perfettibilità deriva direttamente dalla sua rinuncia radicale a ogni valore d’eternità».
Walter Benjamin (1892-1940) è uno dei grandi pensatori del Novecento. La sua opera si colloca al centro di una fitta rete di «incroci» con personalità della cultura a lui contemporanea: Brecht, Rosenzweig, Bloch, Adorno. Nel 1933, all’avvento del nazismo, è costretto a emigrare a Parigi. Muore tragicamente nel 1940 a Portbou, sul confine franco-spagnolo, tentando di sfuggire alla Gestapo.