Opere Inedite
a cura di Luigia Sorrentino
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“La scrittura poetica è un ‘controcanto’, vado fuori dal coro, perché lo scrivere poesie non è un atto così accogliente come si possa credere. E’ un continuo condizionale, nulla di certo finanche la regola metrica, che poteva dare una via certa su cui incamminarsi, è una scelta condizionabile. No, non è affatto generosa la poesia: costa fatica, ti denuda, ma l’atto del versificare è ‘necessario’, al poeta, perfino fisicamente presente – un ingombro – come lo spirito che obbliga il corpo a dare le mani per descriverlo. E lo spazio stesso della poesia vincola perché è ristretto comparativamente alle altre scritture. La poesia deve condensare necessariamente. Il lavoro è stretto sul singolo verso, sull’unica parola: ciò che conta è ‘la sola parola’, che può perfino essere silenziosa, con quel verso, quel verso perfetto (qui cito Milo De Angelis) che non può essere sostituito con nessuna sillaba o accento diverso.
Ma prima ancora dello scrivere è stato il leggere ad essere uno dei miei ‘verbi necessari’ che vorrei legare alla parola scritta della poesia. Non vorrei apparire come una figlia ingrata ma non evito di riconoscere che la parola è un legame che vincola, scegliendoti, sciogliendoti in lei. Ed è infinito il leggere della poesia, non può essere un ciclope con un unico occhio nel cui guardare. E’ un mare odisseo. Quando si trova un autore con cui dialogare ‘nell’intimo’, con cui mutare o condividersi, ecco che ne arriva un altro che (mi) mozza il fiato e (mi) lega a quei nuovi fogli, ad una nuova epifania. Ma questa per me è l’unica vi(t)a che mi appartiene.”
di Meth Sambiase
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POESIE INEDITE
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La domanda è nel perché
il riflesso è (in)condizionato si
vuole si necessita, si bisogna, si schizza il colore
si spruzza
si inietta si raffina
si scopre né il come né il mai
funzioni ancora il corpo se
se ne avvelena ogni sezione
l’ossimoro è l’unica vitale funzione
più mi contraggo più ho bisogno di spazio.
***
Lei è sì la casa
il giunto
l’orfana
lo scalpore pieno
la radiazione del cielo
l’enigma del punto di fuga
verso l’Altra
ma il derma la rivela
acronimo svergognato di se stessa
***
Lui, la corteccia
il dominio dei sensi
soprattutto la vista
safena imprevista
che s’insabbia
compañeros ogni colore di vita
filtra e saccheggia
lo spazio come un dattero
cresciuto, pertuso felice nella bocca
—
(ndt. compañeros , amici
pertuso, buco)
***
Non è la donna vestita di sole
se ricorda
è nord ed è silenzio
fenolo per l’inquietudine del sorriso
un solo gesto:
lo spiarsi alla fase dell’innalzare.
Un fianco di fuso,
un fluido
la ragion pura del bruciato,
le hanno insegnato
a spegnersi in ogni fuori
– all’esterno –
e le terre le spie e la neve
le cipolle il pane e le furie
sono in altrove come vita gazzarra.
***
E lei lo chiamava a sé cambiandogli nome
-Apocalisse, trattami bene-
gli diceva scuotendogli le gambe.
Era stata lontana assai.
(giù dal ponte di Babele,
nel limbo, nel meridione).
Giù,
nella cava di una cicatrice
che disegnava il confine del corpo
all’ombra di una meridiana.
La lancetta la sbriciolava
e non era più giovane,
sdraiata su ossari di acque passate.
***
Si sgroppava
– ho troppo cavalcato-
(uno stalliere, uno stallone).
Di Lui ne aveva ogni ricordo,
il suo due di bastoni,
uno gli pendeva mancino nei sacri orgasmi.
Nettuniana,
era coperta di ferri caduci
e Lui le accudiva il cuore,
ruggine e cardini divelti
ad ogni marea
fino a risalire un solco nella rena
e diventare pallidi al sole,
eterni
in un fruscio di miosotidi onniveggenti.
***
Sono il re degli idioti
mi concentro e resto ben dentro il trono
.
Bella mia sono rossi i tuoi volti
ero profugo e tu mi hai dato i colori
Nel nulla dai troppi rumori
ho continuato a crescere e diventare forma di uomo
ma ancora sento quel pezzo che manca
un covone una rete una milza
una pula un bozzolo un eclisse
ci sono due teorie sull’essere dipendente
io voglio dipendere da te
io non voglio pendere fuori da nessun altro al di fuori di te.
***
Ma come faccio a capirti?
tu mi indichi la bottiglia, sei già dentro allo spirito
io penso all’omino che ha reciso i tralci.
Lasciarsi fissa irrigidita a ciondolare
un unico blocco di carne vestita di azzurro
è piacevole, se si cambia l’inclinazione
si può oscillare come un pendolo femmina.
Lasciare è una mossa d’arrocco
la regina è caduta sul bianco incitando
né a coprirla né a metterla sotto sopra
semplicemente srotolare le bende e guardarla spegnersi.
Girevole, sembra una girandola ben vestita
anche i tacchi alti sono come radici
in posa, ricordi? era ferma come una statua indolente
per strada, la comunità s’interrogava
con fervore, nel data base caricavano le foto
lei si ostinava a mostrare le sue piaghe nerognole.
***
Un punto
né infinito né definito
era questa allora l’indecenza del (soprav) vivere
una quiete assoluta castità
l’assalto del dubbio è fuori dal cerchio
si staglia fuori lo circonda lo ingloba
risiede in esilio come un risucchio
ordine e morte senza resurrezione
Bianca l’han chiamata
per renderla carne vergine e immacolata
l’acqua che scende sulla sabbia.
Ogni giro intorno è un cuore
si frantuma come un cavaliere sotto un panzer
non lo infrange, solo lo attende.
***
Quand’era accerchiata
gelava il cerchio degli spasmi e degli sgomenti
resistenza – oppure i ricordi
desistenza – ossia la maledizione del nome.
Tanto si sterminò
che scavò la buca valutandone la perfezione
arrendevole tanta luce su ogni buio
do it you self e sia, madre di se stessa.
Si lasciava sedurre si lasciava mutare
passiva, era l’indice contro che liquefaceva le vertebre
solo l’ennesima stasi prima della mutazione
di ogni morte di vita che le muoveva intorno
appariva il nuovo strato di pelle corazza, un carico divino
un ibrido, l’esposta, la liberta, la sirena muta senza gambe.
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Autobiografia (di Meth Sambiase)
“Io sono migrante, anche nel nome di battesimo, Simonetta. Sono nata lo scorso millennio a Torino, da genitori partenopei, con la gioventù passata nella grande città meridionale, fino al vivere, a tutt’oggi, a Reggio Emilia. I miei studi sono stati artistici (ho avuto la fortuna di avere Michele Sovente come docente di Letteratura). In passato sono stata un’insegnante da poche supplenze e una pubblicista. Nel presente, ho un lavoro part-time, un libro Una Clessidra di grazia (III posto al Polverini del 2011) e la plaquette Leporis (in)canti matrigni. Nel 2011 ho vinto il Woman In Art, presieduto da Milo De Angelis con la raccolta “Coniugazione singolare“, trasformata in una pubblicazione nel marzo di quest’anno.”
Ti seguo, Meth, seguo il farsi della tua poesia come un lettore ormai preso nelle maglie dei versi che vengono e vanno come l’onda marina, sempre uguale a se stessa e tuttavia sempre altra da sé. Non c’e in questo andirivieni dei versi niente che si ripeta e questo è sempre, ininterrottamente vero come nel fluire delle acque verso uno grande cascata. Perché ogni balzo è un salto ad occhi aperti, o – quando ci sgomenta – ad occhi chiusi. Ma questo ci conduce sempre ad altra maniera di guardare. Dopo il salto, lo sgomento del salto, il paesaggio dell’anima è mutato, ha conquistato certo una sua meta, pur sempre provvisoria, pur transeunte, ma si tratta di qualcosa che attiene alla visione di una bellezza inaspettata e nuova. un minuscolo break nella lunga battaglia per la vita, e perché ci sia una strada, una rotta, una stella da seguire. E non ci si fermerà certo davanti a nulla, perché, come dice Machado: “Caminante, son tus huellas / el camino y nada más; / caminante, no hay camino, / se hace camino al andar…”
Antonino Caponnetto
Condivido appieno il concetto del “fare” poesia (pòiesis = creazione)di Meth, profonda conoscitrice del verso. Tra l’altro ho già avuto modo di apprezzarla, condividendone il piacere della lettura, sulle pagine de “La Recherche”.
Permettetemi di ringraziare
In primis la poeta Luigia Sorrentino che mi ha scelto nel suo spazio a dir poco prezioso.
Giovanni e Antonino, grazie. Metto i vostri commenti a decantare…
Le poesie di Meth Sambiase che ho scoperto sul sito La Recherche, mi hanno immediatamente colpito, perché ho sentito che hanno una marcia in più, una forza immaginifica detonante. Le sue poesie mozzano il fiato, sono sorprendenti e mutevoli, in dinamismo continuo, sul crinale dell’ironia e dell’assurdo. L’ho vista crescere nel suo percorso e ottenere significativi riscontri. Poesia non semplice, che scava in profondità e fa riflettere anche per la pluralità di significato a cui offre la sponda. E leggo la prima poesia qui pubblicata (davvero molto bella) come una dichiarazione di poetica: La domanda è nel perché.. l’ossimoro è l’unica vitale funzione/più mi contraggo più ho bisogno di spazio. E la sua è una poesia spaziosa e spaziale.. Concordo con la sua visione della poesia, sulla necessarietà e l’unicità della parola poetica che condensa e costringe, e Meth, anzi Simonetta è perciò attentissima alla cura dei dettagli linguistici. Emblematiche oltre che metaforiche le descrizioni dei corpi femminili, come nelle ultime due terzine della poesia dal titolo “Ma come faccio a capirti?..”
Monica
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