Opere Inedite
a cura di Luigia Sorrentino
—
“Se spesso faccio fatica a parlare dei poeti che amo e sento più vicini (che non sono necessariamente quelli che studio), faccio ancora più fatica a parlare di me. Dovrei sdoppiarmi, mettermi a fuoco nella giusta distanza, ciò che non mi è possibile. Posso solo raccontare come è iniziata la mia storia poetica, quando mi imbattei in Amelia Rosselli, mia prima lettrice e sostenitrice, che mi inviò a sua volta da Elio Pecora, presso il quale sono rimasto a lungo perché lungo è il tempo per apprendere. Era la fine degli anni Ottanta e a Roma abitavano molti poeti che potei incontrare e di cui sono divenuto amico, da Dario Bellezza a Valentino Zeichen, Biancamaria Frabotta, Milo De Angelis, che si era trasferito nella capitale con Giovanna Sicari. Queste frequentazioni, in un modo o nell’altro, hanno lasciato ulteriori segni sul mio percorso di formazione. I poeti che leggevo ai tempi dell’università erano soprattutto Baudelaire e Montale, in seguito sarebbero apparsi all’orizzonte Saba e Penna, ma provavo anche una certa attrazione per le geometrie narrative di Calvino. In un secondo momento è avvenuta la scoperta della poesia inglese: la generazione di Auden, e più indietro i vittoriani (Stevenson, Hardy, Tennyson, Swinburne) e più vicini a noi Gunn e Larkin. Anche una certa poesia latina ha fatto la sua parte. Sono stato per molti anni, come credo ognuno di noi, un lettore onnivoro, ma spesso alla poesia preferivo i libri in prosa scritti dai poeti: saggi, interventi critici, scritti di poetica, reportages, autobiografie, insomma tutto ciò che ruotava intorno alla scrittura in versi, l’accompagnava e la preparava. Ero e sono tuttora incuriosito dalle officine dei poeti, dal modo in cui hanno lavorato. E poi c’erano gli autori della generazione precedente a quella degli anni Settanta: erano ancora attivi Bertolucci, Fortini e Giudici, tra gli altri, a cui guardavo con un’attenzione costante. Quando ho iniziato a scrivere pensando a un potenziale lettore, la poesia mi è come sfuggita, così ho ricominciato da capo scrivendo poesie sulla poesia, su come la vedevo: un uccello d’acqua, qualcosa di liquido e di volatile, dietro la cui trasparente leggerezza ritrovavo le insidie della realtà. Una realtà che si manifestava nel corpo fin dal principio del giorno: la percezione dei risvegli, il riaccendersi delle immagini intorno a noi, questi sono stati i temi da cui sono ripartito. Avanzando nello spazio e nel tempo la visuale è tornata ad allargarsi, le immagini si sono definite meglio e si sono moltiplicate, via via accogliendo tutto quello che si poteva accogliere; ho cercato, per quanto possibile, di fuggire dalle tentazioni del poetico e della maniera, pur sentendo intorno a me un preoccupante vuoto di indicazioni critiche e l’impotenza di categorie ormai usurate. Il tempo della poesia è quello della lentezza, e a questa bassa velocità procedo senza fretta, aspettandomi ancora sorprese. Dalla vita, naturalmente.”
Roberto Deidier
—
Poesie inedite di Roberto Deidier
In cucina
.
La dubbia sincerità dei ricordi
Come la luce sposta le ombre
Da una parte all’altra del giorno.
Il tavolo è ancora sgombro
E la sedia è vuota.
Nervosamente il cane del vicino
Sale e scende per gradini di metallo.
Ascolto le unghie.
Su quella mensola c’era la tua foto
In una cornice rossa.
Sedevi sdraiato sull’erba.
Doveva essere un prato a primavera,
Soffioni e abiti leggeri.
Un buon modo per rodare il mattino,
Di qua e di là dallo spessore del vetro
Restiamo a guardarci
Facendo finta che il futuro non esista.
***
Piovasco
.
Ecco i giorni dell’acqua, la costellazione
S’apre a cascata, stinge il destino
O forse i sogni si scrivono con lettere
Trasparenti? Scende sul marciapiede
Come una felicità mancata:
La sua cadenza è un’ossessione.
.
Quante volte dietro i vetri assistiamo
A una congiura che ci sembra estranea –
Nuvole, diciamo, passeranno in fretta
Per dirigersi altrove e non sappiamo
E non vogliamo sapere, siamo solo
I testimoni del clima, una giornata
Adatta per spostare mobili,
Svuotare la memoria, serrare la cantina.
***
La casa
.
Il sole scende dietro i piatti sporchi.
Il lavandino è un porto di liquami.
E nella penombra nuova
L’occhio inventa le sagome
Di chi un tempo è passato in queste stanze.
.
Sono stata spesso ostile ai miei inquilini.
Mi sono aperta di crepe
Come fossi la faccia della morte.
Ho lasciato che le luci si spegnessero
Senza riaccendersi. I letti erano freddi
E al mattino nascondevo tutta l’acqua.
.
L’agente illustra i pregi,
Ampiezza metratura posizione.
Prezzo accomodante, eppure avverto
Arrendevolezze inospitali,
La fatica che costa appartenere.
.
Questa casa, sono stato questa casa.
Un tempo, una volta, una vita.
***
Mattino di sole
.
Lei sta seduta in mezzo al letto,
I piedi puntati alla finestra,
Quel letto coperto da un sudario
Che nessuno nella notte avrà indossato.
.
Sopra cornici tutte uguali batte un sole
Uniforme. È una figura assente,
Come in un gioco d’espressione.
Getta l’ombra dall’interno alla parete.
.
Una seconda finestra alle sue spalle,
Nude, non fosse per la sottana
Che certo doveva aver brillato
Di un altro rosso; e le mani trattengono
.
I ginocchi, cadono a croce sugli stinchi.
Ma è il suo volto, il volto senz’occhi,
Un buco nero tra l’orecchio e la fronte.
Io guardo avanti nella luce del tempo,
.
Sembra dire e intanto fissa un punto
A lei sola noto. Tra il corpo
E il giorno, dove non sa dormire
L’esperienza di un’arte proibita.
.
Quelle labbra serrate, ancora sporche
E lo sbavo del trucco sulla guancia.
***
Sotto il tendone
.
Questo cielo di plastica, e le stelle
Così uniformi non ingannano nessuno
E pure è un cielo e qui sotto un’arena
Come le mura basse di una città
In miniatura. Solo che è sempre notte
E migliaia di watt su circuiti colorati
Sospendono il tempo –
Quelle stelle sono più posticce –
Qui o fuori non importa, se oltre il nero
Gli anni luce vibrano galassie –
Stesse acrobazie nei volti.
.
E se ognuno è una notte nella notte
Io sono stato una finestra aperta
Su fuochi d’artificio. Restano intorno
Carrozzoni, gabbie. Fate attenzione,
Orsi e leoni, anche ammaestrati,
Mandano ombre troppo lunghe
Sui riflessi dell’alba.
—
Roberto Deidier (Roma 1965), dopo alcune apparizioni su rivista (“Tempo presente”, “Poesia”) è presente nel Secondo quaderno italiano di poesia contemporanea con la silloge Tra il corpo e il giorno (1992), poi inclusa nel suo primo libro Il passo del giorno (Sestante, premio Mondello opera prima 1995). Nel 1999 congeda in edizione d’arte, con una incisione di Giulia Napoleone, la sua seconda raccolta, Libro naturale. Nel 2002 pubblica il terzo libro, Il primo orizzonte (San Marco dei Giustiniani). È tradotto in varie lingue e presente in importanti riviste straniere come “World Literature Today” e “Nouvelle revue française”. Nel 2007 un gruppo di sue poesie è accolto nell’Almanacco dello Specchio (Mondadori). L’ultimo libro è Gabbie per nuvole (Empirìa, 2011), un insolito quaderno di imitazioni. Tra i suoi libri di saggistica si ricordano Le forme del tempo. Miti, fiabe, immagini di Italo Calvino, Le parole nascoste. Le carte ritrovate di Sandro Penna, Il lampo e la notte. Per una poetica del moderno, tutti editi da Sellerio.
Immagini veloci ma intense. Parole intermittenti, sguardo fulmineo che in fondo non cerca altro che uno scampolo di lentezza, la brezza di un respiro. Insomma, belle queste poesie!
splendidi versi….amo deidier…
Guarda, Roberto (posso permettermi il tu in questa occasione, spero), io sono una lettrice un po’ pigra, pr quanto riguarda la poesia. Ogni tanto sbircio gli inediti ma solo perché è la Sorrentino a filtrarli. Nel tuo caso è stato un colpo di fulmine. Ci sono un paio di immagini di un nitore espressivo e di una capacità evocativa per me sfolgoranti (in particolare: La dubbia sincerità dei ricordi/ Come la luce sposta le ombre /Da una parte all’altra del giorno, oppure Prezzo accomodante, eppure avverto /Arrendevolezze inospitali,/La fatica che costa appartenere). Complimenti.