Se n’è andata a 87 anni Anita Galliussi Seniga, donna tenera e tenace che aveva attraversato gli orrori della Russia di Stalin e del Fascismo.
Il ricordo di MAURIZIO CAPRARA
Anita Galliussi Seniga era una persona buona e gentile. Per ricordarla, ho pensato di riscrivere qui quanto sognava nel 1936, a poco più di dieci anni, e che appuntò in una pagina del suo libro “I figli del Partito”: “Mosca, 22 agosto. Da grande… voglio fare l’aviatrice. Le mie compagne di Ivanovo conoscono questa mia passione e mi chiamano liotcik, cioè pilota. Mi sono lanciata col paracadute da una torre alta venticinque metri costruita nel Parco di cultura e di riposo di Mosca. A dire il vero in cima alla torre, con tutte le cinture già allacciate e con lo sportello della piattaforma di lancio aperto, ho avuto un attimo di esitazione. Sotto vedevo la mamma, piccola, che mi attendeva. Ho fatto un passo nel vuoto e per brevi attimi sono caduta a peso morto, poi il paracadute ha rallentato la discesa. E’ stata un’esperienza meravigliosa”.
Se n’è andata un’ altra delle persone che hanno attraversato dolori e tragedie del Novecento e si sono dedicate a farli conoscere nella speranza che il futuro non porti a ripetere gli stessi errori ed orrori. «Perché i giovani sappiano e gli anziani ricordino», c’ era scritto in apertura sui libri di «Azione comune» che Anita Galliussi Seniga, spentasi a Roma a 87 anni, diffondeva nel 1962 con suo marito Giulio per dare luce a pagine di storia tenute in ombra. Per esempio, la rivolta di Kronstadt che nel 1921 in Russia portò al massacro marinai che avevano creduto in una democrazia dei Soviet e non volevano una dittatura. Seniga pubblicava quei libri con i soldi che aveva sottratto nel 1954 ai fondi inviati dall’ Unione sovietica al Pci. E male non sarebbe che i giovani sappiano e gli anziani ricordino di avere avuto come connazionale un’ italiana così. Figlia di un comunista perseguitato dal fascismo, Anita fu costretta a sei anni a fuggire dall’ Italia. La sua prima elementare cominciò a Udine, proseguì a Parigi, terminò a Mosca. In Urss, si trovò tra i figli di europei braccati o uccisi dal nazi-fascismo ai quali Stalin offrì rifugio per controllare i partiti comunisti stranieri. Per Anita significò da una parte sollievo, dall’ altra aver a che fare con «la terribile Traumann», istitutrice che perquisiva i cassetti delle bambine per portar via le bambole, «giochi borghesi». Poi, in attesa di lettere del padre da celle italiane, il percepire lo stringersi intorno a sé della morsa staliniana su ogni dissenso. Da una pagina del suo vivido libro-diario “I figli del partito”: «1937. Ivanovo, gennaio. La mia amica Margaret è stata trasferita in un altro istituto. La Svoboda ci spiega che i suoi genitori, importanti dirigenti del Partito comunista tedesco e del Komintern, sono stati arrestati a Mosca». Secondo Anita suo padre, ucciso dai fascisti, era stato ri-catturato su segnalazione del Pci. I dolori non le tolsero la tenacia, da socialista libertaria, di battersi contro soprusi e dittature.
Maurizio Caprara (Corriere della Sera, 15 settembre 2012)
http://www.iljournal.it/2012/omaggio-a-una-donna-coraggiosa/389353