La verità della poesia
di Carlo Bordini
Dopo la scomparsa di Zanzotto e di Pagliarani è morto il 14 di questo mese, nella sua Bologna, a 89 anni, quello che può essere considerato l’ultimo dei grandi poeti italiani del secolo trascorso: Roberto Roversi. Personalità combattiva e insieme appartata, e quanto mai generosa, partigiano in Piemonte, autore di alcune delle più belle canzoni di Lucio Dalla, legatissimo alla sua idea di indipendenza (fondò la sua Libreria Palmaverde, cenacolo, tra l’altro, di giovani poeti), ha seguito un percorso poetico di altissimo valore e può essere considerato uno dei grandi poeti della nostra epoca. Fu protagonista negli anni ’50 della rivista Officina, con Pasolini Fortini e Leonetti (per conoscere questa esperienza è opportuno leggere il bel libro di Gian Carlo Ferretti sull’argomento) e pubblicò nel 1965 con Einaudi il libro di versi Dopo Campoformio.
Nel 1969 vi fu una svolta nella sua vita letteraria: rifiutò di pubblicare in volume, con un grosso editore, le Descrizioni in atto, e ne fece un’edizione ciclostilata, poi ripetuta con i successivi aggiornamenti, che inviava come un dono a tutti quelli che ne facevano richiesta. Un’idea di diffusione della poesia (“la ricerca… di un nuovo canale di distribuzione della comunicazione; un canale diretto, meno viziato dal consumo o da ogni ingorgo programmato”, ebbe a dire anni più tardi in una conversazione con Gian Carlo Ferretti), che risentiva chiaramente dell’utopia sessantottesca, ma che si legava anche a quella che era sempre stata la sensibilità di Roversi e alla sua passione civile.
Le Descrizioni in atto furono poi pubblicate a stampa soltanto nel 2008, in un volume dovuto alla sensibilità e all’impegno dell’editore Luca Sossella, col titolo tra il dimesso e l’ironico Tre poesie e alcune prose, titolo che testimonia la modestia sotto cui si nascondeva la radicalità e la lontananza da ogni esibizionismo dell’autore, e l’istintiva diffidenza per il narcisismo che molto spesso caratterizza il mondo della poesia.
Si tratta in realtà del volume più completo, anzi, dell’unico volume completo sull’opera di Roversi (Roberto Roversi, Tre poesie e alcune prose, Luca Sossella editore, prefazione e cura di Marco Giovenale, con una nota di Fabio Moliterni). Esso comprende le tre raccolte poetiche Dopo Campoformio, Descrizioni in atto, Il libro paradiso, e diverse prose tra cui la notevole risposta a 10 domande su capitalismo e letteratura, pubblicata nel 1964 dalla rivista Nuovi argomenti.
Il centro del libro sono le Descrizioni in atto, che rappresentano una svolta rispetto al neorealismo che caratterizza Dopo Campoformio. Possiamo dire (almeno è il giudizio di chi scrive), che con questo testo Roversi supera il neorealismo (cosa che era necessario fare) in modo molto più alto e più incisivo di quanto non sia riuscito a fare il Gruppo ’63. Si tratta di un testo rapsodico che raduna e capta tutti gli echi e i rumori della società italiana; a me personalmente il suo ritmo ha fatto pensare alla Rapsodia in blu. Poesia in cui è difficile stabilire lo stretto confine tra ironia e visionarietà, una visionarietà ironica e beffarda, e, come sottolinea Moliterni, antilirica e non antiletteraria, in cui la poesia civile si tinge di motivi e di atteggiamenti che ricordano le avanguardie classiche molto più che le troppo facili reiterazioni delle neoavanguardie. Una passione che fa della freddezza e dell’impersonalità lo strumento per raggiungere il calore massimo, mostrandoci l’agghiacciante realtà di una tragedia. Una poesia non lineare, che sfugge da tutte le parti. Un elenco di eventi freddo come una lista della spesa, anche perché, come leggiamo ne Il Libro Paradiso, “il cuore è un muscolo”. Ed anche perché, come ha notò Massimo Raffaeli, “Per entrare in quel gorgo di violenza storica e politica lo sguardo del poeta ha bisogno di ritrarsi o meglio, paradossalmente, di entrarvi al solo scopo di straniarsene”.
Roversi è quindi uno straordinario descrittore della realtà contemporanea. Una descrizione in cui il dolore, la commozione non sono enunciati, ma parlano da soli, vengono espressi da una serie di voci che ci colpiscono. E in cui sperimentalismo e realismo hanno trovato una sintesi che fa pensare alle vecchie avanguardie. Negli ultimi anni della sua vita Roversi ha lavorato a una gigantesca opera, L’Italia sepolta sotto la neve, che ha pubblicato a pezzi, man mano che la scriveva, su riviste anche molto piccole e a volte di scarsa tiratura, dimostrandosi fedele alla sua tendenza alla marginalità. Marginalità che non gli impedisce di avere un ruolo centrale. Si tratta di un’opera che aspetta ancora un editore. Roversi mi disse per telefono di averne stampate 32 copie; ci fu poi una ristampa di 20 copie, della quale, come testimonianza di una lunga frequentazione e di una grande sintonia, ho la fortuna di possedere un esemplare. E’ un immenso affresco che divaga in tutti gli aspetti dell’Italia contemporanea. Un’opera civile e visionaria insieme, che non interpreta ma mostra. Forse l’opera più complessa, appassionata, totalizzante dell’Italia contemporanea, un’opera sterminata. E nello stesso tempo un libro in cui il linguaggio dilaga implode a volte impazzisce. Un’opera in cui si sprofonda, un po’ come succede a chi legge i Canti pisani. Un libro civile come lo fu la Divina Commedia.
Carlo Bordini, pubblicato su “L’unità” (16 settembre 2012)