Nello scaffale
a cura di Luigia Sorrentino
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Liliana Zinetti. Improvviso il mare
L’Arcolaio Edizioni 2012.
di Nadia Agustoni
Testi severi e controllati, ma di un dolore vivissimo, questi dell’ultima raccolta di Liliana Zinetti “Improvviso il mare” L’Arcolaio 2012, con interventi di Vincenzo Guarracino e Gabrio Vitali. Dopo la prova de “I Cipressi di Van Gogh” 2011 la voce di Zinetti è ancora più nitida e di una sincerità così insolita e composta che ci lascia per un attimo sgomenti. Sorprende lo scavo dei testi, a mio parere si sente in alcuni l’influsso di un poeta come Mario Benedetti, ed è anche questo testimonianza di una predilezione che si fa ricerca e si mette in gioco senza complessi. Filo conduttore è una distruzione avvenuta, che porta sommessamente ad esporre il proprio intimo nel suo nucleo meno difeso. La voce cerca nei nomi un’iscrizione che confermi la vita e un’immagine di futuro possibile in quel buio che pare parli una lingua oscura, di perdita e rose. Ma la rosa, simbolo mistico, tornando a più riprese in queste pagine, è l’apertura e lo spingersi dei petali alla luce. E forse qui c’è il senso di un ciclo di ritorno, coi fiori, che sbocciano e ripiegano, come se nel raccoglimento della notte trovassero nuova forza per il giorno. Se il dolore è incommensurabile, nel tracciato di questo libro, la casa e il disabitare sono immagini che ci portano a: “… mani di foglie accartocciate, rumore / di passi che vanno via. /Anche la parola ha gesti transitori/ e talvolta vive di omissioni.” Si avverte un io che si dibatte e parla intera la perdita che rompe l’ambiente conosciuto, il luogo dove la vita prosegue, ma come se le tende, i bicchieri, le sedie avessero ormai un tempo proprio, che sfugge, come le pareti stesse. In questo sconfinare Zinetti non cerca consolazione, trova però un’universalità che nella voce stessa assomma solitudine e forse un segno di riconoscimento, qualcosa che non è ancora scritto, ma si scriverà. Questo ci porta all’epigrafe di Fernando Pessoa scelta dall’autrice per aprire la raccolta: ” Chi non vede bene una parola, non può vedere bene un’anima”; e si parla di vedere non di guardare, perché chi vede non ci fissa in un sempre, ci lascia il dono immenso di cambiare, di essere qualcosa cui aspiriamo con ogni forza, com’è sempre in tutto quello che esiste.
Ringrazio Nadia in primis per la lettura e la nota e Luigia per l’accoglienza.
Un caro saluto
Liliana
Grazie a voi…
abbraccio la mia autrice e ringrazio molto la brava nadia e l’eccellente luigia.
gianfranco