Nello scaffale
Alekos Panagulis
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“Vi scrivo da un carcere in Grecia” (Rizzoli 1974) è il libro di poesie più famoso di Alexandros Panagulis (in greco Αλέξανδρος Παναγούλης), noto anche con il diminutivo di Alekos, (Αλέκος) (Glifada, 2 luglio 1939 – Atene, 1 maggio 1976).
Alekos, fu un politico, rivoluzionario e poeta greco, considerato un eroe nazionale della Grecia moderna. Alekos fu un intellettuale e attivista per la democrazia e i diritti umani, rivoluzionario in lotta, anche armata, contro il regime dei colonnelli.
A causa del fallito attentato contro il dittatore Georgios Papadopoulos, venne perseguitato, torturato e imprigionato a lungo. Si arrivò alla sua liberazione dopo una mobilitazione di internazionale. Panagulis morì in un misterioso incidente stradale. Nella foto è con la scrittrice Oriana Fallaci con la quale ebbe un’importante relazione affettiva.
Dopo “l’uccisione” di Panagulis (mai accertata) la Fallaci scrisse “Un uomo” raccontando la storia di Alekos Panagulis. Fu proprio la Fallaci, sua compagna di vita dal 1973 al 1976, a renderlo celebre con una lunga intervista in cui lo fece diventare in tutto il mondo il simbolo della resistenza ai regimi autoritari.
“[…] Alekos divenne il compagno della mia vita e un grande amore ci unì fino al giorno della sua morte che avvenne la notte del Primo maggio 1976 quando egli fu ucciso con un simulato incidente automobilistico, presto gabellato dal Potere come una banale disgrazia. Tuttavia, per capire meglio l’intervista che segue e alla quale egli teneva molto, sarà utile conoscere gli avvenimenti principali che costituirono l’ossatura della sua esistenza dal momento in cui quell’aereo giunse a Roma al momento in cui lo ammazzarono.”
Oriana Fallaci
Da: “Vi scrivo da un carcere in Grecia” di Alekos Panagulis , introduzione di Pier Paolo Pasolini
[…] “La grande poesia di Panagulis è quella che si è espressa attraverso la sua azione, o meglio, attraverso il suo corpo. Col suo corpo come strumento, egli ha scritto poemi non solo perfetti, ma altissimi.” […]
Pier Paolo Pasolini
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Comune il sangue
Catene legano le mani
mano destra e mano sinistra
le hanno unite insieme le catene
Insieme soffrono
insieme aspettano
insieme tentano
Mano destra e mano sinistra
nella lotta unite
Mani del popolo
per questo legate
Con lo stesso peso le catene
feriscono le due mani
Comune il sangue
il colore della vita
il principio del fuoco
il fondamento della lotta
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Giuramenti
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Dal buio sono usciti come ombre
e nel buio si sono riperduti
Ma non sono ignoti
Noi tutti li conosciamo
Le loro armi
hanno sputato fuoco su un inerme
sul corpo di un combattente
Hanno gettato i semi della morte
Ma è sbocciata l’ira
Il martellare degli spari
è diventato messaggio
è diventato fanfara
è diventato comando
Ha partorito nuovi giuramenti
giuramenti che essi hanno ascoltato
abbracciati ai singhiozzi
Giuramenti che sveglieranno
le Erinni addormentate
Sì amico
sì fratello
le Erinni si sono svegliate
e resteranno insonni fino all’ora
del santo processo.
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Come andavano i poeti
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Come andavano girando nel passato
i poeti
e come declamavano le loro verità
verità vestite di belle parole
dai racconti battezzate
così andavo girando anch’io
in luoghi sconosciuti
ma belli al pari dei nostri
e volevo credere che
non voltavo le spalle al mondo
Non viaggio io
parlo a me stesso
pei boschi i monti le valli
non viaggio io
sono le campagne che corrono
e il mio ricordo legato agli amici
che in qualche posto
stavano aspettando
di vedermi sbucare all’improvviso
ai giorni lontani in cui
con la sola forza dei sogni
costruivamo speranze
e il dolore
ci accompagnava ovunque sempre
Alberi montagne vallate viaggiano
ed io
legato a loro che soffrivano perchè soffrivo
che piangevano perchè piangevo
che invocavan sbarre perchè ero dietro le sbarre
Solo
Sono trascorsi anni e io
senza dimenticare il dolore
ma senza diventare
ingiusto a rievocarlo
per le stesse strade vo camminando
strade che soltanto
chi ha sofferto conosce
e la mia cella anelo con nostalgia
se penso che in quei giorni davo qualcosa
che tutti capivano
E quando penso a quello che so
che accade ora
ora più di allora
senza che gli altri riescano a capirlo
neanche a intuirlo
dico:
la mia fine verrà nel modo in cui vogliono coloro che hanno il
potere.
Parole di dolore senza spiraglio, ma più che dolore per sé, dolore fisico, è sofferenza per l’assenza di libertà, di giustizia, per l’impotenza ad affermare diritti e legalità; sofferenza che non indebolisce la lotta contro il potere cinico e cieco, lotta vibrante e lucida pur nella consapevolezza che è guerra persa…
Profetica e tremenda espressione di questa consapevolezza è il verso: “la mia fine verrà nel modo in cui vogliono coloro che hanno / il potere”. Nel modo e nei tempi.