E’ morto a Mosca a 80 anni Vasilij Belov, uno tra i maggiori rappresentanti della cosiddetta narrativa contadina al tempo dell’Unione Sovietica. E’ autore di racconti e romanzi brevi quali, tra gli altri, “Una torrida estate” (1963), “Vigilie” (1972), “Sull’acqua chiara” (1973), “Colline” (1973) e “L’educazione secondo il dottor Spock” (1978).
Con il romanzo “Una tra mille” (1986) Belov si discostò dai temi rurali, analizzando il comune cittadino alle prese con la burocrazia e le angosce della vita quotidiana nella Russia comunista. Nel romanzo “L’anno della grande frattura” (1989) è tornato di nuovo protagonista nella sua scrittura, il mondo contadino, del quale l’autore dipinge il tragico destino nel periodo della collettivizzazione.
Nato a Timonicha (Vologda) il 23 ottobre 1932 da una famiglia di contadini, Belov iniziò a lavorare come operaio per esordire in letteratura nel 1952 con un ciclo di poesie apparse sul giornale
“Sovetskij sport”. Per un decennio scrisse esclusivamente poesia e dal 1959 al 1964 frequentò a Mosca l’Istituto di Letteratura. Nel 1961 il racconto “Il villaggio Berdjaika”, apparso sulle pagine
dell’almanacco “Nas Sovremennik”, attirò su Belov l’attenzione della critica, che lo annoverò tra i più promettenti giovani scrittori.
Nel 1962 fu accolto nell’Unione degli Scrittori dell’Unione Sovietica, pubblicando due antologie di racconti, “Una torbida estate” (1963) e “Le anse del fiume” (1964), incentrati sulla vita nelle campagne del nord della Russia. Nel 1968 cominciò a pubblicare sulla rivista “Novyj Mir”.
La raccolta “Ordinaria amministrazione” e “Racconti del falegname” consolidarono la sua fama quale rappresentante della prosa “campagnola”, con una forte presenza di elementi lirici. A Belov interessano le sorti private del contadino russo, il suo mondo spirituale, le sue tradizioni, raccontate con calore e un velo di nostalgia per un mondo patriarcale autentico e umano.
Negli anni Settanta il lirismo di Belov cede il posto a toni più drammatici, raccontando la distruzione del sistema di vita patriarcale e l’annichilimento fisico del contadino negli anni della collettivizzazione forzata.