Nello scaffale, Katherine Mansfield – nel 90° anniversario dalla scomparsa –
a cura di Luigia Sorrentino
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La figlia del sole, Katharine Mansfield raccontata da Nadia Fusini (nella foto)
di Elena Petrassi
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Come un’onda che appare e scompare, di tanto in tanto il nome e l’opera di Katherine Mansfield appaiono nelle acque, peraltro placide e sin troppo domestiche, dell’editoria italiana. Dopo le prove magistrali di Pietro Citati con Vita breve di Katherine Mansfield e Da una stanza all’altra – (Stanza d’affitto) di Grazia Livi, pubblicati entrambi nei primi anni Ottanta, poco altro è stato detto di questa scrittrice singolare e appassionata, considerata maestra nell’arte del racconto e inserita in un Pantheon dove troneggia in compagnia di Anton Cechov e Raymond Carver.
È uscito da poco un libro a lei dedicato La figlia del sole. Vita ardente di Katherine Mansfield di Nadia Fusini – Mondadori 2012 € 18. Convinta che fosse un saggio biografico-letterario mi sono davvero stupita quando iniziando a leggere ho scoperto che si trattava di un romanzo. Ma Nadia Fusini aveva appena pubblicato, nell’autunno scorso, una nuova edizione di Nomi che è arrivato, in questa nuova edizione, a 11 scritture femminili, perché si è aggiunta questa volta anche Anna Maria Ortese. Ma allora come mai Fusini non ha scritto anche della Mansfield in questo libro, imperdibile per chi voglia esplorare il mondo, l’opera e le voci creative di alcune tra le maggiori scrittrici e poetesse degli ultimi due secoli (Ortese, Blixen, Dickinson, Woolf, le sorelle Brönte, Mary Shelley, Yourcenar, Bishop e Moore)? Così in maniera irrelata e con questa domanda in testa ho letto il romanzo, che è un bel romanzo e ho molto ammirato la maestria, e un po’ anche l’astuzia, della Fusini nel dedicarsi alla Mansfield. La voce narrante di questo libro è un uomo in fuga dalla città e dalla sua stessa vita che è alla ricerca di concentrazione e ispirazione per scrivere un racconto che immagina uscirà postumo come tutta la sua opera. L’unico legame con il mondo è la sorella Zoe, interprete simultanea, che padroneggia numerose lingue, le parla e le traduce, ma non le scrive. Dunque un’impossibilità della scrittura, subito dichiarata, è la prima cornice che isola la Mansfield dal mondo creativo di Fusini. Una lingua inventata, il ritorno al tempo dell’infanzia, sono due altri vincoli che il narratore si pone per affrontare la Mansfield che idolatra. Così quando la sorella, bella, intelligente e casta, lo raggiunge, nello splendido isolamento della villa al mare, circondata di alberi e fiori, dove lui vive, inizia a raccontare proprio a lei la vita della scrittrice che lo ossessiona. La convinzione di fondo, che emerge da questo approccio che è anche il mio, è che di uno scrittore la vera biografia è l’opera perché nell’opera vi sono sempre segni e incursioni di quella che è stata la vita dell’autore. Anche se la vera traccia da seguire per svelare il mistero di questa scrittrice è il nome, nome che ha cambiato più volte, nome che non è quello paterno, Beauchamp, né tanto meno quello del marito Murry. Anche il narratore e la sorella usano nomi fittizi, Franny e Zoe, che sono i due protagonisti di un libro di Salinger che la sorella ama moltissimo. L’ammirazione nei confronti della Mansfield nasce dal riconoscimento di un’affinità profondissima e dalla malattia, la scrittrice era tisica e di questo morì, lo scrittore impotente è malinconico e per questo a digiuno di vita. La narrazione della vita di Katherine è alternata a vecchie fotografie in bianco e nero che mostrano una ragazzina morbida e un po’ paffuta trasformarsi nella donna elegante e affilata che abbiamo imparato a conoscere. Una donna sofisticata ed elegante che colpisce e suscita invidia, per come scrive però, anche in Virginia Woolf che fu con la Hogarth Press, tra i suoi primi editori. È la ricerca della salute che spinge la Mansfield a viaggiare tra la fredda e umida Inghilterra alla Francia del sud, dove scriverà alcuni dei racconti migliori, alla Svizzera, per cercare sollievo per i polmoni malati. La ricostruzione fatta dalla Fusini attraverso il suo alter ego letterario è essenziale e completa. Per chi non conosce nulla della Mansfield è possibile farsi un’idea di vita e opera, e ci si può fare un’idea anche delle passioni filosofiche, io suppongo anche di Fusini e non solo del narratore, soprattutto le filosofie orientali, il sufismo e la teologia ebraica. Di ammirazione in ammirazione, che “è una buona terapia dell’invidia”, in poche ore ripercorriamo la vita della Mansfield e scopriamo anche alcuni episodi, tra cui la morte precoce dei genitori, di questa coppia simbiotica e a tratti un po’ incestuosa, di fratello e sorella. Anche la Mansfield aveva un fratello amatissimo la cui morte fu determinante per riportare in vita il mondo dell’infanzia che per lei è il mondo creatore. Il temperamento contraddittorio e infuocato non le lasciava un attimo di tregua, il desiderio di una vita “normale” in una bella casa con il giardino, porcellane, libri e gatti, è il desiderio di una donna che non conobbe se non per brevi periodi, questa dimensione domestica e quieta della vita. Ma il suo essere scrittrice in un’epoca di pre-femminismo la condannava in qualche modo alla rinuncia di una vita femminile. “Lo scrittore si aspetta che la lingua gli apra un’altra dimensione, differente”, il narratore sottolinea questa fede nella scrittura che segnò tutta la vita breve e ardente della Mansfield. Solo negli ultimi giorni di vita a Fontainebleau nella comunità del controverso Gurdjieff, Katherine trovò un po’ di pace e prese commiato dalla vita tracciando su un taccuino, come racconta la Livi, le sue ultime parole in russo: carta, cenere, legna.
Lo straordinario percorso artistico della Mansfield e delle sue illuminazioni è raccontato con dovizia di particolari, perché Nadia Fusini ha saputo scegliere per il suo alter-ego narrante i momenti topici della vita di Katherine, come la visione dei Girasoli di Van Gogh alla grande mostra dei post-impressionisti e che le tornerà in mente poco tempo prima di morire. Ogni cosa, ogni persona, ogni avvenimento hanno per la Mansfield il nome giusto, e lei è capace di entrare negli oggetti e nelle creature sino a sentirsi “più anatra dell’anatra” e come “l’ostrica che produce la perla nel suo segreto”. In un’osservazione di Zoe viene svelato il segreto dei nomi che è uno dei perni della visione narrativa e critica di Nadia Fusini: “.. i nomi sono il fondamento della realtà, le forme archetipiche che informano di sé le singole esistenze; bisogna scoprirli, i nomi, perché finché non li si scopre, le singole esistenza soffrono. I nomi non amano vivere in condizioni di latenza, aspirano a essere rivelati…”. Il lato mistico di KM, così spesso firmava le lettere Katherine, viene svelato e rivelato passo dopo passo, sino a far dire al narratore che “a tenerla in vita è la volontà di scrivere, è per questo che vorrebbe vivere per sempre. Anzi “sempre non le pare abbastanza. E a tale scopo si confina sempre più spesso nel monastero dell’immaginazione”. Da questo luogo di reclusione volontaria, l’unico luogo ormai raggiungibile è quello che il poeta Bonnefoy chiama l’arrière-pays, “uno spazio inventato, a metà tra il mondo reale e il mondo immaginale”. Il luogo dove chi scrive passa la maggior parte del suo tempo e dove continua a vivere anche dopo la morte, vivendo nei libri e nelle parole scritte. Esiliata dalla vita, nella creazione letteraria anche Katherine Mansfield continua a vivere e i suoi libri ci parlano con una modernità straordinaria. Sarà interessante vedere se, dopo questo romanzo che si chiude con l’invito a scrivere il racconto sulla “figlia del sole”, Nadia Fusini vorrà affrontare dal lato critico l’opera della scrittrice neo-zelandese. Forse, come ipotizzavo, questo è solo un lento avvicinamenti, un accerchiamento della voce narrativa che più la intriga e le è vicina.
Il 9 gennaio è il novantesimo anniversario della morte di KM, è bello ricordare oggi che la felicità è “quando la vampa della sensazione restituisce la realtà come una conoscenza infuocata”.
P.S. per ulteriori informazioni e considerazioni sulla Mansfield rimando il paziente lettore alla voce a lei dedicata che ho scritto per l’ Enciclopedia delle donne.