Di Winston Churchill si sapeva che era stato un abile politico, un ufficiale, un giornalista, uno scrittore e uno storico. Ma ora si scopre anche la sua vena poetica: un suo componimento inedito dedicato all’impero britannico verrà messo all’asta in primavera a Londra. Si tratta dell’unica poesia dello statista arrivata sino a noi ed è stata scoperta da Roy Davids, un commerciante di libri dell’Oxfordshire, Inghilterra centrale. Il componimento, dal titolo “Le nostre moderne parole d’ordine”, è stato scritto con una matita blu su due fogli nel 1899-1900 quando Churchill era un giovane ufficiale. Ma non ha comunque convinto i critici, che lo hanno giudicato dilettantesco.
“E’ retorica ma non certo poesia”, ha detto Robert Potts del Guardian. Ma la poesia interessa molto i collezionisti: viene valutata intorno alle 15 mila sterline (17 mila euro).
Personalitaà ricca e multiforme, Churchill si dedicò a diversi “pastime” durante la sua vita. Grande appassionato di poesia – “le parole sono le uniche cose che durano sempre”, affermava – fu però la pittura a conquistare il suo cuore. Un vero e proprio ‘love affair’ nato nel 1916, quando la guerra infuriava e l’allora giovane primo Lord dell’Ammiragliato si trovava a fare i conti con il disastroso fallimento della spedizione dei Dardanelli. I columnist del Times avevano lanciato anatemi contro le “vane morti di tanti soldati britannici”. Il Morning Post lo aveva bollato come un soggetto da “melodramma”, un vero e proprio “megalomane”. E il primo ministro Asquith si doleva: “E’ un peccato che Winston non possieda un miglior senso delle proporzioni”.
Fu allora che la compassionevole Musa decise di scendere nella vita di quel quarantenne umiliato e sprofondato nella più cupa depressione. La pittura diede a Churchill grande equilibrio e tranquillità interiore e lui si tuffò tra i pennelli con la stessa foga con cui, da giovane, lottava contro la balbuzie, ripetendo ad alta voce le orazioni di Lord Chatham.
Per il ‘vecchio leone’ fu soprattutto un terapeutico passatempo, come lo definì lui stesso nel phamplet scritto per invitare i dilettanti del pennello a non aver paura, tuffandosi in una meravigliosa “gita nella scatola dei colori”. Dalla morte di Churchill, nel 1965, le sue tele hanno fatto il giro del mondo, da Londra a San Francisco, da Tokio a New York, anche se il giudizio degli esperti sulle sue opere non è mai stato unanime. Eric Newton, critico d’arte del ‘Sunday Times’, nel 1949 lo giudicava “un tecnico dall’abilità superiore alla media”.
Il biografo Robert Payne gli rimproverava di saper dominare solo i grandi spazi, mentre i piccoli lo disturbavano: “l’umanità – commentava sardonico – ha un posto molto angusto nella sua immaginazione”, sottolineando la sua grande attrazione per i paesaggi dovuta forse alla sua scarsa capacità come ritrattista. Ma Churchill non ne aveva mai fatto mistero: “dipingo gli alberi perché non si lamentano mai”. E in fondo, come chioso’ l’ editor della rivista ‘Art news’, Arthur Frankfurt, forse non raggiunse vette eccelse, ma certo “nessun pittore riuscì a fare in modo così eccellente il primo ministro”.