Nello scaffale
a cura di Luigia Sorrentino
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La preistoria acustica della poesia, di Brunella Antomarini, Nino Aragno Editore, Milano 2013 (euro 10,00)
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Scopo di questo nuovo saggio di Bunella Antomarini, è quello di considerare la complessità dell’arte della poesia che si può comprendere tracciandone le radici antropologiche e i suoi sviluppi storici non lineari, a partire dall’ambiente orale in cui l’esigenza di trasmissione di credenze si esprime attraverso linguaggi tituali e corporei, per arrivare alla scrittura come auto-esibizione estetica.
Il saggio studia la poesia come se si trattasse di un soggetto estraneo, da capire e descrivere come fenomeno, analizzandone le modalità sonore e musicali e la loro trasposizione sulla visività della scrittura. La parola poetica risulta così essere quella che contiene un’intrinseca ‘traduzione’ in altri linguaggi, in altre lingue. In questa prospettiva il fenomeno poetico non si riduce a una definizione e a un’essenza, ma se ne esamina la complessità e il valore etico e cognitivo del dire.
Passaggio al verso poetico
Noi non vogliamo distrarci con una passeggiata nella «foresta dei simboli» perché possediamo una foresta più folta, la divina fisiologia, l’infinita complessità del nostro oscuro organismo.
(O. Mandel’stam, Il mattino dell’acmeismo)
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L’emistichio è il fossile del respiro limitato della poesia. Ora, leggere versi moderni senza una sovrapposizione simbolica, è un esperimento legato all’ipotesi della diretta eredità rituale/corporea della poesia, che non presuppone nessuna responsabilità semantica. Anche quando la scrittura s’impone sul componimento ritmico poetico e anche quando perciò la simbolicità vi penetra, comunque resta delimitata e riportata continuamente a un livello materiale, motorio e sensoriale. Mentre il verso non va oltre un certo numero molto limitato di clusters acustici (due: bilanciamento; tre: azione drammatica che comincia, si svolge, finisce), l’occhio raccoglie progressivamente le immagini che si accumulano per formare un «quadro». Ma resta fermo che il «quadro» visivo è a sua volta confinato in una sonorità formulaica: la spazialità ottenuta con la scrittura non cede mai del tutto nella poesia a esigenze discorsive. L’oscurità semantica dunque è a un primo livello dovuta alla sequenza temporale senza centro spaziale (la catena delle immagini), a un altro livello è dovuta alla sovrapposizione della spazialità. La lettura temporale di una poesia agisce recuperando di un passo l’immagine appena passata e aggregandola con quella che segue, ma non può, né le è necessario, raccogliere tutte le immagini in un «quadro» globale, una esaustività compatta. D’altra parte la poesia moderna ricorre spesso a un piccolo errore metrico, una piccola fuga dalla grammatica o dalla sintassi linguistica, una destabilizzazione semantica, stratagemmi che servono a dare all’ascoltatore-lettore la sensazione che qualcosa stia accadendo. La poesia a volte viene decretata grande per una imperfezione tecnica che macchia il componimento sul foglio davanti a noi e che ci fa partecipi di qualcosa che prima non c’era; un po’ applica regole un po’ scopre una contingenza che casualmente si insinua nel verso: tra diacronia melodica e sincronia armonica, tradisce aspettative e provoca sorprese e vogliamo sapere come accadranno questa volta.
E il sacrale silenzio richiesto dalla recezione della poesia (e dall’arte) non è che la protezione dal significato ridondante, la richiesta di leggere come fosse ascoltare, di capire come fosse muoversi. Il silenzio dell’ascolto musicale o poetico rappresenta la pausa necessaria a un cambiamento di paradigma cognitivo. Abbiamo bisogno di un po’ di tempo per uscire dalla mente concettuale-bicamerale e tornare in quello stato di coinvolgimento globale, guidato dal corpo, seguito dalla mente.
Brunella Antomarini, tratto da: “La preistoia acustica della poesia” Nino Aragno Editore, Milano, 2013
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Brunella Antomarini lavora con le filosofie contemporanee che si occupano delle modalità della conoscenza ordinaria. Tra le sue pubblicazioni più recenti: “L’errore del maestro. Per una lettura dei Vangeli” (Roma, 2006), “La natura come caso speciale della tecnica”, in “Il copo e la tecnica. Intorno a un saggio inedito di Pavel Florensky”, a cura di B. Antomarini e S. Tagliagambe, (Roma, 2007), “Pensare con l’errore” (Torino, 2008) ed inglese: “Thinking Trough Error”, Idaho Falls 2012, “The Maiden Machine, Philosophy in the Age of the Unborn Woman” (New York 2013). Insegna Estetica e Fenomenologia alla John Cabot University di Roma.