Ninnj Di Stefano Busà, “Eros e la nudità”

L’Eros nella reinvenzione del linguaggio poetico

Nota critica di Walter Mauro

Questa nuova raccolta di Ninnj Di Stefano Busà che s’identifica e si configura come una sorta di rivisitazione dell’Eros, si fa carne e sangue del suo tempo e del suo confine.

Vi è inquietudine oltre l’estremo limite della metafora e del simbolo, che si spalanca al suo bozzolo di felicità terrena, si presenta di primo acchito come un esercizio diretto gioiosamente alla vocazione dell’amore. Si articola in un linguaggio che sviluppa tutto il suo apparato linguistico e la sua non casuale distinzione, tra lo spazio indifferente ad ogni slancio o bagliore del cuore e la sua connotazione vocativa all’amore, a difesa della morte: “l’amore non è comodo né facile/ ci arde solamente dentro come scintilla vitale,/ ci scorre nelle vene come istante perfetto,/ nell’arroganza di solitudini abissali”.

Devo ammettere che questo lirismo mi ha colpito, perché molto diverso da tanta simbologia pseudoamorevole. Sono versi interessanti, smaliziati da una sigla autonoma e molto efficace che li rende profondamente vergini e umani all’Eros. C’è un lirismo acceso, il senso del tempo dolcemente rappreso nelle sue qualità fenomenico/temporali. L’amore va ricercato dentro “un battere d’ali/ in un remoto altrove,/ oltre i giorni quieti”. Intensi anche questi versi: “L’amore trova sempre l’orlo dell’abisso/ in cui morire e poi risuscitare”.La sottesa umanità e sensibilità dell’espressione amorosa si consegna, tout court, sfrangiata da ogni malizia alla fuga del tempo e giunge al lettore come tracciato di vita essenziale, nel quale la fine non ci ghermisce del tutto, perché trova referenti che tutelano la vita dall’indifferenza e dalla impietosa, ombrosa sterilità che rimanda ad altra morte, istruendo un percorso letterario e umano quale speranza che, in modo suadente e senza sovrastrutture, riesce a cogliere la stagione dei sentimenti, dotandola di una nuova e illuminante connotazione verbale, che apre a prospettive nuove l’immaginario emozionale, riuscendo a coniugare la relatività della materia ad una più coinvolgente dimensione di spazio/atemporale: “Gioca a gatto e topo l’Eros/ cerca nel tuo corpo la ragione vitale dell’esser(ci)/ si commuove nella compenetrazione amorosa,/ nell’abbaglio del desiderio”.

In questa silloge, mi pare che si configuri una nuova e più esaltante accensione della materia amorosa. L’intreccio di due fusioni travolge il tema immaginifico ed espressivo per essere peculiare alla modulazione del canto. L’osmosi dei corpi che modulano l’aspetto più misterioso dei destini individuali si fa carico in questa raccolta di apparire in congruità con le esaltazioni vocative di un Eros fatto a immagine e somiglianza di tratti onirici: “…e possano le voci continuare a cercarsi/ al di là della fusione momentanea, /come la sete l’acqua”.

Vi è un punto altissimo di questa poetica che sintetizza la capacità dell’auscultazione interiore, oltre che materica dell’Eros: “Fomentare la luce, immaginarla/ tra le pieghe del corpo: scivolarvi dentro, intonarvi una canzone mai indossata/…/ oltre i giorni quieti della nudità,/ come se fosse l’ultima volta”.

Ritorna la parola a riaccendere il fuoco, a delibare gioia, a torturare la voluttà, tentarla, entro i limiti desueti della casta e pura nudità, oltre la sete e la vocazione attitudinali di essere vivi: “…e ci ammonisce, amore/ come una lanterna che ha bruciato tutto l’olio/ e consuma le ultime gocce”.

Dinanzi a una tale strategia espressiva la parola è riconducibile alla variazione dei suoi significati, indaga nelle diverse dimensioni dell’io, si proietta nella visionarietà e nelle innumerevoli metafore amorose. L’imago delinea una sequenza di forme, di esperienze che inglobano la concatenazione necessitante dell’evento amoroso. Tutta la silloge è fruibile e sa guidare alla lettura che sempre mira alla scomposizione degli elementi in prossimità di ogni storia d’amore. Il pensiero si sviluppa per sensazioni che mettono a nudo l’anima, sicché ogni verità dell’essere si sintetizza come rivelazione di sé e dell’altro di sé, nel moltiplicare la presenza delle ragioni intime che espongono un sapientissimo gioco di confluenze nella conquista delle emozioni. Qui siamo oltre il manierismo di tanta poesia odierna, vi è chiara e nitida la parola che indaga sulla capacità del rapporto d’amore attraverso la suprema luce della poesia ed entra, definitiva e felicemente risolta, nel raffronto fondamentale tra l’io e il “noi” superando la dualità, per giungere alla più alta conquista poetica. Il risultato è mirabile, sciamanico. È necessario prenderne atto: rimane sullo sfondo il dibattersi dell’io a fronte del suo meno indulgente oscuramento, dell’indefettibile ricognizione del magma che scandisce le modalità del “corpo” dando libero spazio all’impeto amoroso, come della dimensione che ne conserva il tono erotico e ne marca gli abbrividenti accumuli. Felicità edotta e sedotta con evidenti risvolti verso un’alterità che ricongiunge e s’interroga sui reali soprassalti di memoria, senza mezzi termini, solo si distingue per l’accumulo di sete nella voragine che giunge ai suoi più alti risultati, come si evince dagli esemplari due versi che ne sanciscono l’alta espressione lirica: “Una pur breve eternità cogliemmo da vertigine d’amore che vanisce”.

Da: “Eros e la nudità”

Gioca a gatto e topo l’Eros,
cerca nel tuo corpo la ragione vitale dell’esser(ci),
l’orchestrazione delle tante meraviglie
che lo governino.
Una sola ragione vi si stende,
un fluido che intrinsecamente
si commuove nella compenetrazione
d’amore, nell’abbaglio del desiderio.
***
Sorso d’Eros,
dono d’occhi che accende le tenebre.
Riposa nel silenzio e nella gioia,
quella vocazione inesprimibile di sensi,
il suo darsi in interezza, senza nequizie,
come librarsi in volo senza paracadute
e nello schianto donare ritmo e respiro
alle cose del mondo.
E possano le voci continuare
a cercarsi al di là della fusione momentanea,
come la sete l’acqua.
***

Fomentare la luce, immaginarla
tra le pieghe del corpo: scivolarvi dentro,
intonarvi una canzone mai indossata,
(udita solo in sogno):
un battere d’ali in un remoto altrove,
oltre i giorni quieti della nudità,
come se fosse l’ultima volta.
***

Senso e dissenso, un tempo furono più grevi,
ora saperti è ristoro, finestre spalancate,
tralci radiosi, profumi imposseduti
che transitano dalla pelle in senso ascensionale.
Interagisce l’emozione, emette segnali nuovi,
stami e foglie in assonanze d’echi
corteccia dolente ma non perdente ci sbalza
e ci ammonisce, come una lanterna
che ha bruciato tutto l’olio e consuma
le ultime gocce.

***

L’amore non è né comodo né facile,
ci arde solamente dentro come scintilla vitale,
ci scorre tra le pieghe come istante perfetto
nell’arroganza di solitudini abissali.

***

Mentono ora le tue notti, si allungano
sul selciato dormienti e ingioiellati
dell’oro della terra.
Tutto l’amore è in fuga da se stesso,
sul petto, solo qualche rara orchidea
sa il dolore rappreso nel sangue.
Spore in preda al delirio,
l’amore trova sempre l’orlo dell’abisso
in cui morire e poi risuscitare.

***
Mucchio d’ossa abbandonàti
a qualche raro momento di piacere.
Impazzano giunchiglie nei fossati
e l’acqua rigurgita d’insetti.
Non resta che la resa,
appena un’ombra un po’ arruffata
gioca coi fantasmi, chiamandoli per nome.
Un brivido di stelle,
un baratro di cellule viventi:
l’amore che più folgora.

di Ninnj Di Stefano Busà

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