Daniela Tomerini, “Cassetti”

Letture
a cura di Luigia Sorrentino

Cassetti, di Daniela Tomerini, Moretti e Vitale

Dal risvolto di copertina di Giancarlo Pontiggia

Un bimbo che mostra la sua nuova bicicletta a un albero, e gli parla, e lo abbraccia; una suora che vive sola, in un convento su un monte di un’isola lontana, e si sente libera, immortale; una macchina chiamata Filippo, molto più reale di tutte le macchine del mondo; le isole greche, con il loro sole fulgido e assoluto; e le pareti alte dei grattacieli di New York. E nuvole, e cieli, e aurore; negozietti di Chinatown, centri commerciali, stazioni; stanze dove arde il fuoco; oggetti di ogni tipo, domestici e bizzarri, che sembrano usciti da una storia di Alice. E quante valige, quanti cassetti – proprio come in uno spettacolo di magia – che si chiudono o si aprono, e nei quali è come rinchiuso un mondo che è insieme concreto e meraviglioso, visitato da angeli molto umani, o da amici speciali. Anche l’autrice di questo libro, al pari del «piccolo mago che vive in collina», gioca con le parole come fosse un bambino; anche lei, come Mary la sarta, confeziona le sue poesie senza prendere le misure, né fare prove, semplicemente aprendo il cassetto della sua mente, e mostrando ciò che contiene, nel suo labirintico stratificarsi di tempi e di luoghi, di figure e di apparizioni. «Avevo», «c’è», «c’erano, «ho visto», «ho avuto»: sono i verbi essere e avere, non a caso, i verbi-fondamento di ogni lingua, a primeggiare tra le pagine, insieme alle formule con le quali si vuole invitare chi legge («guardalo bene», «forse lo vedi», «lo dico anche a voi») a entrare in questo piccolo-immenso mondo in cui tutto si dà secondo le leggi della luce, del colore, dell’occhio che non si limita a guardare, ma si fa ciò che guarda. E ciò che si vede è un movimento verticale, che lega costantemente – con grazia lieve, delicata – l’alto al basso, il cielo alla terra, e si fa poco a poco umile canto alla vita, come quando l’autrice scrive: «fiocchi sacri cadono / su mani devote / in un giorno di pace». 

Cassetti
.

Lavorava nella mia città un uomo,
con la barba bianca e i capelli anche bianchi,
non era vecchio
dimostrava tutti gli anni che aveva
e di averli vissuti con pienezza.
Durante il giorno andava in ufficio
quando era libero dava forma ai suoi sogni.
Progettava e costruiva mobili.
Avevano forme bizzarre
erano fantastici e stupivano
come illusioni
pieni di colori
e di luci, quando li aprivi.
Da mesi preparava una grande credenza
con le ante viola e i piedini verdi
a forma di zampe di papera
si sentiva la musica
quando tiravi i cassetti.
C’erano nascondigli e doppifondi
all’interno di quei mobili
dove potevi mettere i tuoi segreti
chiudere le serrature e scordartene
come se non fossero mai esistiti.
È lì che ho lasciato il mio passato.
Nel mobile arancione che c’è in soggiorno.
.
Per Egidio Rossi
.

2

Una donna è seduta
in mezzo alla strada
una sedia di paglia
è il suo salotto
le mani in grembo
aspetta paziente
gli occhi bassi
non guardano il cielo.
Ha indosso una maglia arancione
e una gonna nera.
Io la vedo per un attimo
passando con il treno.

 

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3

Ombre sui muri
impiccate all’intonaco
che penzolano rigide
senza sforzo e senza motivo
in una notte gelata di vento.
Il sole le scongela e le stinge di luce
le fa scomparire per tutto un giorno.

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4

Tengo d’occhio le nuvole
che non partano
senza di me.
Preparano cavalli
che scalpitano scomposti
e carrozze che si sfasciano
in un attimo
elefanti con proboscidi
lunghissime
e cammelli con troppe gobbe
sulla schiena.
È un caravanserraglio
quel cielo d’agosto.
Che nessuno se ne vada
senza di me,
in un attimo sarò pronta.
Ma appena alzo gli occhi
tutti sono già partiti.

.

5
Si è rotto un otre di vino
al banchetto degli Dei
il cielo è tutto viola
colano le gocce sui palazzi
e li striano di porpora
gli alberi sono rosa
ma il mare scintilla di luce.

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6
Volare
non è dell’uomo
non si infrangono le leggi impunemente
la paura
è sempre in agguato
la sfida
è continua
la vittoria
non sempre è sicura.

Nessuno sa perché un aereo
voli nel cielo
qualcuno fa delle ipotesi
dei calcoli difficili
che non tutti comprendono
ma io non credo a quelle formule
credo solo ai miracoli.

POSTFAZIONE di Stefano Lecchini

Quando ripensiamo alle prose che Daniela Tomerini aveva raccolto, alcuni anni or sono, nei suoi Segreti per una vita di qualità, non possiamo fare a meno di riconoscere come in esse brillasse una serie di doni che ben pochi autori oggi, in Italia, mostrano di possedere: l’amore per la leggerezza e la gratuità di ogni gesto, una fresca vena inventiva capace di illuminare con grazia il rovescio imprevedibile delle cose, un’inesauribile vena di stupore da cui farci scortare oltre le pastoie e le strettoie dei momenti disertati dall’incanto.
Le poesie con cui la Tomerini torna oggi a parlarci ripresentano uno ad uno questi doni. Deposta, o quantomeno ulteriormente rastremata, la sottilissima armatura narrativa di quelle storie, i versi che questi Cassetti ci offrono brillano della stessa freschezza e levità contagiosa: mentre affrontiamo i fulminei “incontri” della prima sezione, abbiamo il sospetto che i profili concretissimi e magati, che salgono (o scendono) verso di noi dal cuore della pagina, siano altrettanti numi evocati al mero scopo di dare aria, di dare respiro, alle nostre esistenze: un uomo non vecchio ma “con la barba bianca e i capelli anche bianchi” che, quando è libero dagli impegni d’ufficio, dà “forma ai suoi sogni”, e costruisce mobili ove racchiudere e liberare musica e segreti; una sarta che, cucendo, rimette insieme i pezzi del suo cuore; un bambino che parla agli alberi e li abbraccia – come forse Nietzsche, a Torino, aveva abbracciato, piangendo, quel cavallo umiliato…
Talvolta, incontriamo esistenze ferite, sconciate: circondate da un filo spinato che dovrebbe difenderle da tutti i possibili attriti del mondo. Malgrado la propria naturalissima vocazione alla leggerezza, la Tomerini non ignora quanto, nella vita, possa risolversi in un’insolvenza offensiva: le ombre restano sempre in agguato, fuori e dentro di noi (“Un po’ sbiadita / è la mia vita / come le ombre del mattino // che strisciano / sull’asfalto / e si appiattiscono contro i muri // che alcuni giorni / sono nere, enormi e imprendibili / altre volte sono grigie, inconsistenti / e si confondono / con certe idee che mi vengono in mente”), e l’esito, talora, è inappellabile (“qualcuno ha già scelto per te / una medaglia di marmo bianco / come il pavimento a cui davi la cera / e il davanzale che hai scavalcato / prigione senza sbarre da cui sei fuggita / nel sole opaco di un pomeriggio di noia”).
Pur tuttavia, questi versi non conoscono la resa alle ragioni del Nulla. Se la vita è, anche, tempesta, qualcosa – un improvviso soffio di vento, un mobile drappeggio di nuvole in cielo, una piccola luce che torna ad accendersi – è sempre pronto a rimetterla in gioco. Come in una Szymborska che abbia lasciato evaporare ogni impulso riflessivo nell’umile e aereo abbandono al puro spettacolo del mondo, qui niente è statico, neppure nel momentaneo dilagare del grigiore più velenoso: e il sorprendente ritmo anapestico, che a volte sferza l’incedere del verso, testimonia come questa voce non possa mai arrendersi a una stanca gora di vuoto. Il vuoto, tutt’al contrario, è precisamente il motore invisibile che la spinge continuamente oltre – come quella piccola “scatola vuota” portata in dono a una suora che vive in un piccolo convento sul monte. Fare dono del vuoto, agli altri e a se stessi, è l’impresa più grande: e non possiamo neppure più dire con certezza di essere ancora noi ad avventurarci per le strade deserte, “nella luce incerta e stentata dell’alba” – perché il vuoto non è mai l’approdo in cui infossilire, ma un punto di continua rigenerazione e ripartenza.
Non sarà un caso che questa raccolta sia, nelle sue altre sezioni, una raccolta di luoghi: e arrivi fino alla Grecia, dove il divino irrompe come per lavare e rinnovare la luce in altra luce, e poi si ritira, ma senza cancellarsi, per lasciare un’altra volta il posto alla delicatezza; e approdi, infine, a New York, alle “sue alte pareti verticali” dove si specchiano le nuvole. Ecco cosa sprigiona dai Cassetti di Daniela Tomerini: un incessante migrare di nuvole nel vuoto azzurrissimo del cielo. Queste nuvole non hanno “una” forma perché hanno tutte le forme: si inseguono, si aggruppano, si allontanano, si rimandano l’un l’altra i loro infiniti echi figurativi e figurali. Mediano con instancabile devozione il domestico e l’ignoto, il minuscolo e l’infinito. Non rispondono ad alcun progetto, paghe soltanto della loro inconsapevole architettura di vapore e candore: ma ci passano accanto, ci passano dentro – e ci inducono a credere che, malgrado la gravità della terra, da qualche parte ci sia sempre un miracolo, un piccolo miracolo, pronto a portarci su in volo.

Notizia
Daniela Tomerini è nata in un piccolo paese di montagna in provincia di Sondrio.
Dopo la maturità classica si è laureata in architettura al Politecnico di Milano.
Ha viaggiato molto ed ha avuto la possibilità di conoscere e frequentare alcuni grandi poeti, da Attilio Bertolucci al giapponese Kikuo Takano.
Ha pubblicato un libro di racconti Segreti per una vita di qualità (2006).
Ha curato rubriche di letteratura e arte per alcuni quotidiani.
Ha condiretto una collana di narrativa per una casa editrice.
Ha organizzato eventi culturali.
Ha illustrato copertine di libri per varie case editrici (Archinto, Diabasis, Moretti &Vitali, ecc.).
Dipinge ispirandosi liberamente alle suggestioni dell’arte giapponese della calligrafia (shodō). Sue opere pittoriche sono state esposto in diverse gallerie e mostre italiane e straniere, tra cui la Controbiennale – 13×17 (catalogo Rizzoli) organizzata da Philippe Daverio in occasione della 51ͣ Biennale d’Arte di Venezia, l’Istituto Italiano di Cultura di New York e il palazzo di vetro dell’ONU a New York.
Attualmente vive e lavora a Milano.

2 pensieri su “Daniela Tomerini, “Cassetti”

  1. Un’ anima gentile che ammira cio’ che e’ tuttora ammirevole… i suoi occhi sono chiusi agli orrori del mondo…Non bisogna avere cattivi pensieri ci diceva il sacerdote in confessione… si puo’ vivere su una strada parallela e ignorare il male.
    Le parallele si incontrano forse all’ifinito, questo non e’ dimostrabile…per questo la nostra breve vita puo’ trascorrere in pace.

  2. E’ una poesia dei miracoli continui nella semplicità di tutto quanto accade con la naturalezza delle cose vere…I miracoli sono possibili, avvengono normalmente se ci si crede…Basta vedere la realtà dalla faccia nascosta che pochi hanno voglia e la purezza di spirito di scoprire. Il miracolo che l’autrice vede fuori in realtà è la proiezione del miracolo che ha dentro di sé…Ma chi sa veramente ciò che è reale e ciò che non lo è?

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