“Verticali” di Bruno Galluccio
di Bernardo Baratti
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Sembrerebbe di poter dire che ci sono dei markers in queste poesie di Galluccio, come dei punti cardinali attraverso i quali si dipana qualcosa che è solo apparentemente “misurabile” e cioè traducibile in linguaggio “comprensibile” (non dimentichiamoci che Galluccio è un fisico). Spiegandomi meglio esistono sì i markers che possiamo individuare per esempio nei titoli dei tre gruppi di liriche: piano di emersione, proiezioni e verticali che poi dà il titolo all’intera raccolta. In sostanza avvertiamo una sorta di “doppio significato” e cioè da una parte è presente con tutta evidenza il discorso di tipo “geometrico” : verticali , proiezioni, piano (di emersione) dall’altra a un livello sottostante, più recondito ma ugualmente esplorabile abbiamo l’apparire del discorso psichico che potrebbe “anche”, non soltanto, configurare il cosiddetto “lato rovescio del pensiero”. Quel “lato rovescio del pensiero”che ci sorprende fin dalla prima lirica quasi fosse una sorta di manifesto, una presentazione da parte dell’autore, da tenere in dovuta considerazione per tutte le rimanenti poesie. Come un cartello stradale che segnala, quasi in certo modo, il tipo di percorso che troveremo durante il nostro cammino di lettori. E se dovessimo parlare ancora di questo, immediatamente mi verrebbe da chiedermi, soprattutto se mi soffermo sul termine “rovescio”, che ci potremmo sbizzarrire sulle varie possibilità interpretative: rovescio come opposto, come contrario, come capovolgimento brusco? Continuando viene da chiedersi se esiste un lato “diritto” del pensiero . Il lato rovescio può essere l’emozione ? Il pensiero onirico? Il pensiero irrazionale ? L’astrologia ? La superstizione ? E inoltre di quale pensiero si parla ?
Parrebbe quasi che una parte di queste poesie – l’affermazione è assai azzardata, lo ammetto – non fossero destinate altro che all’autore o paradossalmente e a lui, esse sembrano in altre parole governate, a mio avviso, dall’inaccessibile o forse esse sono accessibili ma è come se il senso scivolasse fra le dita come un rivolo d’acqua. Oppure come fossero avvolte da una corazza impenetrabile o chiuse in una cripta dove è possibile soltanto leggere delle parole e dove le emozioni parrebbero essere incistate in membrane ferratissime, alcune appaiono inni alla incomunicabilità, altre si offrono come scarnificate, claustrofiliche. Talvolta ci appaiono come immagini “disarticolate” quasi fossero figure della geometria solida poste una accanto all’altra ma non comunicanti fra loro. Figure non integrabili in sostanza, un po’ l’opposto di quanto noi analisti tentiamo di fare nel nostro lavoro. Per un certo numero di esse sembra di navigare in un campo extrasimbolico dove il rinvio è unicamente a se stesse a meno non tirare in ballo il simbolo in senso junghiano nell’accezione “probletica” di Maro Trevi, dove il lettore resta in uno spazio sospeso in attesa di qualcosa che ha da venire. In molte poesie d’altro canto possiamo davvero apprezzare, per dirla con le parole di Anna Maria Ortese, questa “dimenticanza della ragione” che si fa chiamare “purezza assoluta” che non è altro che la poesia stessa. Alcune poesie di Piano di proiezione ma anche di Verticali potremmo definirle cosmiche ma di un cosmico immateriale paradossalmente extrafisico.
Come se questo spazio per quanto ricco di coordinate “vere” (stelle, costellazioni, anni luce, astri, orbite) riconducesse a uno spazio interiore e cioè a uno spazio inconscio. La poesia n. 6 ci offre dei vecchi che escono dal Paradiso rimettendosi il cappello e per ciò stesso sembrerebbero andarsene via vestiti , al contrario di Adamo ed Eva, cacciati nudi. Sembrerebbe, rileggendoli, versi a ritroso di stampo simil-regressivo che si svolgono all’indietro come percorsi da un fiume che risale alla sorgente anche per quelle domeniche che tendevano i palmi verso il sabato. Questo pure può far parte del lato rovescio del pensiero ? Sembrerebbe d’obbligo una citazione dalla lirica 21 : Un tronco nero si leva. Sono versi questi in cui la morte viene declinata in molteplici forme e così la disperazione (uccelli bui che cadono dai rami, gli astanti raggelati, i moncherini protestano grida e ossa) con l’ultimo verso dove i morti portano fiori ai vivi in cui si resta sospesi fra il messaggio di speranza e la conferma che la morte inghiotte e copre tutto , come se la vita fosse un aspetto particolare , forse l’unico momento maniacale della morte ? Morte che sembra non colpire soltanto oggetti i iventi ma anche elementi naturali (poesia n. 38 in Proiezioni) : lì sullo sfondo dove si distrugge il mare , come non pensare a quel “muore anche il mare” di Garcia Lorca? (Pianto per la morte di Ignazio). Oltre a questo mi sembra opportuno citare la prima poesia di Verticali (n.47) (Nevica. Il tempo mi perde) dove assistiamo a una commistione (e a una vegetalizzazione? ) di elementi naturali: l’albero, il corpo, la neve. Il corpo sembra un corpo indistinto che vacilla, l’albero è in grado di “modificare” (con significati fisici e simbolici) il corpo umano e si addentra all’interno di esso formando una simbiosi umano-vegetale. D’altra parte il corpo è pure squassato dalla bufera (sintomi somatici prodotti dall’angoscia?) e gli elementi di testa (occhi, capelli, pensiero acuto dell’albero) sembrano prevalere sul tronco (il tronco del corpo e il tronco dell’albero). Su tutto poi scende la neve che ricoprirà ogni elemento “senza scampo”. Anche qui aleggia il sentimento della morte che mi ha evocato una immediata associazione fra Nevica senza riposo di Galluccio e Nevica su tutta l’Irlanda …Nevica su tutto l’universo tratto dal racconto I morti di James Joyce (e nel caso specifico il sottoscritto ha operato una commistione fra poesia e prosa). Forse in questa poesia più che in altre si sente l’appartenenza al “verticale” (in senso fisico) : il tronco dell’albero e il corpo dell’uomo (ma è un corpo che fa “la verticale” ? ) e inoltre qui si parla specificamente di vertice: la testa? Forse il pensiero che è”immateriale” potrà sopravvivere ? Il corpo è un corpo ancora vivo ma vuoto ? Ho fame. E’ un corpo che reclama sopravvivenza e che vuole essere nutrito ma è anche un corpo moribondo che vuole uscire dal genere umano ?
Alcune poesie danno l’impressione di essere a basso volume, quasi non si sentono, e in bianco e nero. Mi piace segnalare infine la n.84 Più guardo e più forte dove si parla solo di occhi testa fronte palpebre capelli sguardo lineamenti dei volti, dove tutto esita in una pioggia irrefrenabile – di lacrime ? aggiungo io – un pianto che non si arresta, un bisogno di riposo dal dolore, un desiderio di occhi che però si possano chiudere? Perché la fronte insanabile è una testa che non prevede guarigioni o miglioramenti ? Concludendo forse c’è nell’Autore l’attitudine più o meno consapevole a scovare quello che non è mai stato detto da nessuno ? (o forse questa è la caratteristica di tutti i poeti, magari di tutti gli artisti? )
il lato rovescio di Bruno Galluccio è il pensiero non detto, ovvero l’ineffabile, ciò che le parole non sono in grado di dire e rappresentare; è il lato dove si annida il paradosso tra capire, sentire e non poter dire per l’insufficienza cronica della parola, che si fa poetica nell’osare l’impossibile