Ray Givans, “Tolstoj innamorato”

Letture

COLLANA SNÁTHAID MHÓR – Poesia irlandese contemporanea

RAY GIVANS, Tolstoj innamorato, Edizioni Kolibris, € 15,00

Nota e traduzione di Chiara De Luca

Ray Givans è un poeta di cui risulta estremamente difficile parlare. Almeno a poca distanza dal momento in cui hai attraversato e vissuto la sua poesia per la prima volta, per poi chiudere il libro ed entrare nel buio della stazione a notte fonda. Dove, come all’uscita dalla metamorfosi di uno splendido viaggio, ti ritrovi senza parole per narrarlo e ripercorrerlo, per restituirlo nel modo adeguato a chi è rimasto a casa e invogliarlo a partire, riproponendo tutti gli stadi di trasformazione che hai affrontato nelle sue tappe. Dopo aver attraversato Tolstoj innamorato, il lettore si ritrova infatti esausto e colmo del vortice di volti, colori, suggestioni cui non sa restituire l’ordine e la forma originaria, né collegarvi esattamente l’emozione, il sentimento, l’impressione che hanno singolarmente generato in lui.

In Tolstoj innamorato Ray Givans non veste soltanto i panni del poeta e letterato e dello studioso, profondo conoscitore delle personalità – storiche e letterarie – che presenta e rappresenta, bensì anche quelli dell’attore in grado di incarnarle. Il poeta si spoglia infatti del proprio io per diventare l’Altro, indossando di poesia in poesia abiti, attitudini, atteggiamenti sempre differenti nei confronti della vita e di se stesso. Il poeta non si limita cioè a prestare ad altre persone la propria voce, bensì s’impadronisce di volta in volta della voce di ciascuna di loro, assumendone cadenza, ritmo, variazioni, intensità e toni differenti. Givans è davvero in grado di sparire dietro le quinte del teatro della propria poesia, o di rimpicciolirsi al punto da divenire invisibile suggeritore, facendoci dimenticare la presenza autoriale. Mentre i suoi “personaggi”, o meglio, le sue persone riprendono vita, verso dopo verso, dimostrano di non essere in fondo davvero mai morte, bensì di aver continuato sempre a vivere nelle proprie parole, nei propri scritti, presenti ed eterni al contempo, come l’autentica poesia sa essere. Anna Achmatova e Dostoevskj, Tolstoj e Doroty Wordsworth, John Berryman e Wallace Stevens non sono soltanto rievocati, bensì evocati, chiamati sul palco a parlare di sé in prima persona, a mettere in scena la propria vita, i propri conflitti interiori e il proprio dramma esistenziale senza apparenti mediazioni. Ma anche nella seconda parte di Tolstoj innamorato, dove la storia individuale si sovrappone alla Storia collettiva e a quella letteraria (pur continuando a intersecarsi con esse); dove predominano gli affetti e le vicende della vita privata del poeta, Givans riesce a farsi da parte, lasciando che le parole divengano immagini vivide e che la vita metta in scena se stessa e la propria componente interiore, fatta di ricordi, desideri e fantasmi, speranze e disillusioni, che prendono vita e corpo d’espressione, attualizzandosi nell’eterno presente della parola poetica. Che nella poesia di Givans viene interrogata con profonda fiducia e ascoltata con stupore, servita con devozione e mai asservita. Resa strumento a modellare la materia informe dell’interiorità, ma mai strumentalizzata al servizio dell’egocentrismo autoriale.

 


Anna Akhmatova
Let the moon take its bow in the serrated clouds.
Let the sun rise tomorrow with its orange-yellow
mouth aghast at the release of my son. Let his
cold hands and ravaged boots feel the warmth
of the melting Siberian snow. Let this applause rise
amongst these state-worshipping rafters,
their facade of gold stucco Gods. Let Stalin
in his high office listen to the whisperers
and let him feel this applause echo
through his ribcage. And let him know, and the agents
who will bug my quarters on Fountain Street know,
that the silver willow of my childhood
will rise again from the source of the earth
and soak up these waters of applause. And on
a God-given day, the wind light across the Urals
to Tashkent, it will keen no more, nor be imprisoned,
but will applaud with its own leaf gusto and send out
spores that will raise from my loved mother earth
the writers with freedom to express her lushness,
or that colourless season, without the fear of the silent,
silent men, with the burr of their stultifying buzz-saws,
hacking at your living, breathing, life-enhancing branches.

*

Anna Akhmatova
Lascia che la luna tracci un arco nelle nubi serrate.
Lascia che il sole sorga domani con la bocca giallo
ocra stupefatta al rilascio di mio figlio. Fa che le sue
mani fredde e gli stivali distrutti avvertano il calore
della neve siberiana che si scioglie. Che questo applauso
si levi tra gli zatterieri adoratori dello stato,
i loro Dei dalla facciata di stucco dorato. Fa che Stalin
nel suo quartier generale ascolti chi sussurra
e fa che avverta l’eco di quest’applauso solcargli
la cassa toracica. E fai sapere a lui, e agli agenti
che metteranno cimici nella mia casa di Fountain Street
che il salice argenteo della mia infanzia
si leverà di nuovo dalla sorgente della terra
e aspirerà queste acque d’applauso. E in un giorno
che Dio manderà, con il vento lieve che varca gli Urali
verso Tashkent, non nenierà più, né più sarà imprigionato,
bensì ardente applaudirà con la foglia emettendo
spore che faranno levare dalla mia amata madre terra
gli scrittori con la libertà di esprimere il suo rigoglio,
o quella stagione incolore, senza la paura dei silenziosi
uomini silenziosi, con il burr di quelle loro seghe circolari,
a intaccare i tuoi rami che vivono, respirano, accrescono la vita.

 *

Tolstoy In Love
An oak’s umbilical cords snare my boot,
snake the undergrowth through decomposing leaves
and lichen. Under the weeping canopy, my greatcoat
(trailing thirty-four years of memories)
drags me back to my first birth cries at Polyana.
Ahead, at the edge of Zaseka Forest,
sunlight slides through the thinned umbrella,
plays ribbons on the bare shoulder of Sofya Andreyevna.
She wears a white dress with the simplicity and purity
of the youthful stream that washes over her feet.
Palivanov approaches, in cadet uniform,
his military buttons glistening with stalks of light.
He sweeps you into a waltz, so light and fluid
you could dance on the backs of the swaying cornfields.
And I must watch, rest my head against
the oak’s wrinkled brows, protest I am too old to dance.
In a murky pool I reflect my silhouette, my ugliness.
I am that Prince Dublitzsky of your novel.

Yet, an angel at my shoulder battles with my demons
pushes me forward into the sunlight. “Sonya!”
Light as wafted seed from a dandelion clock
she flies to me. I hold her hands. Her body,
aromatic, decants pomander and cinnamon.
She trembles like a wounded bird, blushes as if rouge
were applied to her cheeks. Is it too much to hope
to be made beautiful by a young woman’s love?

 *
Tolstoj innamorato
Il cordone ombelicale di una quercia mi prende al laccio lo stivale,
serpeggia nel sottobosco tra foglie marcescenti
e licheni. Sotto la tettoia scricchiolante, il mio pastrano
(strascicando trentaquattro anni di ricordi)
mi ritrascina alle mie prime grida di neonato a Poljana.
Più avanti, sul ciglio della foresta di Zaseka,
la luce del sole s’insinua tra le chiome diradate,
giocando in nastri sulla spalla nuda di Sofja Andrejevna.
Lei indossa un abito bianco con la semplicità e la purezza
del giovane torrente che le dilava i piedi.
Palivanov si avvicina, in uniforme da cadetto,
i bottoni militari scintillano di steli di luce.
Ti spazza via in un walzer, tanto fluido e lieve
che potresti danzare sui dorsi dei campi di grano oscillante.
E io devo guardare, poggiare la testa contro le sopracciglia aggrottate
della quercia, protestare che sono troppo vecchio per danzare.
In una polla fangosa specchio la mia sagoma, la mia bruttezza.
Sono quel Principe Dublitzskj del tuo romanzo.

Eppure, un angelo sulla mia spalla lotta coi miei demoni
mi spinge in avanti nella luce del sole. “Sonja!”
Lieve come il seme trasportato dal calice di un dente di leone
vola verso di me. Le tengo le mani. Il suo corpo,
profumato, decanta cannella e pomander.
Lei trema come un uccello ferito, arrossisce come le avessero
messo del fard sulle guance. È troppo sperare d’essere
resi belli dall’amore di una giovane donna?

 *
Sonya Tolstoy
Above the yellow candle flame I watched
the corner pages of my script retreat in brown
and black waves, until I could hold the sheets
no longer. I tossed them in the fireplace,
mesmerised in the pallor of rising smoke …

In the cool of the evening kitchen garden
of Yasnaya Polyana, Lev Nikolaevich
lets me pick the ripening strawberries;
red juices stain my lips and fingers.
His workman’s hand brushes against my dress.
A tortoiseshell, restless, flutters above
a pungent sea of mint and thyme.
I touch a brass button on his soldier’s great-
coat, feel the contradictory warmth
and steel of his grey eyes assault me.

And I am off down the slope of a haystack
into the writer’s safe hands. I am giggling
as he whirls me through the air;
in love with his deep, vibrant voice.

On the edge of abundant cornfields,
hair strains into the wind; my mare, Belogubka,
gallops in unison with the count’s white horse.
As we enter the twilight of Zaseka Forest
hooves snap birch twigs and I hear
my mother call, “Sonya, come in for shelter,
come in for your bedtime. ”
I stake a poker through the burning heart
of charred paper; the edge’s silk petals
puff; gyrate in clouds of particles. Why,
why, did I show my beloved soldier-writer
this novice novel? In the hope his love was deepening
like the slow drip of water
collecting in the rain barrel at Polyana?

Love is a garden of palliative and bitter herbs.

*

Sonja Tolstoj
Al di sopra la fiamma gialla della candela guardavo
gli angoli delle pagine del mio manoscritto ritrarsi
in onde nere e marroni, finché non potei più tenere
i fogli tra le mani. Li lanciai nel camino,
ipnotizzato dal pallore del fumo che saliva…

Al fresco della sera nel giardino della cucina
di Jasnaja Poljana, Lev Nikolaevich
mi fa cogliere le fragole che vanno maturando;
succhi rossi mi striano le labbra e le dita.
La sua mano di lavoratore mi struscia contro l’abito.
Una vanessa, irrequieta, frulla al di sopra
di un mare pungente di timo e di menta.
Tocco un bottone d’ottone sul suo pastrano
da soldato, avverto il calore contraddittorio
e l’acciaio dei suoi occhi grigi mi assale.

E sono in fondo alla discesa di un covone di fieno
tra le mani sicure dello scrittore. Sto ridacchiando
e lui mi fa vorticare nell’aria; sono
innamorata della sua profonda voce vibrante.

Sul margine di rigogliosi campi di grano,
capelli si tendono nel vento; la mia giumenta, Belogubka,
galoppa all’unisono con il cavallo bianco del conte.
Quando entriamo nel crepuscolo della foresta di Zaseka
zoccoli schiantano rametti di betulla e sento
mia madre chiamare, “Sonja, entra a ripararti,
entra che è ora di dormire.”
Infilzo con un attizzatoio il cuore in fiamme
di carta carbonizzata; i petali di seta del margine
fumano; volteggiano in nubi di particelle. Perché,
perché, mostrai al mio amato soldato-scrittore
questo romanzo novizio? Sperando il suo amore si stesse facendo più profondo
come il lento gocciare d’acqua
raccolto nel barile sotto la grondaia a Poljana?

L’amore è un giardino d’erbe amare e lenitive. 

Death of Leo Tolstoy
Into the shock of winter’s cold, gently
Sonya rolls, breaking the surface cleanly
as a dropped coin seeks a resting-place.
And when they haul you back, hair undone,
you shake off the wet dog excess, sob.

From beneath your pillow you unfold his letter
that pushed you to that pond, “My departure
will grieve you.” Almost the killing blow …
News from Astapova:
footprints in dazed snow, plane trees
offended by the whirr of cameras. A continent
of hungry wolves assemble, push on closer
to the stationmaster’s door. Tolstoy flickers
by the yellow candle flames, in, out
of consciousness …

Sonya follows, shunted into a siding.
Your presence is hidden; even a whispering
of your name is thought enough to extinguish
his flame.
You push aside the buzzing media,
breath condensing on a window pane,
as you strain to catch a glimpse of Lev Nikolaevich.
You are admitted only after the portent plucking
at his blanket; the slow slipping into unconsciousness.
Your hand settles gently on his chest and you kiss
his forehead. A wheeze, as he exhales a last breath.

In the two-week delirium he ghosts back,
always with the accusing finger. And even
as you kneel on burning ice before his grave
daily, the wolves are pressing in
with bared teeth, and a daughter is dipping
in black poisonous inks.
A drawing in
upon yourself, as if for hibernation. Insisting
on routine, a waiter decants, in honour
of his memory. Wears white cotton gloves.

 *

Morte di Leo Tolstoj
Nello shock del freddo invernale, dolcemente
Sonja scivola, rompendo di netto la superficie
quando una moneta caduta cerca la sua ultima dimora.
E quando ti gridano dietro, coi capelli sciolti,
ti scuoti di dosso l’eccesso di cane bagnato, singhiozzi.

Da dietro il cuscino spieghi la lettera di lui
che ti spinse fino a quello stagno, “La mia partenza
ti addolorerà.” Quasi il colpo di grazia…
Notizie da Astapovo:
impronte nella neve stordita, platani offesi
dal ronzio delle telecamere. Un continente
di lupi affamati si raduna, si spinge contro
la porta del casellante. Tolstoj oscilla
accanto alle fiamme gialle della candela, perde
e riprende coscienza…

Sonja segue, abbandonata in un binario morto.
La tua presenza è nascosta; perfino sospirare
il tuo nome pare sufficiente a estinguere
la sua fiamma.

Spingi da parte la macchina ronzante,
fiato si condensa sul vetro di una finestra,
mentre ti allunghi per scorgere Lev Nikolaevich.
Ti fanno entrare solo dopo che il presagio ha tirato
la sua coperta; il lento scivolìo nell’incoscienza.
La tua mano gli si posa dolcemente sul petto e gli baci
la fronte. Un sibilo, mentre lui esala l’ultimo respiro.
Nel delirio di due settimane torna fantasma,
sempre con il dito accusatore. E anche quando
giornalmente t’inginocchi sul ghiaccio ardente
di fronte alla sua tomba, i lupi si spingono
snudando le zanne, e una figlia goccia
in neri inchiostri velenosi.
Un ritirarti
su te stesso, come per ibernarti. Insistendo
nella routine, un cameriere decanta, in onore
della sua memoria. Indossa guanti bianchi di cotone.

 *

Photographing Dostoevsky 1
Penetrating the fomenting clouds the sun
cast its warmth over Puskin’s
unveiled statue. Fydor Mikhailovich
spellbound our assembled crowd with measured word
His sonorous voice was steady as the breeze
that fluttered the multitude of imperial flags.
And when he paused, our men abandoned hats
to the undercurrents, cheered each phrase idolising
our nation, our poet’s genius. I knew then
that I must capture the essence of Dostoevsky.

Next morning I was pleased to see his eyes
were still on fire, as if hot ingots were plunged
into the Siberian snows of his sockets,
and cooled to the steel of his stern, determined stare.
First, we talked about that speech. He claimed
that as he spoke he felt Puskin’s spirit close;
that the writers present spread before him,
through prairies, ice floes, forests, dispensing
Russian spirit beyond our nation’s boundaries.

Behind the tripod I’d catch the visionary’s
intensity of eyebrow, arched like the Urals.

*
Fotografando Dostoevskj 1
Penetrando le nubi ribelli il sole
getta il suo calore sulla statua
svelata di Puskin. Fëdor Michajlovič
incantava la nostra folla riunita con parole misurate
La sua voce sonora era ferma come la brezza
che faceva oscillare la moltitudine di bandiere imperiali.
E quando faceva pausa, i nostri uomini abbandonavano i cappelli
alle correnti, acclamavano ogni frase idolatrando
la nostra nazione, il genio del nostro poeta. Seppi allora
che dovevo catturare l’essenza di Dostoevskj.

La mattina dopo fui lieto di vedere che i suoi occhi
ardevano ancora come se lingotti roventi fossero immersi
nelle nevi siberiane delle sue orbite,
e raffreddate nell’acciaio del suo rigido sguardo determinato.
Dapprima, parlammo di quel discorso. Lui sosteneva
che come aveva detto sentiva vicino lo spirito di Puskin;
che gli scrittori presenti di dispiegavano davanti a lui,
in praterie, ghiacciai, foreste, dispensando
lo spirito russo al di là dei nostri confini nazionali.

Dietro il treppiede avevo colto l’intensità
visionaria del sopracciglio, arcuato come gli urali.

*
Photographing Dostoevsky 2
Anna Grigoryevna allows tears to disperse
along the tunnel of a dark-ringed eye;
presses her cheek against her husband’s
sanitised face. She recomposes her mask
for friend and stranger, who spar in the drawing
room, waiting to touch the great writer.

Alone, in the minutes permitted, I assemble
the apparatus, breathe in the pungency
of censers, tears of tallow from tapered candles.
I angle across the glazed landscape
of the wax face, its hint of a smile;
at peace, at last, counsel to revealed truths.

Anna opens the door. The flood spreads
through the estuary. Slowly, lugubrious
faces, panoply of black suits stutter
around the dead novelist. I see Strakov,
Gradvosky, among the literati, who come
to pay tribute. Too late. They hide the knives
that ripped his Puskin speech
after their rapturous applause-and then what followed:
two epileptic seizures, extinguishing
a prophetic light, all over Russia.

 *

Fotografando Dostoevskj 2
Anna Grigorjevna lascia che le lacrime si spargano
nel canale di scolo di un occhio cerchiato di nero;
preme la guancia contro il viso ricomposto
del marito. Ripristina la maschera
per amici ed estranei, che discutono in
salotto, in attesa di toccare il grande inverno.

Da solo, nei minuti concessi, dispongo
l’apparecchiatura, respiro l’odore pungente
degli incensieri, lacrime di sego da candele affusolate.
Mi oriento sul vitreo paesaggio
del volto di cera, il suo accenno di sorriso;
in pace, infine, avvocato a verità rivelate.

Anna apre la porta. L’alluvione dilaga
attraverso l’estuario. Lentamente, volti
lugubri, arazzo di nero balbettio
attorno al romanziere morto. Vedo Strakov,
Gradvoskj, tra i literati, che vengono
a rendere omaggio. Troppo tardi. Nascondono i coltelli
che squarciarono il suo discorso di Puskin
dopo il loro caloroso applauso – e poi quel che seguì:
due crisi epilettiche, che estinsero
una luce profetica, su tutta la Russia.

Ray Givans è nato e cresciuto nel villaggio di Castlecaulfield, nella Contea di Tyrone. Ha frequentato lo Stranmillis Teacher Training College di Belfast e ricevuto un B.Ed dalla Queen’s University. Ha conseguito un Master per l’Insegnamento all’Università di Bath e insegnato inglese presso le scuole superiori nella Contea di Down. Ha pubblicato quattro raccolte di poesia, tra cui Going Home (2004) e Tolstoj in Love (2009). Ha ricevuto premi per la sua poesia in Gran Bretagna, negli Stati Uniti e in Australia, oltre al Jack Clemo Memorial Prize for Poetry. È stato redattore della rivista «Christianity and the Arts» di Chicago. Sue poesie sono state incluse in Artwords (2000) antologia di artisti dell’Ulster.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *