Poesie contro la guerra
a cura di Luigia Sorrentino
—
Roma, 5 settembre 2013. L’iniziativa di Poesie contro la guerra è nata dal popolo di Facebook, sulla pagina “Poesia, di Luigia Sorrentino”.
Vi hanno aderito: Anna Alessandrino, Enza Armiento, Alessandro Basile, Anna Belozorovitch, Ilaria Boffa, Violetta Calanca, Cosima Cardona, Alessandro Canzian, Alfonso Cataldi, Ada Crippa, Giovanni D’amiano, Luisa Delle Vedove, Massimo De Santis, Rosaria Di Donato, Maria Cristina Fraddosio, Federica Galetto, Gianluca Lattuada, Tiziana Marini, Emanuela Masseria, Marina Metelli, Nino Morena, Manuela Mori, Giuseppe Nalli, Giuseppe Nibali, Maria Grazia Palazzo, Gianni Pallaro, Costantino Posa, Loredana Savelli, Meth Sembiase, Maurizio Soldini, Simone Zafferani e molti altri. Le poesie saranno postate anche nei prossimi giorni. Continuate a inviarle.
Tornarono i soldati
Tornavano i soldati
senza mostrine
come fantasmi
usciti dall’inferno
e quei peccati
da regalare ai figli
cuciti stretti nel pastrano.
Fucili in spalla
e preghiere sotterrate
sogni rubati
appesi come scalpi alla cintura
e sguardi lasciati altrove
a farsi maledire lo squarcio amaro
di una giovinezza senza più sapore.
Tornarono i soldati.
Anna Alessandrino
***
A cosa possono servire, le scarpe ai morti?
Nelle mura bucate dalle pallottole
come morbidi pani di malattia
sono arrivati sottili filamenti di carni
si sono infilati nelle crepe dei muri, filiformi
i capelli dei bambini
al vento hanno fatto boom
Piccoli cuoricini disseminati
a campi di grano sul pane
senza scarpe non potete andare, sparano
da ogni dove arrivano compromessi di pace
deflagrano anche le stelle e cadono
su di voi che piedi nudi
avete un Dio
ma ancora tace.
Enza Armiento
***
Nessun dorma
.
Il gesto impassibile
di un cuore congelato
la reazione al sopruso
di chi non ti rappresenta
le lacrime disperate
di una madre rimasta sola
Alessandro Basile
***
Ora no
Del dolore, già tutti sanno.
Ma allora, chi è, perché fa…,
domandi, domando;
la risposta ora c’è ora no,
ma intanto…
E’ domani.
E il dolore è certo.
E le vite son lì, ora sì, ora no.
Quante idee di vita, ora stanno cambiando.
Chi attende; chi avanza.
Ora lì, ora qui.
Non è l’Altro, è l’assenza di me che cammina;
è il vuoto da anime altrove attese;
è il cancro d’un tempo alterato, diffuso.
L’illusione della conseguenza.
Ora so. Ora no.
Anna Belozorovitch
***
Notti saprofaghe
Parla di preghiera
un urlo nel buio
il pulsare di tempie in attesa
di un’alba luminosa.
Voli di fumo, dagherrotipo
di distanze polverose,
notti saprofaghe
su volti di bambini.
Parla di una nazione
e la sua aspirazione a vivere,
perché i vostri cieli sono i miei cieli
ogni terra un crocevia di anime.
Oggi voglio incarnare
la paura di migliaia di madri,
piangere lacrime
di ingiuste separazioni.
Parla di indifferenza
e distacco,
turisti delusi in deportate
e dolorose abbronzature.
Quante guerre indossiamo
su corpi di cadaveri,
quanti occhi ingenerosi
denudano la nostra dignità
ogni giorno?
Parla di me
e le mie scarpe indolenti,
quando ho negato la mia natura
per compiacere la debolezza.
Parla di noi sebbene
sventolanti bandiere di tregua.
Ilaria Boffa
***
la guerra
la ragazzina uccisa
dall’inumana umanità
ha gli occhi aperti
rivolti al cielo .
chiede aiuto
per chi resta qui
a pretendere ragioni
con armi distruttive .
Violetta Calanca
***
Anime…muoiono
Case inesistenti
immagini di corpi
occhi pieni di lacrime
tu vedi solo morte…
Lo sguardo inorridito
di chi cerca con amore
si attacca ad una speranza
ci aiuti il Signore
Quel cupo sordo rumore
ritorna ogni giorno
io sento qui le bombe
e tremo di spavento
Non chiedono perdono
gli uomini di questa terra
bombardano… feriscono
ammazzano….distruggono
dichiarano sempre guerra
Il cuore ora soffre
le lacrime ho perduto
respiro piano…e dicono
mio figlio e lì …è morto
per stupide conquiste
che l’uomo sempre vuole
insieme a tutti i figli
L’anima mia muore
Cosima Cardona
***
Non fosse per la guerra, il corpo
che si
spande
senza storia, senza sconti,
gli shorts da indossare il lunedì
mattina e la spirale
che non si sa mai,
il fucile in braccio, la fame
anche nella testa,
i preservativi,
le braccia tatuate
che stringono tutti i nostri morti.
Alessandro Canzian
***
Guerrafondai
Forse non ricordo più.
Non serve se l’oblio dei sensi
ne usurpa le immagini
o forse
non è bastata la lezione di chi
ha varcato le porte di Aushwitz
ed ha visto la nebbia …
perché di nebbia lui pensava
si trattasse
e non di fumo di uomini riarsi
sulla graticola del sarin.
Ho dimenticato persino i giochi
magici sul campo di margherite
a rincorrer l’Amore
e con esso te, che guardavi
al cielo per incontrare nei tuoi
occhi i raggi del sole
che ti trafiggevano il cuore di
passione.
Ora su quel prato c’è la desolazione,
e una nebbia acre come la morte,
ha ucciso tutte quelle margherite.
Pensavi forse che la tua altezza
si misurasse dalla matrigna Terra
fino ai tuoi capelli, si da essere
in superbia inarrivabile,
ed in arroganza insuperabile,
ma se tu avessi usato il metro
per misurarti dal cielo
avresti capito di essere infinito,
come l’Amore!
Ed invece hai lasciato ancora una
volta che le robuste mani dell’insipienza
che la matrigna Terra ti ha omaggiato –
mani della Geenna – ti usurpassero
e mente e piedi e cuore
per vederti irrompere sulle macerie
della vita
e godere delle vite morte.
Massimo De Santis
***
Due promesse
Due promesse, due sfregi onnipresenti
della voce in opposte direzioni,
appuntano lo stesso meridiano.
L’una è incisa nelle consanguinee
piazze e da lì orchestra il fratricidio,
un finimondo in fiore con-diviso-.
L’altra è l’opportunità, la scrittura
in embrione, l’antitesi del ruolo
che serpeggia, e scompagina il proscenio:
Il cantico del ventre illimitato.
Alfonso Cataldi
***
Stranieri
In queste strade
abbiamo morti
e fiumi rossi impastati
con la sabbia delle dune
argilla umana le vostre coppe alzate
al Dow jones
e abbiamo case sventrate
con la forza della gloria
e pane cotto sul fuoco
dei proiettili incrociati
e abbiamo bambini
dagli sguardi allagati
e madri urlanti
ai venti assassini.
Comprate le nostre vite morte
stranieri
ai sentimenti
Ada Crippa
***
Aria di guerra
Un cielo di tempesta pesa
sul cuore del poeta.
Da mesi, il suo piombo, greve,
s’è infiltrato tra le parole,
e ne impiomba e ne congela
la fantasia.
La nona di Beethoven,
una volta così fervida di ispirazione,
mi resta estranea, quasi inopportuna.
Come questo tepore di primavera,
oltre l’azzurra vetrata,
aperta al mare,
alla sua brezza profumata.
Giovanni D’Amiano
***
Cosa posso io
Soffia un vento di guerra
arroventato e scuro
ha mascelle che s’aprono
funeste ad inghiottire le cose
…denti affilati per crudi bocconi.
Soffia un vento
che non ha peso, né struttura:
né con le mani, né con un muro
lo potrei fermare
Porta violenti granelli
di sabbia e semi che fanno
radici in ogni terreno
e trovano humus in ogni emozione
Cosa posso io, cuore di poeta?
Urlare lo sgomento?
Piangere la paura?
Cosa può la mia lirica spada
se non opporre a questo vento
il vento di memoria antica, quello
delle stragi immani, del profondo dolore,
degli anni bui; quello del sangue,
dello strazio, delle ferite
…quello che l’uomo non può
non deve dimenticare?
Luisa Delle Vedove
***
epitaffio per l’undici settembre
se la guerra genera altra guerra
chi erediterà il mondo
nessuno nessuno
niente sopravviverà
solo il cielo resterà
immobile a fissare
le macerie
né dolore né grida né odio
solo il nulla
devastante vanità
se la guerra genera altra guerra
chi erediterà il mondo
Rosaria Di Donato
***
Primavera disperata
Che la primavera abbia inizio,
ha pronunciato il cielo
qualche giorno addietro.
Eppure i fiori stentano a sbocciare.
Le bombe cadono,
silenziose su terre lontane.
Guardi il cielo
e aerei grigi e pesanti
prendono il volo.
Ignoto rimane il nome
di colui che le vedrà scoppiare.
Acclamano la guerra per salvare,
dicono porti democrazia,
servirà a liberare.
La vita s’offende
e stenta a farsi elogiare.
Dal sipario la disperazione
colpisce con arco e frecce
i malcapitati,
stramazzano nell’odio,
accecati.
Additano il primo viandante
della triste sorte sopraggiunta.
I lavoratori lottano,
non essendo più tali.
Impugnano i fucili
e dopo il botto
vengono i funerali.
La morte vecchia strega,
scarna e stratega,
corrode gli animi.
S’ incendiano di violenza.
La guerra di tutti contro tutti,
a colpi di ignobili parole
anche contro l’unico benefattore.
Lì le bombe,
più in là il terrore,
qui la disperazione,
la rabbia e l’orrore.
Il sangue versato
nel passato,
ormai lontano e dimenticato,
ricomincia a scorrere
tra le fila degli innocenti.
Che la primavera abbia inizio,
ha pronunciato il cielo
qualche giorno addietro.
Eppure i fiori stentano a sbocciare.
L’unica a germogliare
è l’ignoranza.
Sappiate chiedervi
cosa insegnare
a chi verrà.
Quello che oggi fucilate
è la dignità.
(marzo 2011)
Maria Cristina Fraddosio
***
Decade l’eremo della luce
Decade l’eremo della luce
Sbrana le file l’aria assoldata
Re(missione) della morte
Impudicizia della mano
Rombi che s’alzano nel cielo
come assalti
e pianti sbalorditi nella polvere
Di quei salti alle fosse s’ ode il gemito
Letto dell’avventura macabra
nell’orrore del disumano contrito
Se fosse alba ancora vedremmo un porto
una sembianza di coltre bianca che prega
fra digressioni d’ affamate locuste
ingozzate di colombe squarciate
carcasse ammansite di fumo che sale
ascendendo
verso un dio nascosto e sordo
che prende per se le lacrime
e ne fa spari
nella notte senza fine
(S’alzano venti e spargono semi
che rendono la lingua nera)
Federica Galetto, 7 settembre 2013
***
A tutti!
I lampioni del viale si sono spenti
e le luci della pista di partenza lampeggiano
dietro il filo spinato.
Un peschereccio tira le reti e si sposta,
le portaerei hanno mangiato le onde.
Nelle strade dei megafoni
come dischi rotti ripetono
“…ripudia la guerra…”
e ad ogni frase il pallottoliere
nel centro del tavolo si muove.
Amici, compagni, fratelli
Ascoltate!
Si aggirava tra noi una signora
che amichevolmente salutava
con un sorriso sul volto
ma oggi il velo è caduto
e tutti vedono il cranio
di un bambino
spaccato sopra un masso
da un missile senza nome.
Il sangue è fresco e tutti
si guardano le mani.
L’acqua per lavare il peccato
scorre veloce e la memoria
molte volte vacilla.
Soltanto la polvere mantiene il ricordo.
Ma oggi
il tempo di urlare è giunto!
Il tempo di dire basta
Il tempo di alzare la testa
di aprire gli occhi
di donare il cuore
Il tempo di dire la verità
perché gli ideali sono morti
e gli eserciti muovono soldi
Il tempo di chiamare guerra ciò che uccide
Il tempo di non dimenticare.
A tutti!
Uscite per strada a gridare
Io non dimentico
Io non mi sporco le mani
con la vostra libertà!
Gianluca Lattuada
***
Laggiù, la guerra
C’e’ un deserto
laggiu’
senza sabbia,
un mare
senza acqua
un cielo
senza speranza,
una casa di carta.
C’e’ la guerra, laggiu’,
muta e disperata
coi vestiti vuoti
appesi a quel cielo.
Tiziana Marini
***
La terra muta difficilmente abitudini
ricca com’è
di inverosimile tolleranza
verso le nostre sciocchezze.
Coperta di sangue
e parole polverose
lambita da mari
e pendii scoscesi
dà fiori che ancora osano abbellire.
La terra cambia
quando corri su di essa
per prendere la mira
su chi la sovrasta
ma abbraccia anche chi
come resto esploso
torna nelle sue viscere
dopo l’incrocio finale
con il vero senso del ricordo:
le fugaci attenzioni di una mina.
La terra non evolve
senza sostenere
le generazioni di
chi non sa intuire
che i metri fantomatici
tracciati dei confini
sono seguiti dall’attimo
che tutto sa cambiare.
La terra nutre
le ere politiche
e i tanti predatori
le fantasie marce
dei distratti benpensanti
sempre in prima linea
e che non indietreggiano mai
se non per raccogliere
proseliti e corpi
soldi e souvenirs.
La terra ha nubi di fine estate
seguite dalla belligeranza
di molti lunghi inverni
Le nubi di fine estate
non si fanno attendere invano.
Emanuela Masseria
***
Faccia d’angelo, il tuo cuore dov’è?
Perchè ti ostini a trovare il male
finanche negli occhi di un bambino.
Piango lacrime e sangue imprigionata in un’afona impotenza.
Ehi tu, non stai giocando non è un video game.
Non vedo nemici nei miei vicini, solo anime perse
che con me cercano la strada della pace.
Cuori in tumulto che chiedono convivenza.
Usurata, stracciata, implosa è ormai la fratellanza.
Nel giardino passo lo sguardo sui fiori avvizziti
Roma è un cantico di cornacchie e corvi.
Guardando ad est gabbiani sempre in ascolto,
la colomba bianca sbatte contro colonne di fumo nero.
Ed io spero, venga la pioggia, segua pronto l’arcobaleno.
Marina Metelli
***
Adesso e non domani
Domani sventolerà la bandiera della pace
sul globo del pianeta, la poserà una rondine!
Cesseranno i rumori delle armi
i grilletti da schiacciare
gli obiettivi da mirare.
Non si udiranno lamenti
nè grida di dolore,
nè palpebre da chiudere
nè cadaveri da sotterrare.
Nè visi anneriti dalle bombe
nè corse tra palazzi e strade da attraversare,
per cadere viso al cielo
per farsi perdonare.
O lo strepitìo di una mitraglia
a crepare l’assurdità della guerra
l’incoerenza della ragione
la presunzione dell’innocenza.
Ogni uomo
che ha la forza della decisione
che ha la forza di fermare,
che ha la forza di potere.
Lo dica adesso!
Adesso e non domani :
“Viva la pace fermiamo la guerra!
Nino Morena
***
Serata afosa. Lungo un viale cieco di tramonto,
fra le macchine che sputano ansia sull’ asfalto,
io passo serena, indifferente.
Io sto con le mie tenere angosce come si sta,
quando lo si sa,
in un mondo privilegiato.
Serata afosa. Una donna raspa nell’immondizia,
e dalla selezione delle cose, si vede bene,
che cerca cena.
Io resto serena, indifferente.
Io sto con le mie piccole ansie
in un mondo che non esiste.
Manuela Mori
***
Purché ci sia un domani
Quanti brividi avvolgono
le ceneri del silenzio,
quante grida e pianti dagli animi,
dalle carni dilaniate.
Basterà il sangue versato
a saziare gli aguzzini?
Qualcuno avrà premura
di un flebile ricordo
nel nome della giusta causa?
Alcuni uomini si sono persi
nella tempesta di un buco nero
che sottrae ossigeno alla ragione;
ma in noi qualcosa pulsa ancora.
E’ questo qualcosa
che ci dà la forza,
la spinta necessaria;
affinché quello che verrà
non sia un altro giorno di sangue,
un altro giorno da ricordare
con gli occhi lividi.
Abbiamo forza necessaria
e coraggio da barattare
con un briciolo di speranza,
ma qualcuno dovrà bussare
alla nostra porta
altrimenti sarà la fine.
Abbiamo visi
da far tornare a sorridere
e un lungo lavoro da svolgere:
tante ferite ancora da tamponare,
coaguli da rimuovere
e legni da inchiodare;
siamo pronti:
purché ci sia un domani.
Giuseppe Nalli
***
Damasco. Ospedale militare
Tutto
Dalle gocce all’aria
là fuori
non qui che la fame
fa tana tra i fogli
Le donne duepassi
della crocerossa
ognuna un passo di padre
di madre sbattuto
sulla sabbia
Quest’aria di chiuso
s’è sporta dai becchi
dai giorni che avrai tu di mare
di sorrisi mattutini
rossetti e bacibaci
Ora che torno
torno a guardare
Da cieco il vetro
Che esplode su Amar.
Damasco rivive
Un ritardo di chiese
Il ricordo uno a uno
Dei giorni del mondo
Solo qui noti il sole
Sul bianco ne scrosti
La rena di troppo
– Poi
ci spegneranno addosso
La rabbia del mondo.
Arriveranno dalle grondaie
Siamo di cartapesta noi.
Di cartapesta –
Giuseppe Nibali
***
426 bambini
la strage degli innocenti
si ripete ancora
dopo 2000 anni di storia
Siria piangi il tuo futuro
noi occidente il nostro presente
addormentato come Caino
sulle rive del Mediterraneo
Madre mediterranea
madre terra che nutri i tuoi figli
assicuri loro l’approdo
dal faticoso viaggio in mare
Madre del Soccorso
che cerchi i tuoi figli
li metti in salvo
dalle insidie del male
benedici ogni uomo ed ogni navigante
il nostro lavoro, la famiglia umana
benedici il profumo della tua terra il suo futuro
e l’uomo ospitale che ne riconosce il dono
Il corpo della Siria geme i dolori del parto
fa che questa notte non trascorra invano
fa che le stelle del cielo non si spengano
raccogli il dolore degli innocenti
Maria Grazia Palazzo
***
colle sant’elia
era un ragazzo
aveva fame aveva sonno
ma ha vinto la guerra
nessun rumore
in cima a questo colle
mancato ai disegni di dio
nei dintorni un cippo ricorda
qui giace la guerra
presente
non ha mangiato non ha dormito
certo
la guerra ha vinto
Gianni Pallaro
***
Per scappare da qui mi farò
piccolo,
come foglia, bacca, granello
Il fiato dello scoppio mi porterà
lontano,
dove non c’è terra, non c’è mano
e uragano che piange
Perché qui è l’inferno
nascondimento inverno,
buio il giorno,
luci violente la notte
Per scappare da qui mi farò
minuscolo
Come ciglia, polvere, scheggia
Le urla dei fratelli mi spingeranno
ad andare.
E scappare da qui sarà
volare
Perché qui è nebbia d’un odore bruciato,
soffocante l’inverno,
freddo il deserto
ché il sole s’è oscurato
Siria,
ma non eri fatta di stelle?
Se scappo riuscirò a dimenticare?
Mi guardo le mani
Son piccolo, mi conviene andare
Un cielo disfatto,
io,
non lo so riparare
Benedetta Pisi
***
Panico
.
Piegato in una buca,
oltre alla polvere
potevo respirare il panico
e pensare che sono uscito ieri.
Sono uscito soltanto ieri,
cercavo la mia strada.
Dicevano: essere uomini veri.
Non so, se erano sinceri.
Il mio orizzonte è tutto nero,
volevo sentirmi vero,
ero autorizzato a sparare,
ma qui potevo solo sperare.
Oltre alla polvere
respiravo un po’ di panico.
Poggiato a tronchi secchi,
volevo solo cambiare
non abbandonarmi
almeno adesso.
Cercavo le ragioni,
mi ritrovo qui, inutili prigioni.
Oltre alla polvere da sparo,
respiro fumo nero.
Oltre al nemico, cade
l’unico mio amico vero.
Costantino Posa
***
Le tende di Aleppo
Altrove si contano i morti,
qui i restanti accatastano pietre
per muretti a secco
di nostalgia.
Da lontano, tra terre sorelle
come mie sorelle,
(av)viene: stesso sangue stesso mare,
il vento sparge l’odore
di rivoluzioni abortite.
Non c’è tenda che tenga, ad Aleppo,
sugli spari dei cecchini.
Qui le tende sono a strisce,
come ad Aleppo,
per vedere il colore del mare,
in mezzo,
tinteggiare la pelle,
ed è rosso il colore del male.
Loredana Savelli
***
E’ sul necessario che si accende la parola.
Un muro è un muro
ma un muro necessario
è l’interruzione della linea dei campi
e più non è campo
quel che si forma intorno
senza semi ne zolle
zeppo di tende e poi di lamiere
imbarcazioni armate con cingoli
che solcano nessun mare.
E’ necessario
piantare il campo di guerra
e il raccolto avviene
e si vendemmia
con sudari al posto dei filari.
***
Si pensa mai
in principio o in bene
a chi costruisce ordinatamente le bombe
e con disciplina sindacale
ne controlla abilità posizione e cura,
le lucida ed esse brillano
– così terse –
come lattine di preziosa birra scura
(quella nata dall’orzo nei campi)
liquide come sidro di verderame
gassose, incrociate in cirri velenosi,
(ri)lucenti.
Chi conosce i trasportatori di bombe?
Essi appaiono un solo istante
mentre le bombe si buttano giù,
opere umane dal cielo alla terra
dal basso alla fine.
Ecco, il ciclo produttivo della perfetta bomba finisce giù
sempre in terra
ma straniera
così lontana
ed imperfetta
che può anche meritare ogni male umano
ogni incubo di sangue notturno
e le porte dei sogni
continuano a riempirsi di morti fosforescenti.
Meth Sembiase
***
Mai più la guerra
Mistica usanza di drappelli vuoti
nelle brume di battaglie inferme
a costo di dispersi e di disperazione.
Il suolo grida nel dispetto debole
di albe insanguinate di peccato
le altrui vite bruciate e fiochi lumi.
Svettano le bandiere a strepiti
di bande colorate sulle stagioni
vuote di felici venti e incaute.
Solstizi scuotono pace e semenza
arcuati a tendere sul filo di speranza
il sentimento che protegge sguardi.
La vita che si è avuta in dono
reclama soffi e slanci di memoria
che slabbra sul futuro voci in essere.
Maurizio Soldini
***
avvicinate i morti gli uni agli altri.
Scostateli dai muri. Fatene un cerchio
che prema i confini al silenzio ostile,
contro l’oblìo. Salvacondotto della gloria
feritoia dei martiri. Visti in processione mormorano
parole come mollica di pane al passaggio.
Questa gerusalemme irreale
questa rovina purgatoriale. Fate grumi d’ossa e
macerie. Un cerchio che ritroveranno tra secoli.
Il segno del passaggio, dai pozzi del cuore
all’inferno delle viscere.
Macchiate di sangue la strada come
avventori appestati untori. Anche questa
ennesima fine va celebrata.
(Qui manca una spina, un dorso).
Simone Zafferani
Sono felice di esserci…contro la guerra dobbiamo essere in tanti per far sentire la nostra voce…perchè la guerra devasta ‘il fuori’, ma anche ‘il dentro’. Grazie Luigia per averci dato la possibilità di gridare: “NO ALLA GUERRA”.
Grazie! é una testimonianza importante che unisce molti in un ideale comune: la pace!
Pingback: Poesie contro la guerra – Luigia Sorrentino | Alessandro Canzian
PACE
Chiuso un sipario in bianco e nero
immagini fra paura e realtà
rievocano lo spettro dell’odio.
Volti smarriti
ignari e vaganti
vittime di un mondo di
fluttuanti ipocrisie.
Progresso
in te ho creduto
ho affidato a mani congiunte
i mie sogni e le mie piccole speranze,
il mio destino.
Rullo di tamburi
ora grido,
non vendetta.
Pace!
di Annarita Mastrangelo
SE c’è la guerra è perché vi è stata la negazione della parola. La poesia può restituire il giusto equilibrio.
Gridare non serve a nulla!
Disobbedire devono i soldati, i generali, i cittadini!
Disobbedire devono gli eredi dei morti! Non accettare le medaglie… Fondiamo l’oro della guerra!
Facciamone panchine per i nostri giardini, biblioteche per le nostre scuole, case di riposo per i nostri vecchi…costruiamo dighe,ponti,ospedali…non lasciamoci prosperare con la produzione di armi… non lasciamoci vivere sul sangue dei nostri figli… non rimaniamo una societa’ di vampiri!
Remo Rapino (Lanciano)
Pietre in attesa del ritorno
Quando le anime lasciano i corpi,
attraversano i vecchi ponti sul Tigri
restano sull’altra sponda: pietre in attesa del ritorno.
A Baghdad gli uomini salutano la vita con gli odori
delle cantine nel cuore, anche sorseggiare un caffé
ha il sapore dell’agonia, i tavoli di legno scuro
si fanno tombe senza nome, lapidi grezze,
a volte rimane vivo non più che un tocco di pane.
A Baghdad i camion lungo strade di polvere portano
a volte i frutti, a volte i morti, le mosche girano intorno
a vuoti barattoli di miele sugli scaffali vuoti,
ronzano canzoni tristi che assopiscono i bambini scalzi.
A Baghdad il nome di Allah è una scorza di limone nell’acqua,
un filo d’erba che va dovunque e da nessuna parte.
Alla fine del viaggio il mare. La luna si tace.
La morte è sempre alle porte, va di casa in casa,
di mercato in mercato, s’insinua nelle file per il pane,
esce dalla sabbia come un cardo a ferire la carne.
A Baghdad i pianti delle donne sono veli di silenzio,
muoiono gli uccelli, i cani randagi, i vecchi, le nuvole.
A Baghdad un tempo costruivano giardini pensili,
cantavano poemi lunghi come fiumi.
Cantavano: l’acqua, gli alberi, gli uccelli, il viso dei bambini.
BILANCE UMANE
do Italo Coccolo
La Pace
è una bilancia strana
della nostra razza
cosiddetta umana.
Su di un piatto,
per ben pesare,
le Terre da rivendicare.
Sull’altro,
senza peso,
i morti da dimenticare.
The Berkshires, Massachusetts, Primavera 2003
Un silenzio triste in citta’
Pochi i passanti, obbedienti le macchine
Una nazione che ha perduto la sua innocenza
Un senso di perplessita’, un senso di colpa.
Come un manto di neve grigia
La tristezza copre il cuore dei cittadini.
Un’insoddisfazione lacerante
E`dipinta sul viso del postino
Del giornalista che incontro.
Ma e’ questa l’America? Si domandano.
Un paese dove si ha paura di parlare, di manifestare
Dove la guerra si fa nonostante l’opinione pubblica,
Contro l’opinione pubblica.
Un silenzio vergognoso si respira camminando
Il silenzio del dissenso qui in America si respira.
E noi sempre presenti, sempre al lavoro!
Mi dicono questi occhi di gente laboriosa.
Ecco cosa sanno fare con i nostri soldi,
I nostri sacrifici, la nostra obbedienza!
In questo paese di mendicanti
Dove non c’e’ posto per bambini e vecchi
Si fa la guerra…Si! Si fa la guerra…
Ahi! Si fa la guerra.
Dalla raccolta “Sulla terra tocco il cielo”, collana “Scrittori
del mondo” Sciascia Editore 2010.
Aggiungo un mio contributo.
Nico Bertoncello
BAGHDAD
Ho dipinto il mio davanzale
con i colori dell’arcobaleno,
ero stanco di sentire le minacce
che graffiavano il fondo dell’anima.
Solo le parole con sussurri di bontà,
quasi stagione di eterna primavera,
hanno le voci alte dei rondoni
che passeggiano sulle strade del cielo.
Ho affidato perciò al gioco delle nuvole
gli ultimi richiami di colomba
e sulle mani del silenzio ho lasciato
volare il mio aquilone…
ma sibili e scoppi per notti intere
hanno illuminato tutto a giorno
con mitra di uomini in divisa
a intrecciare collane di paure.
Il vento di sabbia non ha soffocato
la marcia pesante dei carri armati
e dietro le case distrutte occhi
di bimbo hanno salutato la vita.
Ora che gli aneliti si sono spezzati
non voglio sentire grida di vittoria.
Troverò un altro gesto di pace
che mi faccia sperare nel domani!
Nico Bertoncello
Ma più la guerra
Mistica usanza di drappelli vuoti
nelle brume di battaglie inferme
a costo di dispersi e di disperazione.
Il suolo grida nel dispetto debole
di albe insanguinate di peccato
le altrui vite bruciate e fiochi lumi.
Svettano le bandiere a strepiti
di bande colorate sulle stagioni
vuote di felici venti e incaute.
Solstizi scuotono pace e semenza
arcuati a tendere sul filo di speranza
il sentimento che protegge sguardi.
La vita che si è avuta in dono
reclama soffi e slanci di memoria
che slabbra sul futuro voci in essere.
Maurizio Soldini
Roma, 15 settembre 2013
Pingback: A tutti! Inno contro la guerra | GL
Vittime di guerra
A loro non fu dato
comprendere
per quale bandiera
vittime di chi morivano
i bambini
con manine immobili
occhi sbarrati
persino alla morte
chiedevano aiuto.
21.09.2018 – 02:00
ASCOLTA
Ascolta ragazzo
il vento lo trasporta
pianto della madre
ignara del tuo stare
dove
finito da qualche parte
là dove
ascolta
quando il silenzio tace
li
solo
occhi sbarrati
perso nel sonno veglio
la voce lontana
di chi è a casa
che ti ama
ascolta
non avere paura
freddo
stanco
è solo una avventura
ascolta
sii forte
non indietreggiare
quando le porte si apriranno
guarda la luce
con sussurrato sorriso
dimentica la tua carne
sul letto fangoso
ascolta
lontana nostalgia
una preghiera
ragazzo
ora
a casa
ascolta
il pianto della madre
ora vicino
con capo sul petto
tuo
senza vita
ma
con viso sereno
ascolta
Riccardo Genovese
LA GUERRA
Quell’odio fratricida di Caino
Pose la base per la guerra
Trasformando l’uomo in assassino
Mentre sparge sangue in terra
Desideroso d’essere esaltato
Non padroneggiò ira e gelosia
Verso quel suo fratello odiato
E si trasformò in venefica alchimia
Le ideologie perverse e immonde
Ramificate nel pensiero umano
Come cancrena si diffonde
Con l’omelia del Clero e del Sovrano
Per la volontà di non voler amare
E per l’ingorda avidità umana,
In terra, in cielo e in mare,
L’uomo, come una belva, sbrana.
La Guerra è sempre ingiusta,
Perché non vince chi ha ragione,
Ma chi rende l’altrui vita angusta
Con la forza e l’oppressione
Seguendo la legge del più forte
E calpestando principi universali
Dispensa solo sofferenza e morte
E non rende gli uomini uguali
L’uomo, esaltando la ragion di stato,
I miti della razza e pur l’economia,
È disposto ad essere ammazzato
In nome di una puerile ideologia
Chiudono la bocca al Dialogo,
Sordomuta resta la Diplomazia,
Corrono a sostener la Guerra
Lo stratega, la Scienza e la Tecnologia
Per quella chiamata “Santa”, oppur “Civile”,
Nonché “d’Indipendenza” o per la “Libertà”
La Guerra è più sporca di un porcile
Giustificata sempre da grandi falsità
Dicendo che col sangue nemico lavano,
Le Colpe, le Offese e il Disonore,
Quegli occhi pieni d’odio non vedono
Il sudiciume di tutto quell’ orrore
Per acquietar coscienze il prete benedice,
La Bomba e i Cannoni ed il Soldato,
E sull’altro fronte un altro cappellano benedice
I morti che la bomba benedetta a provocato
I morti, per scrupolo morale e religioso,
Con un eufemismo li chiamano: “Caduti”,
Ma quei morti, per i capricci di un esoso,
Furono prima ingannati e poi abbattuti
A volte fan più senso i vivi, anziché i morti,
Che vagano con gli occhi volti al vuoto
Come corpi che dalle tombe son risorti
Nella vana ricerca di un paradiso ignoto
Fra il pianto della vedova e del bambino,
Il milite cerca falsa gioia nel Bordello
E la prostituta, in cambio del quattrino,
Vende il suo corpo alla “Carne da macello”.
Si diffondono mortali malattie veneree
Disertato è il lavoro agreste o di laboratorio
Il mondo si riempie di lacere miserie
E si trasforma in un tragico mortorio
Questo è il sacrificio offerto sull’altare,
Di quell’Iddio che il mito chiamò: Marte
Per non voler agire con amore,
Genera distruzione, lacrime e Morte.
A fine Guerra, i vinti e i vincitori,
Contano le vittime che vi han partecipato
Si chiedono se, da tutti quegli orrori,
Qualche lezione l’uomo abbia imparato
Uccidere chi uccide, per dimostrare,
Che uccidere qualcuno sia sbagliato,
Rimane assai difficile da spiegare
Ad un popolo che si stima emancipato
Assieme ai morti, rimangono feriti,
Il fisico, la mente, e pure il cuore
Col dubbio, che i morti non siano serviti
A debellar la Guerra, il cui spirito non muore
Anche se finisse la guerra col nemico,
Continuerà quella contro se stesso
Se l’uomo della Vita non è amico
E non ama gli altri come se stesso
Al sangue di Abele, che grida ancora,
S’aggiunge quello con cui scritta fu la Storia
Di una civiltà che la vita disonora
Perché si crede superior con la sua boria
L’unica pace che la Guerra abbia portato,
Sia la guerra di un Regno o di un Impero,
Oppure quella del Magnate o del Papato,
È solo la Pace che regna al Cimitero.
Vitaliano Vagnini – (Pesaro 1970-72)
(Tragici giorni da ricordare: 6 e 9 agosto 1945)
HIROSHIMA E NAGASAKI
Il vecchio e la sua fedele compagna
Ricordano nostalgici il passato,
Il giovane progetta il suo futuro,
Non sa quanto sarà breve e scuro!
La madre attende il suo amato,
Lo sposo al quale giurò lealtà.
Ingenui bimbi giocano a far l’amore,
Ma tutto finì quel giorno in un vapore
Fu un’abbagliante luce mortale
Quell’accecante fungo che nel cielo,
Crebbe nel tempo di un istante
Cancellando la città e il suo abitante
Fu Paul che pilotò il bombardiere,
Chiamato con il nome di sua madre.
Volando alto nel cielo “Enola Gay”
Sganciò la bomba chiamata Little Boy
Quel milite ha ancor davanti agli occhi
Ciò che nei secoli non si vide mai:
Egli diede il lungo sonno alla vita altrui,
Sonno, che la coscienza tolse pure a lui
Questi irresponsabili criminali istinti
Han fatto un gran progresso.
Sono partiti da Caino
E sono ancora in cammino.
L’adorator di Marte non è pago
Di seminare distruzione e morte,
Di vedere dissolversi al calore,
La vita in un istantaneo orrore.
Continua ad innalzare a questo dio
Patriottici Canti ed epiche Preghiere
Continua ad offrir sul suo Altare
Civili e Militari da scannare
Quando si convertirà ad altro rito
Il debole e cieco suo seguace
Per esser, senza armi, il vincitore
D’una guerra d’Amore?
Ancor nel vento s’ode il grido,
Stridente, di Hiroshima e Nagasaki,
Mentre la coscienza del potente tace
Per quella orrenda strage
“C’è vita intelligente nello spazio?”
Viaggiando sulla Luna e Marte
Questo la scienza chiede.
In terra, purtroppo, non si vede!
Dov’è il saggio? Dov’è lo scriba?
Dov’è la voce di chi educa coscienze?
Non c’è traccia in tutto l’universo
D’un agire così perverso!
Fiumi di parole e prosa
Scrivono per esaltar la pace,
Ma rimangono solo teorie
Senza trasformarsi in poesie.
Vanto è per l’uomo aver prodotto
L’abbagliante atomico fuoco,
Non luce di verità e sapienza
Ma di stupida demenza
L’uomo di poter non si ravvide
Vedendo il radioattivo fungo
Disperdersi nell’aria e nel vento
Per seminare morte nel tempo.
Pregna d’invisibile veleno.
La mente umana è ottenebrata
E non desiste dal creare
Un più potente ordigno nucleare
Or nel mondo son tante le Nazioni
A gloriarsi d’aver questo strumento.
Stolto vanto, nel gioco di potere,
La fittizia Pace basata sul timore.
Ci vogliono fatti e non parole
Per fare un mondo migliore.
Potrà mai una semplice Poesia
Fermar questa umana follia?
L’insanguinata mano non si ferma
Dal cercare vanagloria e soldo.
All’uomo di potere non piace
Vivere… e far vivere in pace!
Vitaliano Vagnini (06 agosto 2021)
BRANDELLI DI MEMORIA
Brandelli di memoria che si vogliono smaltire.
Vergogna sopita e addormentata nell’era del mentire
inebriata dall’acre odore del sangue
Son eredi di quell’uomo che seminò vento e tempeste
invitando suo fratello, con l’inganno, al lavoro agreste.
Lo uccise, non padroneggiando la sua invidia e gelosia
Quel sangue che ancor invoca giustizia dalla terra
non ferma ancora chi s’impegna nella guerra.
Con mani insanguinate corre ancor nel sentiero di Caino.
Aiutati da sapienza artificiale s’ode il grido e si ripete il lutto.
Mediante quella sapienza usata male vedi il luogo distrutto!
Bombardano città, mulini, donne vecchi e bambini
Due rivali potenze mondiali alla conquista del mondo,
plagiano le genti con promesse di prosperità e pace,
mascherando le loro mire, mentre il cannone non tace
Vedi fumar le torri, ma non più il camino del forno.
Vede uccidere le genti dal capo d’una armata
Vedi il sangue e i brandelli di carne umana macellata
Tornano su carri quelle bare avvolte da bandiere
al lato delle quali pendono lunghe bande nere,
foriere d’una fine deleteria, di macabra materia.
Il Clero, vestito con un saio, benedice ad arte
il nuovo macellaio dicendgli: “Dio è dalla tua parte”
e toglie a questa storia ogni brandello di misericordia
Un’antica e triste storia di genti erranti e brune
segnate da gravi sfortune e da un avido padrone
che falsamente promise: “prosperità e unione”.
Sognano terre ubertose per cambiar la loro sorte,
fra alte onde schiumose lottando con la morte
mentre una falsa civiltà osserva curiosa e sgomenta.
Finito il massacro, cominciano i funerali e i pianti
di orfani e vedove fra le macerie, ma gonfio di boria,
il vincitore marcia calpestando brandelli di memoria.
Vitaliano Vagnini (27/06/2023)