Letture
Augusto Blotto “I mattini partivi” Nino Aragno Editore 2013 (euro 10,00)
Ad annunciare il libro – come scrive Giovanni Tesio – un titolo assai bello I mattini partivi. In quest’opera originale e significativa, Augusto Blotto dialoga con se stesso, confidando alla propria memoria la consuetudine di un antico adagio. E’ poi il sottotitolo a definire spazi e tempi: «un angolo di pianura» e una corona di itinerari compiuti in sessantun anni di poesia, dal 1951 al 2012. Augusto Blotto riesce a risvegliare il sonno della lingua.
Dalla nota di lettura di Giovanni Tesio
«Non è poeta chi non si fissa in una visione che i suoi occhi possono misurare». Estrarre questa scheggia di poetica dal Fanciullino del Pascoli per applicarla a un poeta come Augusto Blotto potrebbe sembrare – nel migliore dei casi – una specie forzatura. E di fatto non intendo fare di Blotto un seguace del Pascoli. Ciò non significa che la poesia di Blotto – prendo ancora da una considerazione pascoliana – non sia così remota dall’intenzione di fare – come del resto ha visto benissimo Agosti- “da Cicerone alla natura”.
Anzi – se posso azzardare – la poesia di Blotto fa esattamente ciò che Pascoli, il Pascoli questa volta dei Pensieri (e mi scuso per la lunga citazione), scrive a proposito della domanda grande: “che cosa è poesia”: ciò che ci commuove sa sempre di insolito e di nuovo. Se noi vogliamo esprimere questo che, e a noi e agli altri, troviamo che la parola per esprimerlo, poiché è per noi nuovo, non c’è. […]
–
I mattini partivi quando ombra queta
dalle gronde arrossate immobilmente
ascoltava madrepora che andava
rosa-nerastra, fiati, fumi, ultime
nuvole della notte sulla città
senz’uomini, tagliata coi vialetti,
fontane sonore vanamente,
le conchiglie di polvere alle piazze
ove i passi gelati sono ricordo in navette
fumose, del terriccio quasi celeste.
Odore di benzina
e pino nel chiaro
d’alba come
ricordo. Pastoso
m’abbracciava litaniando l’arancio sul verde,
entrambi nel cielo, ancora come buio,
poi nascevano a svolti i frutti dei binari
rossi e sola l’ombra
d’una chiesa oltre il perdersi di fili
limacciosi, le pieghe del deposito
a cupola sulle tornanti locomotive,
come fanciulle stanche, e le azzurre
altre locomotive al focolare umide
– verde cigola un pendolo di vapore
e ingenuità, chiarezza d’una bambina imprevista –
screziate dalla pioggia,
l’ombra sola
di chiesa verdeggiante alla brumale
natività respirava coi passeri
supini alle campane ferme.
Voci
d’operai
rosso argento,
per vie
di città come alla solitudine
dei campi.
Poi veri campi di distesi passeri
folli alle stoppie, ondulazione tinnula
all’infinito di rugiade: pagliai
scoloranti nell’acque di pianura,
laghetti di sovrana calma ai marci
solchi di nero struggente sul rosso
azzurro fantasiare delle acque
quasi immobili: il sericeo
vento alle orecchie in cricchi duri, amato
risvegliarsi di falci in alto argento
oltre le siepi, ignote, come testamenti
gomiti delle donne agre ancora
del volume ceruleo d’appannato
sonno, e alle prime erbe non potevano
cantare nell’umido: fontane;
discorsi
legati col silenzio di finestre
verdi, in paesi presto dimenticati;
e le argille più scabre, la ricchezza
dei castagni alle curve pure, parapetti
luminosi nel mattino di querce chiare,
tabernacoli, vuoti, pasciuti;
già pascoli di meraviglia
e sole inavveduto;
prolungamento preparato di muscoli
verso una vetta boschiva e di brume
pesanti ancora là in bottiglione grigio sul verde…
maggio 1951
da
Magnanimità
Schwarz, Milano 1958
*
Questo si può chiamare fiore o cielo,
ma non vale che averlo.
Ombra d’estremi
azzurrissimi uccelli infiora il manto
del presente: cristalli arsi e regali
ora tolgono rame al rame e infanzia al
cielo nativo:
si percorre un’altra
via d’assunzione ai lastrici d’albata
mattina verso montagne con gocce di dolce
benzina è questo il sogno
di squarciare l’attesa a calce pelosa
di volti… I giornali che galleggiano…
giugno 1951
da
La sera del 21 giugno
inedito
PIEMONTE D’ASSEDI
Tra Cercenasco e Vigone un casello.
Aveva piovuto sulla pianura di gore (e rimaneva
tutto completamente
nuvoloso, in pieno, oscuro,
glauco) e l’instabilità diafana
delle gemme inumidiva,
completamente nuvolosa, come una vera stanza, subito
seccata, il resto dell’asfalto dove non era pensoso
in pozze, libero di polvere.
Pure, la polvere era color glauco.
E uccelli dai pioppi confrontarono il chiarore che
dalle lance lavate di nuvole persistenti, un gradino
bianche, un gradino nere,
verso Pinerolo, sciacquava
giungendo la pianura straripata, col breve della luce
di forti secoli, altri secoli su quella pianura di guance
verdi, cerati, lo spalto dei forti a cinque raggi biancheggia
sul saporito dei castagni da auto domenicali
in terriccio
marron, e spianate con la gobbetta da capire
nel rigido nuvolo, sensibili alla luce, quasi rosse,
Giaveno, le montagne per oggi sono oscurate, e un
perizoma pioverà sui casali, ventaglio
dell’incolore, di
voci vimine o sui mulini, ove una finestretta
lascia vedere
quelle voci, nel cumulo arrossato della caverna
di paglia a torcia, dente.
–
Augusto Blotto (Torino, 1933) le poète italien le plus prolifique de son temps et, peut-être, de l’histoire italienne (così Philippe Di Meo presentandone una silloge sulla «Nouvelle Revue Française») è autore di 59 volumi di cui 22 editi e 4 attualmente disponibili in rete. Alcuni titoli comparsi presso Rebellato negli anni ’50-’60: Trepide di prestigio; Svenevole a intelligenza; La forza grossa e varia; Tranquillità e presto atroce; Gentile dovere di congedare vaghi; Castelletti, regali, vedute. Più recentemente: La vivente uniformità dell’animale (con un saggio introduttivo di Stefano Agosti), 2003; Poesie Ticinesi – Alla chiara fonte, 2012. Importanti contributi critici sono contenuti nel volume: Il clamoroso non incominciar neppure, Atti della giornata di studio in onore di Augusto Blotto- 27 novembre 2009, organizzata dall’Università degli Studi di Torino.
un grande poeta, un “monstrum”, l’ultimo direi, ancora in vita, che finalmente viene riconosciuto, data la presenza nella rosa dei finalisti, con questo suo ultimo libro, al Premio Viareggio!