Nello scaffale
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Dalla prefazione di Stefano Strazzabosco
Gli esordi sono come fondazioni di città: si tracciano dei solchi, si bonifica il terreno, si sceglie un sito adatto al tempio, la caserma e il palazzo; si chiama un sacerdote a consacrare il tutto ai numi tutelari, e poi si inizia a costruire, a innalzare le case e le mura. Col tempo, le città crescono o spariscono, diventano grandi o tornano di nuovo solo “arena ed erba”. Cartagine fu rasa al suolo, il suo terreno bruciato col sale, i suoi abitanti trucidati o venduti come schiavi; Roma era stata un semplice guado, ma già nel I secolo contava un milione di abitanti. Vicenza, invece… qualcuno ha voglia di parlare di Vicenza?
Le ragioni del cuore di Mara Seveglievich propongono un tracciato ben definito, ben orientato e soprattutto propizio alla vita – parola che, insieme a “cuore”, ricorre più spesso in queste pagine. Un avamposto, un piccolo paese, non ancora una città, (né tantomeno una lottizzazione); un luogo non lontano dal mare e nemmeno dagli outlet delle grandi firme né – ovviamente – dai negozi di cosmesi; un po’ di stanze dedicate ai Lari (in questo caso il padre), con presenze e affetti (Paolo, Giovanna, la famiglia etc.), provviste di utensili da cucina, di cassettoni e di letti, di libri d’arte e di letteratura. […]
Da : Le ragioni del cuore, di Mara Seveglievich, CampanottoEditore, 2013 (euro 10,00)
Vivo una vita disperata a punte,
stiletti acuti conficcati nel petto,
respiro corto, aria insufficiente;
anelito ad espandersi in un letto
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Le ragioni del cuore
Le ragioni del cuore rosso cinabro glossy
sulle briciole del pane
secco dei miei capelli salepepe,
si affollano come pettirossi,
ma scambiano il cuore
con la mente, becchettano e strappano
a sangue, a croste di pelle secca i fili
luccicanti della ragione.
I palpiti della mente, le pulsazioni
blu ciano squassano il muscolo sbagliato,
che sobbalza e strilla le emozioni
e imulso si contrae lasciando un rivolo di sangue
glauco, slavanto e spento e spanto sul piatto
d’argento che regge la testa del Battista,
il tavolo anatomico apparecchiato e sparecchiato della
casa/morgue.
Il corpo comprime l’affanno e ammaestra
la ridda delle sinapsi
tremulo incedendo nella carne stanca, nella febbre rapsodica
[ delle mani
che non sanno più scrivere,
solo lasciare tracce di senso incerte su fogli nudi. Incolpevoli.
Ma va, crolla e tracolla, s’incaglia e risolleva spavaldo e protervo
anno dopo anno
tallieur dopo tallieur,
trucco dopo trucco,
tacco dopo tacco,
nella danza elegante della guerra, di attacco e di trincea,
Così come in tutte le guerre,
quando naufraghi, reduci, profughi, esuli e relitti
trovano pace in fondo alla luna della sera
semibuia e fresca e garantita d’argento per l’eternità
[(pratico il dubbio),
nel vuoto che c’invade finalmente
e niente esiste più se non lo sbaffo nei
cuori rosa mat
(da ripassare ogni tanto, meglio tenere in borsetta o nella tasca
interna della giacca – sul cuore – un rossetto)
degli altri, i viaggiatori della vita.
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Mara Seveglievich è nata a Vicenza da padre dalmata di Spalato e da madre vicentina.
Ha pubblicato saggi di Storia dell’Arte, materia che insegna in un liceo; ha collaborato con varie riviste e presentato mostre di artisti e amici.
Ama il mare, calpestare la sabbia a piedi nudi, camminare in città con un occhio alle vetrine e l’altro al mondo. Ama la costa dalmata, il biancore liscio e lucente della pietra d’Istria. Ama la Porta Ferrea del Palazzo di Diocleziano e la Riva di Spalato, perché suo padre le ha vissute. Ama la ceramica (non il vetro, per dire) perché è terra, e anche perché suo nonno materno aveva una fabbrica a Vicenza e sua madre ci dipingeva piatti e tazze da giovane.
Non ama le cose e gli animali, ma le persone, anche se a volte non sembra.