I giovani e la poesia
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Maria Laura Panariello, studentessa campana, ha scelto per noi la poesia “La Bufera” di Eugenio Montale.
L’anno di pubblicazione è il 1956. La memoria del poeta è chiusa tra i muri della casa, un luogo d’esilio, e la vicenda, è già accaduta. La bufera si è svolta fuori dal “nido” del focolare domestico. E’ molto probabile, come scrivono molti critici, che il riferimento di Montale in questa poesia, sia la guerra: è di “quella bufera” che il poeta ci parla? E’ possibile, ma, come leggerete, essa è ormai lontana, tanto da essere in un’altra dimensione. Vi è, sullo sfondo della poesia, una “distruzione” portata nel volto di una donna, Mnemosine, (in greco Μνημοσύνη) la Clizia, la messaggera, (o la musa) è “scolpita” nei tratti di un viso, come una condanna. A questa donna, una sorta di sorella, il poeta è profondamente legato:[… ] “- ch’entro te scolpita| porti per tua condanna e che ti lega| più dell’amore a me, strana sorella -“ […]
Dunque, “La bufera” o “la guerra”, ritorna nel volto di una donna. Il poeta la vede, ma è anche “visto” da lei: “sgombra la fronte dalla nube dei capelli”. Un gesto istantaneo, proprio come quello che compie la poesia, quando ci assale e ci guarda, per poi riportarci nel buio della nostra condizione umana. Un lampo, un’apparizione fulminea, svela il nostro volto, e il volto della poesia.
(Luigia Sorrentino)
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La bufera
La bufera che sgronda sulle foglie
dure della magnolia i lunghi tuoni
marzolini e la grandine,
(i suoni di cristallo nel tuo nido
notturno ti sorprendono, dell’oro
che s’è spento sui mogani, sul taglio
dei libri rilegati, brucia ancora
una grana di zucchero nel guscio
delle tue palpebre)
il lampo che candisce
alberi e muri e li sorprende in quella
eternità d’istante – marmo manna
e distruzione – ch’entro te scolpita
porti per tua condanna e che ti lega
più che l’amore a me, strana sorella, –
e poi lo schianto rude, i sistri, il fremere
dei tamburelli sulla fossa fuia,
lo scalpicciare del fandango, e sopra
qualche gesto che annaspa…
Come quando
ti rivolgesti e con la mano, sgombra
la fronte dalla nube dei capelli,
mi salutasti – per entrar nel buio.
di Eugenio Montale
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