Jorie Graham, "Il posto"

 
il_postoE’ in libreria Jorie Graham, Il posto, con testo inglese a fronte, edito nella collana dello Specchio Mondarori (2014).
Per gentile concessione dell’editore, pubblichiamo una delle più belle poesie contenute nella raccolta, CAGNES SUR MER 1950, nella traduzione di Antonella Francini.
Fin dalle prime battute, il libro di Jorie Graham coinvolge il lettore e lo stupisce per l’energia incalzante, per la scrittura ansiosa, che si realizza in un incontenibile fluire di pensieri e immagini. Tra incedere narrativo ad ampio respiro (ma con frequenti fenditure interne) e una sorta di monologo interiore, l’autrice esplora, partendo dai dati della memoria e dalla sua reale esperienza, la molteplicità dell’esistente, le innumerevoli presenze che popolano il mondo, nella loro dimensione temporale, nella meraviglia e nel mistero dell’unica vita loro concessa. Jorie Graham parte da spunti aneddotici, da paesaggi, introduce personaggi di varia natura catturati dalla sua acutezza di osservatrice, come il falco silenzioso, il tronco morto, la talpa, il violinista, l’uomo che lavora, tutti coinvolti nell’immenso esserci eppure sempre in bilico sul nulla e “la sua splenderne vacuità”.
Ne scaturisce una poesia carica di tensione, scandita in ritmi aperti e molto vari, dall’orizzontalità della prosa all’impennarsi improvviso del canto, dentro una complessità magmatica dove figure e apparizioni danzano sulla pagina. Una poesia – qui proposta nella versione italiana di Antonella Francini, che con l’autrice ha lavorato fianco a fianco – che è un’alta avventura intellettuale il cui passo continuamente si inerpica fino al poemetto finale ispirato da una visita alla cattedrale di San Patrizio a Armagh.

CAGNES SUR MER 1950
Sono l’unica a ricordare
la voce di mie madre nell’ombra particolare
dell’arco romano ricolmo di cielo
che oscura le pietre sulla strada in discesa
da dove lei ora risale all’improvviso.
Come l’arco, la voce e l’ombra
violentamente afferrano il piccolo triangolo
della mia anima, un film muto dove note di piano
diventano un corpo impazzito
per le immagini squillanti dello spirito – patria abbandonata – miracolo da cui
si riemerge vivi. Così qui, io di nuovo
rileggo il libro del tempo,
il mio unico tempo, come se ci fosse un fatale errore la cui
natura non so rintracciare – o la forma –  o l’origine –
prendo la creatura e la riporto
sul posto dove io sono un minuscolo serbatoio di sangue, cinque chili d’ossa
e tendini e altre cose – già condannata a quest’unica anima –
che dicono pesi meno d’una piuma, o tanto
quanto un centinaio di grammi quando cresce – come in un viaggio ropercorro
quelle arterie, il prezioso liquido, il campo di metodi, agonie,
stupori – che io non sprechi gli stupori –
che non uccida per errore fratello, sorella – mi
siederò con audacia una volta ancora sul mio inizio,
macchia scura dove una storia non diventa ancora un’altra,
e parole, non giunte a me ancora, ancora non proveranno a dirmi
da dove vengono le cose, né dove vanno,
dove risplenderà il flusso dell’inclinazione
nella sua veloce discesa. E mi sembrerà
tutta una leggenda,
una di quelle in cui non c’è modo di voltarsi indietro
ma voltarsi si deve, pagando sì, ma voltarsi si deve…
Era d’estate in un paese in collina al sud.
Era prima che io conoscessi la conoscenza.
La mente correva ovunque e restava immobile al centro.
E non era scomodo.
Un uccello cantò, si aggiunse all’ombra
sotto l’arco.
Penso da questa distanza
che ero felice.
Penso da questa distanza.
Ero seduta. Era prima di saper camminare.
Solo la mia anima camminava ovunque senza peso.
Dove declinava la strada tutto spariva.
Proprio come immaginavo dovesse accadere.
Apparire e sparire.
Nella mia unica vita.
Quando s’avvicinò la voce di mia madre aveva un corpo.
Aveva braccia e abbracciavano qualcosa
che doveva essere un cesto. La mia mente ora
può girarle intorno, e davanti, e avvolgerla
come le sue braccia avvolgevano quel cesto.
E doveva essere di vimini
perché nella luce vedo molte sfumature di marrone, le punte bianche
quando esce dall’ombra
dove non si vede nulla eccetto le sue mani
e il suo portare. E quando il suo corpo arriva
arriva con tanti limoni tutti illuminati, interamente avvolti nel sole,
che il pesante cesto ancora contiene,
e le sue unghie brillanti intrecciate,
e lo sguardo sul viso mi cerca,
sguardo simile a quelle cose brillanti che portava
davanti, un nuovo ventre.
Tutto ciò che avrei inventato in questa vita è la nel cesto di vimini fra i limoni.
Venuto da sotto l’orizzonte, da dove sale il rumore del mercato
su all’intima aria dove lei si muove,
dove lei è ancora una donna intera, una donna di volontà,
e io sento gridare quel che devono essere prezzi e nomi
di fiori e frutta e carne e animali chiusi in piccole gabbie,
tutto sotto di noi, dal fondo del villaggio, da quella parte
per me così comoda che è invisibile,
dove ogni cosa deve essere venduta per mezzogiorno.
Penso fosse in quel momento che mi fu dato il mio nome,
quando ho sentito la prima volta i prezzi portati dalle voci
mentre la sua faccia s’apriva in un sorriso chinandosi verso di me
per dire eccoti, eccoti

Jorie Graham è nata a New York nel 1950, è fra i maggiori esponenti della poesia statunitense oggi. E’ cresciuta a Roma, ha studiato filosofia alla Sorbona di Parigi prima di frequentare la New York University come studentessa universitaria, dove ha studiato cinema.
Graham è autore di dodici raccolte di poesie e con The Dream of the Unified Field, una scelta di testi dal 1974 al 1994, ha vinto nel 1996 il premio Pulitzer per la Poesia.
Vive a Cambridge, Massachuttes, e insegna all’Università di Harward, dove è succedeuta in cattedra al poeta premio Nobel Seamous Heaney. Nel 2013 ha vinto in Italia il Premio Nonino e nel 2014, il premio Ceppo Internazionale Bigongiari. Nel 2008 è uscito in lingua italiana L’angelo custode della piccola utopia. Poesie scelte 1983-2005.
RIFERIMENTI
http://www.poetryfoundation.org/bio/jorie-graham
 

3 pensieri su “Jorie Graham, "Il posto"

  1. Incommentabile…tanto è ricca di immagini, audace quel suo andare avanti e indietro nella sua vita, approdando all’inizio… e da qui avere una insolita prospettiva sul suo futuro…che si sarebbe (si è) realizzato negli anni. Grande dominio sul viaggio a ritroso e viceversa con diversi cambiamenti di prospettiva nei due sensi…
    Resto a bocca aperta, muto.

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