Senz'arma che dia carne all'imperium

panero
Letture

La morte di Leopoldo María Panero il 6 marzo 2014, a 65 anni, a Las Palmas, in Spagna, in una clinica psichiatrica, mi ha lasciato molta amarezza. Se dovessi spiegare perché, potrei dirvi che avrei voluto incontrarlo, parlargli, dirgli qualcosa, prima che se ne andasse. Il poeta spagnolo era profondamente segnato dall’esperienza di una malattia che lascia segni indelebili nella vita di una persona. Eppure, ha scritto versi assoluti, che testimoniano l’assoluta solitudine dell’uomo, il disperato desiderio di consegnare una parola unificata, ai molti che erano in lui, per riappacificarsi con l’uno dalle molte persone.
Il libro “Senz’arma che dia carne all’imperium”, di Leopoldo María Panero (nella foto) e di Ianus Pravo (Società Editrice Fiorentina, 2011) è di certo da leggere.  E’ un’opera disarmante, nichilista, come afferma Paolo Valesio nella quarta di copertina, “ripete l’antico topos : ‘L’unico crimine che esiste è esistere’. “Vorrei con un colpo di nausea distruggere il mondo” scrive Panero nella sua parte, confermando che per lui la poesia nasce da un rifiuto, da un conato, da un atto totale di digiuno, penitenza, privazione.  
ianus_pravoLe poesie scritte a due mani da Leopoldo María Panero e Ianus Pravo (nella foto qui accanto) sono in una dimensione estrema, claustrofobica, al limite dell’esasperazione: l’uomo sembra soltanto un pronome, eretto nel vuoto, nell’assoluta assenza di Dio fuori dalla pagina. “La vita non esiste e Dio cade sulla pagina”, scrive Panero in un testo più sotto riportato, confermando la ragione inflessibile della sua poesia.
Le due voci, sedute l’una di fronte all’altra, sono sulle tracce dell’uno e dell’altro, senza dialogo, negano d’imperio il prossimo. Uno che avvinghia Due/ come un nudo di nebbia sulla mano/ come una mano di fango sul ricordo“, scrive Pravo in un suo testo, conferma l’impossibilità di raggiungersi: altrove scrive: “Tu mi guardi e mi dai la morte“. L’unione avviene, sulla pagina, (vedo ora la mano di Pravo che si posa su quella di Panero), le linee degli occhi si incontrano in uno sguardo lungo, nella pietà delle mani. Ma, avverte Panero nell’introduzione al libro, “tutta la storia si riassume nel quinto postulato di Euclide, che dice che due linee parallele non possono unirsi all’infinito – ma per Lobachewski sì, si possono unire -: e questo quinto postulato di Euclide metamorfizza questa impossibile unità dell’uno con l’altro: è così che il desiderio dell’uomo ha origine in questa misteriosa manque dell’altro o, è lo stesso, dell’io.”
(Luigia Sorrentino)
senzarmaNota
L’introduzione di Panero e le poesie da lui firmate in questo libro sono state dettatte direttamente in italiano a Ianus Pravo che ha solo corretto qualche raro ispanismo al momento della dettatura e sempre d’accordo con Panero che ben conosceva la lingua italiana per avere frequentato negli anni Sessanta il liceo italiano di Madrid.

Dall’Introduzione di Andrea Ponso

Non mi è facile scrivere qualcosa su questo libro; credo non sia facile per nessuno. Il motivo è chiaro ed è il motore immobile di tutta l’opera: è il rifiuto impossibile dell‘Altro e il desiderio, altrettanto impossibile, per l’altro, nei confronti dell’altro. I testi che si susseguono in un testa a testa, letterale potremmo dire e fuor di metafora, finché una delle due teste si spacchi nell’altra, finalmente, in una catastrofe che è allo stesso tempo negativa e rigenerativa, come il cancro citato nello scritto iniziale di Panero – i testi, dicevo, hanno magari in alcuni punti costruzioni ellittiche, quale torsione sotterranea di tipo grammaticale, quasi impercettibile, e un ritmo difficile da percepire ad un primo ascolto ( e forse la sordità è l’unico mezzo di condivisione?), ma non sono “difficili” in sé: ripetono ossessivamente parole fruste nella spazzatura di un retrobottega della letteratura e del mondo.
Dalla quarta di copertina di Alessandro Polcri
Quella di Ianus Pravo è una poesia che ‘si svincola’. Alla lettura si è immersi in un agone. Vi è rappresentata la lotta particolare dell’autore con se stesso, la volontà di sopprimere il proprio io che va disarmato, cioè va privato di un corpo-carne su cui esercitare il proprio imperium.
Da: “Senz’arma che dia carne all’imperium“, di Leopoldo María Panero e Ianus Pravo, Società Editrice Fiorentina, 2013
*
Guarda il grido sanguinare.
Guarda il grido sanguinare.
Sangue a muro che si apre
muro a corpo che si apre
che si apre corpo a reddito
corpo reddito a corruzione,
vuole, può, non vuole reddito,
solo è reddito, a corruzione
               Ianus Pravo
 
*
Corpo come ciò che è stato
già non sarà, sarà di più
un tempo morto tra le risa
di due, due come mille,
parlanti crollati in risa
dal silenzio delle proprie frasi
risa come pane a tutto ciò
da cui il corpo è assente,
corpo assente al pane
ventre che trema
sul riso.
                Ianus Pravo
*
Grida sull’erba,
alberi cami sulla terra.
Siamo al limite del crollo,
sulla linea che bacia
l’ondata nera della terra,
il bacio asciutto dell’incudine.
                Ianus Pravo
Il gelo ai gelidi, per esser gelidi,
e questo corpo gelido al corpo
mort parmi ses mouches mortes
altro da altro, due, nel radium
che non conosce, e che vede
appartando il braccio dal ventre,
lasciando libera la fame,
a muro del respiro.
                Ianus Pravo
 
*
L’arancia cade dalla mia mano morta
e rotola sulla strada
perseguitata dal cane dell’immondizia
dal cane atroce della vita.
                 Leopoldo María Panero
 
*
 
La vita è una bestia immonda
che sussurra all’oscurità
e piove sul poema
come una lacrima sulla sete
che scrive all’inverso l’universo.
                 Leopoldo María Panero
 
*
La vita non esiste e Dio Cade sulla pagina
implora elemosina al Dio della pioggia
all’unico Dio che esiste che è la pagina
la parola che riscrive l’universo
si attorciglia sul mio collo
e uccide la vita
la vita che, il Papa Borgia lo disse,
ha un valore molto scarso. 
                  Leopoldo María Panero
 
I miei piedi sono d’inchiostro
l’inchiostro che bacia la tortura della pace
perché, l’ha detto mio padre, il poema
si attorciglia come l’edera sulla mia pagina
la pagina che non esiste ed è
il verme della vita
che i vermi divorassero il torello morto,
l’ha detto per sempre Ezra Pound a Venezia,
morto vivo morto vivo
inchiodato alla pagina che è Venezia.
               Leopoldo María Panero
 
*
La pagina è un vecchio che sussurra all’oscurità
con una rosa che cade sulle mie labbra
e il verso è soltanto cenere che cade
sugli uomini
ch’io non avrei creduto
che morte tanta ne avesse disfatta
diceva sulla mia mano Dante Alighieri
Buffalo Bill’s defunct
Buffalo Bill è morto
con un cuscino sulla schiena di Caronte
che stanotte mi guarderà implorando
carità ai vivi perché non mi
sputino in viso la parola morte,
               Leopoldo  María Panero 
*
Dos brais e criz dei pani e dei pesci
la bocca è la ferita al Dio,
cioè Dio, cioè pane e pagina
e rosso e bianco e nuda altura,
la bocca morta del leopardo
dove eiaculare accarezza carogna,
nuda bianca altura della pagina
sul rosso all’orlo della tazza di gazpacho.
Un long pie nu sur ma bouche
il lungo bacio alla pianta nuda del piede
offrendo il proprio peccato alla peccatrice,
il peccato testa osservante la nudità della peccatrice
questa suola di piede sulle mie labbra
                 Ianus Pravo
 
*
 
Ah lo spettro di Benito Mussolini
che lecca la mia mano che scrive
e la pioggia cade sul poema
come in Shock Corridor di Samuel Fuller
dove piove sulle pareti del manicomio
e la vita è soltanto la scienza di vivere
la vita è un vescovo che prega l’oscurità
implora carità alla morte unica signora.
Gesti e gesti tra gli uomini
come tra le scimmie
e dicono che questo è un uomo
perché somiglia a una scimmia
una cenere che cade sul corpo di Gramsci,
una bocca lenta e secca
senza sputo per bagnar di bianco
il bianco della pagina
                Leopoldo María Panero
 
*
 
A te Ovidio, principe della pagina
Signora del mio naso
del naso storto dove piove
sulla mia identità perduta
I am, but what I am none cares or knows
My friends forsake me like a memory lost
I am the self-consumer of my woes
E la luna risplende sul mio cranio
e cade come pioggia la neve
la neve è un inferno
da mostrare come un fiore agli uomini
Chi sono io? sussurra la pagina
e una mano si muove lentamente
riscrivendo all’inverso l’universo
implorando la pagina per non soffrire
nel doppio che riscrive l’universo
e l’uomo non deve soffrire
deve soltanto scrivere
Chi sono io? sussurra un vecchio prima di morire
Nessuno sa, Borges l’ha detto,
dopo tutta una vita nessuno sa chi è,
cos’è quell’estraneo che si rispecchia
nel dolore senza dolore della pagina.
               Leopoldo María Panero
 
*
Questa è la mano di Muzio
la mano in fiamme dell’alba
un’unica volta vacilli la mano
le mani atterrite sul volto
gridato dal ventre, quasi Celan,
Thou hast a lap full of seed.
Le mani dell’impiccato sulla corca,
sul nodo scorsoio dalla cui stretta nasce
l’oscillazione del corpo, del ventre verticale
e del rizoma delle mani.
                   Ianus Pravo
 
*
 
Death you shall die
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
Dylan Thomas o Pavese
queste parole
s’impiccano ridicolmente ai lampioni,
Mallarmé l’ha detto,
Ridiculous the waste sad time
Stretching before and after, Eliot l’ha detto,
morirò ubriaco impiccato ridicolmente al lampione,
Emmanuele, tra gli uomini,
come un goffo sogno tra gli uomini,
e i bimbi correranno ancora intorno a me
gridando stoltamente Scardanelli! Scardanelli!
Scardanelli! per sempre
ombre di un ubriaco che si chiama vita.
                 Leopoldo María Panero
 
*
 
Cerebrum non habet
questo zero è una specie di uno
l’acefalo è una forma di non-Due
di non-timore, mudrá del non temere, se da deýdo è il
                                                                                dýo.
Ma siamo due a spaccare un unico
cervello, siamo vicini allo zero
ed il terrore incendia la sua aquila
il volo dei corpi
via dall’a-pollá
occhio dove occhio non c’è
e ciò che non è occhio tra due sguardi
come la Shekina to she sessions of seewt silent thought
habet cerebrum et silentium.
                 Ianus Pravo
 
*
 
O ciò che non è mai stato non lo è stato.
O non lo è stato a sufficienza. Così se
lo zero è zero, è non pensato, è non detto,
non è ciò che è, le cose che tacere è bello.
Se lo zero è qualcosa che non raggiunge l’uno
è l’allegrezza di Cristo fatta due,
sparagmós che abortisce l’è, Verneinung del Cristo
la cui bellezza è di non essere a sufficienza,
la cui bellezza è di non essere Cristo.
Commoto di cosa e corpo, di scorporo
vibrazione prensile, apre, non stringe,
i propri margini di mano e morto
e sta d’un accennato obliato star,
un che che non sia stato ma perduri,
indifferenza a unire inferno e segno.
                 Ianus Pravo
 
*
 
Che strana cosa il poema
cianfrusaglia per mercanteggiare con gli indigeni
per ingannare la morte
per soffiare all’udito della morte Gesù
per soffiare all’udito della morte Belial
chi era questo bambino che muore tutti i giorni
nella pagina che non esiste
er resplan las flors enversa
il fiore che è un suono sputato sulla mano
la mano asciugata dal vento della pagina
dal vento che non esiste sulla pagina che non esiste
e l’uomo muore nello specchio del nulla
travolto dal nulla
sputato dagli uomini
che non sanno cosa sputano.
                  Leopoldo María Panero
– 
Leopoldo María Panero (Madrid, 16 giugno 1948 – Las Palmas di Gran Canaria, 5 marzo 2014) è autore dell’opera più radicale della poesia spagnola contemporanea. Ha pubblicato più di cinquanta libri, tra poesia, saggistica e narrativa. A cominciare dall’età di vent’anni, la sua vita è stata un susseguirsi di violente esperienze, dai tentati suicidi alla dipendenza dall’alcool e dalle droghe, con ripeturi ricoveri in istituti psichiatrici per schizofrenia e paranoia. Tra le sue opere più importanti: “Asi se fundò Carnaby Street” (Llibres de Sinera, Barcelona 1970), “Narciso en el acorde último de las flautas” (Visor, Madrid 1979), “Heroína y otros poemas” (Libertarias, Madrid 1992), “Piedra negra o del temblar” (Libertarias, Madrid 1994), “Teoría del miedo” (Igitur, Tarragona 2000), “Golem” (Igitur, 2008). Leopoldo María Panero si è spento nell’ospedale psichiatrico di Las Palmas di Gran Canaria dove ha vissuto gran parte della sua vita.  
Janus Pravo è nato nel Veneto, ma risiede a Barcellona, in Catalogna, dagli anni Ottanta. Ha vissuto anche in Argentina, Sudafrica, Israele. Ha pubblicato due volumi di poesia e una traduzione dei Canti Orfici di Dino Campana (Zaragoza 1999).
Ha tradotto in italiano i seguenti libri di Leopoldo María Panero: “Narciso nell’accordo estremo dei flauti” (Azimut, Roma 2005), “Dal manicomio di Mondragón” (Azimut, Roma 2007), “Peter Pan non è che un nome. Poesie 1970-2008” (Il Ponte del Sale, Rovigo 2011, in collaborazione con Sebastiano Gatto).

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