E’ in libreria l’intera opera poetica di Roberto Mussapi, la prima raccolta in un unico volume dalla casa editrice Ponte alle Grazie, curata da Francesco Napoli. Prefazione di Wole Soyinka e saggio introduttivo di Yves Bonnefoy.
A te, lontano da lei, manca una donna,
a me, se lei non c’è, manca me stesso.
IL LIBRO
Nella prefazione al volume, il Premio Nobel Wole Soyinka rammenta con sapienza che “Mussapi non vizia il suo lettore – o, per dirla in modo più accurato, il suo complice, il suo compagno di viaggio – con uno spiegamento di metafore mentre evoca le figure storiche o gli archetipi. Persino le emozioni – concesse raramente, e quasi a malincuore – si trasformano in immagini archetipiche del viaggio umano”. E così il tratto distintivo della poesia mussapiana può essere colto nella sempre elegante compostezza di intonazione e nella naturale ampiezza di respiro dove estro e sensibilità poetica sanno spaziare in un’articolata e progressiva architettura della parola dalla nitida forza comunicativa pienamente ravvisabile nel percorso fin qui tracciato da Mussapi. E con altrettanta sapienza Yves Bonnefoy nel Saggio introduttivo a quest’opera ricorda a noi lettori come il poeta sappia ascoltare “il sé profondo” per poi muovere “coraggiosamente, verso di lui in pagine che sono come un assopimento, ma per un risveglio in un altrove; ed egli non sa dove. Perché non bisogna credere che questa apertura del sé ai suoi arcani si accompagni in lui all’illusione di poter penetrare i loro sensi ultimi”.
Per la prima volta messa a disposizione in un unico volume l’intera opera poetica di Roberto Mussapi, viene finalmente reso concreto l’accesso a oltre trent’anni di un’attività che rappresenta una delle esperienze di maggior spicco nel panorama della cultura letteraria non solo italiana, quella di chi può essere collocato a pieno titolo nella linea portante della poesia europea contemporanea, da Rilke a Yeats a Heaney.
Dal Saggio Introduttivo di Yves Bonnefoy alle poesie di Roberto Mussapi
«Sicelides Musae, paulo maiora canamus», scrive Virgilio all’inizio della Quarta Ecloga, «Muse di Sicilia, innalziamo un poco il tono del nostro canto».
I grandi poeti sanno che la poesia si decide nel segno più istintivo, se non il più inconscio, del rapporto dell’individuo con se stesso, ciò che è più veridico assume spesso l’aspetto di ciò che è meno ambizioso, più umile. Tuttavia non sono mai mancati i motivi per desiderare di levare gli occhi dagli accidenti della propria specifica condizione per abbracciare con lo sguardo l’intero orizzonte dell’umano. Il che non vuol dire liberarsi dai vincoli della vita vissuta, privarsi delle percezioni, degli affetti, delle gioie o dei dolori che sono, nella scrittura, il solo respiro veramente profondo dello spirito, quanto piuttosto allargare questa esperienza rimasta fondamentale grazie all’esame di ciò che, nella società, nella storia, declina gli avvenimenti dell’esistenza particolare, talvolta perfino suscitandoli. Una poesia in grado di vivere in modo non solo spontaneo, ma anche riflessivo ed esplicito tale identità di universale e di singolare, quale le poesie più autentiche sempre stabiliscono. Virgilio, Dante, Baudelaire, Rimbaud o Yeats sono stati poeti di questa natura, a differenza di Shakespeare o di Villon, che si votavano invece con così tanta forza all’immediatezza degli scambi da non potersi concedere il tempo per il pensiero che formula la filosofia della poesia. […]
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La terra incerta
Ci furono momenti di illusione e panico,
in quella infinita vacanza d’inverno.
Ogni momento durava ore e giorni,
ma rivissuto appare un attimo,
incastonato com’era nel buio assoluto
della notte polare senza luce e tempo.
Tre volte i ghiacci si sciolsero
attorno alla chiglia, e tentammo la fuga,
tre volte intensificarono la stretta
cercando di stritolarci nell’abbraccio
quando ci era preclusa ogni scelta
per l’incertezza dello strato oscillante,
non sufficientemente ghiaccio né acqua,
non navigabile o percorribile a piedi.
Panico e illusione non sempre distinti,
ma crudelmente, crudelmente avvinti.
Alle dieci di mattina del primo agosto,
mentre i conduttori di slitte spalavano
la neve accanto alle cucce dei cani,
una forte scossa attraversò il blocco,
seguita da uno scricchiolio lunghissimo:
l’Endurance si sollevò a sinistra
e ricadde nell’acqua rollando.
Il banco si era spezzato e la nave era libera.
Shackleton salì sul ponte e noi lo seguimmo.
Diede ordine di portare i cani a bordo,
e in otto minuti la cosa fu fatta.
Mentre ritiravamo la scala reale,
la nave si mosse di colpo di fianco e in avanti,
spinta dalla forza del ghiaccio
che la premeva di lato e di sotto.
La lastra che l’aveva imprigionata e protetta
ora battendo sulla fiancata frantumava
le piccole cucce di ghiaccio costruite
per proteggere i cani di notte.
Per quindici minuti la morsa crebbe
finché spinta da poppa la prua dell’Endurance
montò lentamente su una lastra.
La sentimmo salire con la salvezza
mentre il ghiaccio si riassestava attorno.
La nave rimase con la prua sollevata
inclinata cinque gradi a sinistra.
Avevamo allestito le scialuppe
e gli abiti più caldi, per evacuarla,
ma come all’inizio era stato illusorio
lo sciogliersi dei ghiacci, era fallita
la loro presa definitiva e mortale.
Se qualcosa avesse impedito alla nave di alzarsi
lo scafo si sarebbe sgretolato
come un guscio d’uovo tra due dita.
Nel frantumarsi e ricomporsi dei ghiacci
un grosso lastrone del vecchio blocco
era rimasto intatto ma inclinato
e le tracce delle slitte che l’avevano solcato
sembravano in salita.
Riprendemmo le partite di football sul ghiaccio,
istruivamo i cuccioli al traino,
al Ritz tornarono musica e Shakespeare,
Lanterna Magica e partite a carte.
La notte antartica andava scemando.
Da tre arrivammo a sette ore di luce,
senza stupore né abbaglio,
ma come un lento risveglio da un letargo
universale e perenne, dove la notte
non era che un annuncio più visibile
di un sonno eterno, buio, invincibile,
come quando vedi appeso alla forca
non solo il corpo del condannato che penzola
ma tutti noi in preda alla storia.
Il ventinove di agosto a mezzanotte
un solo forte colpo scosse la nave,
ci alzammo in piedi correndo sul ponte.
Poi nel rinascente e immediato silenzio
vedemmo una nuova fenditura nel ghiaccio.
La notte seguente la chiglia dell’Endurance
scricchiolava sinistra come una casa stregata,
a circa un metro dalle nostre orecchie.
Cominciammo a coabitare con quel rumore
stridente e scricchiolante nella notte,
come vivendo in una tenaglia di ghiaccio
per ore e ore premente sulle ossa
fino a divenire essa stessa anestetico.
Intanto aumentavano le ore di luce,
e Bobby Clark il biologo
disse che era cresciuto il plancton,
segno della primavera incipiente.
Dal plancton ha origine nell’Antartide
il ciclo vitale dei pesci più piccoli,
fino alle seppie polari e ai pinguini,
le foche, le orche marine, le foche leopardo,
i grandi e lucenti capodogli.
I lastroni di ghiaccio sembravano dock
per l’immagazzinamento di cereali,
ma erano più spesso tremendi e deformi
come opere di architetti impazziti
fissando il ghiaccio apatico e i suoi demoni.
Fu lungo e crudele, l’ultimo attacco.
Durò giorni e notti, in crescendo,
lottando con la nostra abitudine agli assalti
della gelida massa senza sangue.
Le travi del Ritz si arcuarono come canne,
il banco a dritta premeva sullo scafo
arcuandolo fino a inclinarlo di tre gradi,
poi semiriversa la nave
cedette alla pressione senza spezzarsi.
Solo una crepa, una fenditura nelle assi
del tavolato del Ritz,
là dove avevamo improvvisato il palco
per recitare la storia del principe
amato dalla luna ma non dai suoi simili,
esclusa Ofelia, che però era morta,
attratta dall’elemento che conduce
a questo regno infernale d’acqua ghiaccia.
L’AUTORE
Roberto Mussapi, poeta e drammaturgo riconosciuto a livello internazionale, è stato scoperto e valorizzato, sin dagli esordi, da Mario Luzi e Attilio Bertolucci. Ha scritto opere fondamentali quali Gita meridiana (Mondadori, 1990), Antartide (Guanda, 2000) fino ai più recenti L’incoronazione degli uccelli nel giardino (Salani, 2010) e alla riscrittura delle Metamorfosi di Ovidio (Salani 2012). Dirige la collana “I poeti” per l’editore Jaca Book ed è editorialista del quotidiano “Avvenire”, svolge anche un’intensa attività di traduttore (versioni e curatele da Byron, Shelley, Keats, Emerson, Melville, Stevenson, Walcott, Heaney, Baudelaire, Villon, Bonnefoy, Properzio e altri).