Arbutus unedo
(miele di corbezzolo)
“Amaro”
vuol dire
“bitter”, vero? gli chiedo
mentre intinge il cucchiaio
nel vasetto di miele
marrone scuro
scuro,
e risponde: Sì,
ed è diverso da ogni
cosa tu abbia mai assaggiato
prima d’ora.
E sì,
ha ragione,
probabilmente è
la più arcana sinestesia
che sia mai passata
dalle mie labbra.
Il miele
di solito
è dorato, dolce
e leggero, no? Ma questo
fluido viscoso è denso,
profondo, sa di
fumo,
quasi,
come un single malt
scozzese o un altro gusto forte
con cui vorresti familiarizzare. E ancora
più strano, pare bruciarmi
la bocca
come la libidine,
come qualcosa che ho
sempre avuto paura di dire,
deliziosamente amaro.
Provalo,
dice,
con il
pecorino:
“È la morte sua”.
Cosa vuol dire? domando, anche
se mi sa che lo so
già.
***
Arbutus unedo
(miele di corbezzolo)
Doesn’t
“amaro” mean
bitter? I ask him as
he dips the spoon into
the jar of dark,
dark brown
honey,
and he says, Yes,
and this is nothing like
anything you’ve ever
tasted before.
And yes,
he’s right,
it’s probably
the oddest bit of syn-
aesthesia that’s ever
passed through my lips.
Honey
is meant
to be golden,
sweet and light, isn’t it?
But this viscous liquor
is rich and deep,
smoky
almost,
like Scotch or some
other strong taste you want
to acquire. And, stranger,
it seems to burn
my mouth
like lust,
like something I’ve
always been afraid to
utter, deliciously
bitter. Try it,
he says,
with this
pecorino:
“È la morte sua.”
And that means? I ask, though
I’m pretty sure
I know.
Dyospiros kaki
All’imbrunire
una fredda sera decembrina
sono uscita a camminare
cercando di sventare
un po’ di quel Disordine
Affettivo Stagionale
(perfetto l’acronimo anglosassone:
SAD, triste) che ovviamente non oso
avere – vita da favola,
ecc. ecc. Giusto.
Ma si è soli e fa buio
troppo presto perfino qui.
So di non potermi
lamentare e quindi non lo faccio,
alzo il collo del cappotto
ancora un po’, respiro a fondo,
continuo a camminare, cercando
di non parlare da sola
nell’una o l’altra lingua.
Quando arrivo a via
Muratori, intitolata
al tipo che ha scritto
Della perfetta poesia
italiana, in cui
descrive “il vero
e il falso nelle immagini”,
mi sento molto meglio.
Proprio davanti a me
c’è un alberello smilzo e nudo
decorato di sfere
d’oro, irregolari
sulle dita da strega dei rami.
Che arcano albero di Natale
è mai questo, mi chiedo,
ma quando mi avvicino abbastanza
vedo che sono frutti.
I rami sono spogli,
è inverno, eppure queste grosse
drupe gialle restano appese.
Un miracolo!
Quando rientro a casa, gli racconto
dello strano albero
che ho visto. Sono cachi,
quei frutti pasticcioni
che mangiavo col cucchiaio. Oh.
Sorride, ma non parla
del nuovo metodo che usiamo
per mangiare i cachi.
Prepara un bagno caldo
e spogliati. Che il succo scorra
ovunque.
***
Diospyros kaki
On a darkening
cold December evening I
go out for a walk,
trying to ward off
some of that old Seasonal
Affect Disorder
(perfect acronym:
SAD) which of course I daren’t
have—fairy tale life
and all of that. Right.
It’s lonely and gets dark too
early even here.
But I know I can’t
complain and so I don’t, just
turn my coat collar
up a notch, breathe deep,
keep walking, try not to talk
to myself out loud
in any language.
By the time I reach via
Muratori, named
for the guy who wrote
On the Perfect Italian
Poetry, in which
he explains “the true
and false in images,” I’m
feeling much better.
Right in front of me
there’s a bare-ass, skinny tree
festooned with golden
orbs, irregularly placed
on its witch-finger branches.
What an odd Christmas
tree this is, I think,
but when I get close enough,
I see that they’re fruit.
The branches are bare,
it’s winter, and yet these fat
yellow drupes still droop.
Un miracolo!
When I get home, I tell him
about the strange tree
I saw. It’s cachi,
that messy fruit I used to
eat with a spoon. Oh.
He smiles but doesn’t
mention the new method we
use to eat cachi.
Ready a warm bath
and strip bare. Let the juice run
wherever it runs.
***
Wisteria sinensis
Mi chiede se non ho mai
mangiato boccioli di glicine
e io rido ma lui
allunga un braccio a spiccare
un paio di fiori, ne ficca
uno in bocca, poi uno nella mia.
Lo mastica pensoso,
alza gli occhi, fa una smorfia e dice:
Non è triste che le cose
non serbino mai il sapore dell’infanzia?
È così pensoso in quel momento
che vorrei quasi che il wist
della Wisteria
avesse davvero a che fare
con quel dolente desiderio, con la nostalgia.
Ma no, per quanto lo potresti pensare
di questi fiori, delicati,
pallidi, non è mai così semplice.
Perché il rimpianto pare tanto
romantico, mentre è solo nocivo?
Guarda come questi tralci
s’intrecciano, fitti, neri, in senso orario,
in senso anti-orario,
afferrandosi a ogni
appiglio che paia disponibile,
sulla terrazza esausta
dell’attico aristocratico
o lungo il muro color terracotta
che circoscrive la tomba del poeta
“il cui nome fu scritto sull’acqua”.
***
Wisteria sinensis
He asks me if I’ve ever
eaten wisteria before
and I laugh but
he reaches up to pluck
a couple of flowers, pops one
into his mouth, then one in mine.
He chews his thoughtfully,
looks up, makes a face, and says
Isn’t it sad how things just
never taste the way they did in childhood?
He looks so wistful just then
that I almost wish the wist in
wisteria
had to do with that kind
of rueful longing, nostalgia.
But no, though you might think it of
these flowers, delicate,
pale, it’s never that simple.
Why does regret seem oh so
romantic when it’s simply pernicious?
Just look at the way these vines
entwine, thick and black, clockwise,
counter-clockwise,
grabbing on to any
support that seems available,
from the effete aristocrat’s
rooftop terrace to the
terra cotta-colored wall
that circumscribes the grave of
the poet “whose name was writ in water.”
***
Datura suaveolens
Se vi fossero fiori
sulla luna, sarebbero così,
molli e luminosi,
burro che scolora
al bianco, penso,
lasciando ciondolare i piedi nudi,
sorseggiando un vino color luna
nato nel paesaggio lunare
di Sardegna, proprio mentre lui
mi chiede se lo so
che spesso vengono chiamati “fiori
di luna”. No, non lo sapevo,
ma non mi sorprende che lo sappia
lui, e nemmeno che abbia di nuovo letto
i miei pensieri-poesia.
Ma so, però, che
parti di questi fiori ebbri sono
allucinogene
da matti, qualcosa che
Rappaccini sarebbe
stato orgoglioso di portare
in vita se fosse stato
quello il suo compito
invece che generare una figlia
velenosa, splendida
ma impossibile da amare.
E proprio allora mi ricordo
che mentre passeggiavamo
nel parco alle spalle della Domus
Aurea un giorno
che ero arrabbiata
perché non mi ascoltava
(o forse non aveva sentito)
ci imbattemmo nelle Datura
in piena lunare fioritura
e lui fece finta
che il fiore fosse la cornetta
di un telefono all’antica
e cercò, disperatamente,
di mettersi in contatto con me. Ho pensato:
Questo è il matrimonio, non
un’illusione da lunatici
inventata da me o da lui;
è così che si fa, e mi sono messa
a ridere, e abbiamo ripreso la passeggiata.
***
Datura suaveolens
If there were flowers
on the moon they’d look like this,
droopy and luminous,
butter-colored, fading down
to white, I’m thinking,
swinging my bare feet,
sipping at some moon-hued wine
from the lunar landscape
of Sardegna, just as he
asks me if I know
they’re often called “moon-
flowers.” I did not know that,
but I’m not surprised that
he does, nor that he’s read my
poem-thoughts again.
I do know, though, that
this blowsy flower’s parts are
hallucinogenic
as all get out, something that
Rappaccini would
have been proud to bring
into existence were he
in that business rather
than that of breeding a toxic
daughter, beautiful
but unlovable.
And just then I remember
how we went for a walk
through the park behind Domus
Aurea one day
and I was angry
because he hadn’t listened
(or maybe hadn’t heard)
and we passed the Datura
in full moony bloom
and he pretended
that the blossom was an old-
fashioned telephone and
he was trying and trying
to reach me. I thought:
This is marriage, not
some lunatic delusion
of my or his making;
this is what you do, and I
laughed, and we walked on.