Moira Egan, "Botanica/ Strange Botanic"

M&D CdTArbutus unedo
(miele di corbezzolo)

Amaro
vuol dire
bitter”, vero? gli chiedo
mentre intinge il cucchiaio
nel vasetto di miele
marrone scuro

scuro,
e risponde: Sì,
ed è diverso da ogni
cosa tu abbia mai assaggiato
prima d’ora.
E sì,

ha ragione,
probabilmente è
la più arcana sinestesia
che sia mai passata
dalle mie labbra.
Il miele

di solito
è dorato, dolce
e leggero, no? Ma questo
fluido viscoso è denso,
profondo, sa di
fumo,

quasi,
come un single malt
scozzese o un altro gusto forte
con cui vorresti familiarizzare. E ancora
più strano, pare bruciarmi
la bocca

come la libidine,
come qualcosa che ho
sempre avuto paura di dire,
deliziosamente amaro.
Provalo,
dice,

con il
pecorino:
“È la morte sua”.

Cosa vuol dire? domando, anche
se mi sa che lo so
già.

***

Arbutus unedo
(miele di corbezzolo)

Doesn’t
“amaro” mean
bitter? I ask him as
he dips the spoon into
the jar of dark,
dark brown

honey,
and he says, Yes,
and this is nothing like
anything you’ve ever
tasted before.
And yes,

he’s right,
it’s probably
the oddest bit of syn-
aesthesia that’s ever
passed through my lips.
Honey

is meant
to be golden,
sweet and light, isn’t it?
But this viscous liquor
is rich and deep,
smoky

almost,
like Scotch or some
other strong taste you want
to acquire. And, stranger,
it seems to burn
my mouth

like lust,
like something I’ve
always been afraid to
utter, deliciously
bitter. Try it,
he says,

with this
pecorino:
“È la morte sua.” 

And that means? I ask, though
I’m pretty sure
I know.

 

Egan botanica cover[1]

 
Dyospiros kaki
  All’imbrunire
una fredda sera decembrina
  sono uscita a camminare
  cercando di sventare
un po’ di quel Disordine
  Affettivo Stagionale
(perfetto l’acronimo anglosassone:
SAD, triste) che ovviamente non oso
  avere – vita da favola,
  ecc. ecc. Giusto.
Ma si è soli e fa buio
  troppo presto perfino qui.
  So di non potermi
lamentare e quindi non lo faccio,
  alzo il collo del cappotto
  ancora un po’, respiro a fondo,
continuo a camminare, cercando
  di non parlare da sola
  nell’una o l’altra lingua.
Quando arrivo a via
Muratori, intitolata
al tipo che ha scritto
Della perfetta poesia
  italiana, in cui
  descrive “il vero
e il falso nelle immagini”,
mi sento molto meglio.
  Proprio davanti a me
c’è un alberello smilzo e nudo
  decorato di sfere
  d’oro, irregolari
sulle dita da strega dei rami.
  Che arcano albero di Natale
  è mai questo, mi chiedo,
ma quando mi avvicino abbastanza
  vedo che sono frutti.
  I rami sono spogli,
è inverno, eppure queste grosse
  drupe gialle restano appese. 
  Un miracolo!
Quando rientro a casa, gli racconto
  dello strano albero
  che ho visto. Sono cachi,
quei frutti pasticcioni
che mangiavo col cucchiaio. Oh.
  Sorride, ma non parla
del nuovo metodo che usiamo
  per mangiare i cachi.
  Prepara un bagno caldo
e spogliati. Che il succo scorra
  ovunque.
***
Diospyros kaki
  On a darkening
cold December evening I
  go out for a walk,
  trying to ward off
some of that old Seasonal
  Affect Disorder
  (perfect acronym:
SAD) which of course I daren’t
  have—fairy tale life
  and all of that. Right.
It’s lonely and gets dark too
early even here.
  But I know I can’t
complain and so I don’t, just
  turn my coat collar
  up a notch, breathe deep,
keep walking, try not to talk
  to myself out loud
  in any language.
By the time I reach via
  Muratori, named
  for the guy who wrote
On the Perfect Italian
  Poetry, in which
  he explains “the true
and false in images,” I’m
  feeling much better.
  Right in front of me
there’s a bare-ass, skinny tree
  festooned with golden
  orbs, irregularly placed
on its witch-finger branches.
  What an odd Christmas
  tree this is, I think,
but when I get close enough,
  I see that they’re fruit.
  The branches are bare,
it’s winter, and yet these fat
  yellow drupes still droop.
  Un miracolo!
When I get home, I tell him
  about the strange tree
  I saw. It’s cachi,
that messy fruit I used to
eat with a spoon. Oh.
  He smiles but doesn’t
mention the new method we
  use to eat cachi.
  Ready a warm bath
and strip bare. Let the juice run
  wherever it runs.
*** 
Wisteria sinensis
Mi chiede se non ho mai
  mangiato boccioli di glicine
  e io rido ma lui
allunga un braccio a spiccare
  un paio di fiori, ne ficca
uno in bocca, poi uno nella mia.
  Lo mastica pensoso,
alza gli occhi, fa una smorfia e dice:
  Non è triste che le cose
  non serbino mai il sapore dell’infanzia?
È così pensoso in quel momento
  che vorrei quasi che il wist
  della Wisteria
avesse davvero a che fare
  con quel dolente desiderio, con la nostalgia.
Ma no, per quanto lo potresti pensare
  di questi fiori, delicati,
pallidi, non è mai così semplice.
  Perché il rimpianto pare tanto
  romantico, mentre è solo nocivo?
Guarda come questi tralci
  s’intrecciano, fitti, neri, in senso orario,
  in senso anti-orario,
afferrandosi a ogni
  appiglio che paia disponibile,
sulla terrazza esausta
  dell’attico aristocratico
o lungo il muro color terracotta
  che circoscrive la tomba del poeta
  “il cui nome fu scritto sull’acqua”.
 ***
Wisteria sinensis
He asks me if I’ve ever
  eaten wisteria before
  and I laugh but
he reaches up to pluck
  a couple of flowers, pops one
into his mouth, then one in mine.
  He chews his thoughtfully,
looks up, makes a face, and says
  Isn’t it sad how things just
  never taste the way they did in childhood?
He looks so wistful just then
  that I almost wish the wist in
  wisteria
had to do with that kind
  of rueful longing, nostalgia.
But no, though you might think it of
  these flowers, delicate,
pale, it’s never that simple.
  Why does regret seem oh so
  romantic when it’s simply pernicious? 
Just look at the way these vines
  entwine, thick and black, clockwise,
  counter-clockwise,
grabbing on to any
  support that seems available,
from the effete aristocrat’s
  rooftop terrace to the
terra cotta-colored wall
  that circumscribes the grave of
  the poet “whose name was writ in water.”
 ***
Datura suaveolens
  Se vi fossero fiori
sulla luna, sarebbero così,
  molli e luminosi,
burro che scolora
  al bianco, penso,
lasciando ciondolare i piedi nudi,
  sorseggiando un vino color luna
nato nel paesaggio lunare
  di Sardegna, proprio mentre lui
mi chiede se lo so
  che spesso vengono chiamati “fiori
di luna”. No, non lo sapevo,
  ma non mi sorprende che lo sappia
lui, e nemmeno che abbia di nuovo letto
  i miei pensieri-poesia.
Ma so, però, che
  parti di questi fiori ebbri sono
allucinogene
  da matti, qualcosa che
Rappaccini sarebbe
  stato orgoglioso di portare
in vita se fosse stato
  quello il suo compito
invece che generare una figlia
  velenosa, splendida
ma impossibile da amare.
  E proprio allora mi ricordo
che mentre passeggiavamo
  nel parco alle spalle della Domus
Aurea un giorno
  che ero arrabbiata
perché non mi ascoltava
  (o forse non aveva sentito)
ci imbattemmo nelle Datura
  in piena lunare fioritura
e lui fece finta
  che il fiore fosse la cornetta
di un telefono all’antica
  e cercò, disperatamente,
di mettersi in contatto con me. Ho pensato:
Questo è il matrimonio, non
un’illusione da lunatici
  inventata da me o da lui;
è così che si fa, e mi sono messa
  a ridere, e abbiamo ripreso la passeggiata.
***
 
Datura suaveolens
  If there were flowers
on the moon they’d look like this,
  droopy and luminous,
butter-colored, fading down
  to white, I’m thinking,
swinging my bare feet,
  sipping at some moon-hued wine
from the lunar landscape
  of Sardegna, just as he
asks me if I know
  they’re often called “moon-
flowers.” I did not know that,
  but I’m not surprised that
he does, nor that he’s read my
  poem-thoughts again.
I do know, though, that
  this blowsy flower’s parts are
hallucinogenic
  as all get out, something that
Rappaccini would
  have been proud to bring
into existence were he
  in that business rather
than that of breeding a toxic
  daughter, beautiful
but unlovable.
  And just then I remember
how we went for a walk
  through the park behind Domus
Aurea one day
  and I was angry
because he hadn’t listened
  (or maybe hadn’t heard)
and we passed the Datura
  in full moony bloom
and he pretended
  that the blossom was an old-
fashioned telephone and
  he was trying and trying
to reach me. I thought:
This is marriage, not
some lunatic delusion
  of my or his making;
  this is what you do, and I
laughed, and we walked on.

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